Nel convento francescano di padre Ibrahim ad Aleppo trovano rifugio cristiani, curdi, musulmani: «Sparano, saccheggiano, distruggono»Ad Aleppo, nel cuore della Siria martoriata da quattro anni di guerra, una sola parola riempie la testa degli abitanti: acqua. L’acqua manca costantemente: le forniture vengono interrotte ciclicamente per mancanza di accordi tra i governativi e i ribelli fondamentalisti che si spartiscono le diverse zone della città. «A luglio è mancata per 20 giorni. Ad agosto per 17. La gente era stremata e umiliata: senz’acqua non si può bere, cucinare, lavarsi. Quante volte ho incontrato la gente che puzzava e si vergognava di questo. Mi commuovevo per loro. Noi frati della Custodia di Terra Santa abbiamo cominciato a distribuire l’acqua dei depositi alle famiglie, attingendo ai pozzi sotterranei e portandola nelle case degli anziani. Poi, il giorno dell’Assunta, il miracolo: l’acqua è tornata. Per noi è stato uno dei tanti segni del bene che Dio ha per noi. Anche qui, dove portiamo una croce grande, la Madonna ci ha protetti». Padre Ibrahim Alsabagh è parroco di Aleppo e la sua chiesa, dedicata a San Francesco, è l’unica rimasta in piedi dopo i bombardamenti. Nel convento sono in tre frati e accolgono tutti: donne, bambini, studenti, i pochi uomini ancora rimasti in città. Già, gli uomini. Non mancano solo acqua, pane e lavoro, ad Aleppo. Mancano i giovani maschi, tutti richiamati alle armi dal regime del presidente Bashar al-Assad: l’esercito è allo stremo, la battaglia contro gli jihadisti non sembra sortire effetti e le armate sono sguarnite.
Così il reclutamento è serrato, di città in città. Qualcuno si arruola, altri disertano e scappano. A casa rimangono le mogli, i bambini, gli anziani, i disabili. «Non è facile. Le donne mancano dell’appoggio dei mariti, le ragazze che vorrebbero costruire una famiglia e un futuro non sanno dove guardare. Ma nella fatica, cresce la fede. La messa è sempre piena, nonostante il rischio di bombe e pallottole». Racconta il parroco che tutto è affidato all’ingegno e alla Provvidenza. Le ostie per la messa, ad esempio, vengono fabbricate a mano dai ragazzi, che con la farina e uno stampo di fortuna ogni giorno ne producono centinaia. «Per il vino della fatichiamo di più: ma non è mancato mai», sorride. Le giornate di padre Ibrahim e dei suoi trascorrono nel rispondere ai bisogni della gente, non importa che siano cristiani, curdi o musulmani. I feriti da portare all’ospedale delle suore di San Giuseppe, i bambini della scuola gestita dalle religiose del Rosario, l’oratorio estivo dei francescani e quello dei salesiani. «Accogliamo centinaia di bambini. Da loro si può imparare molto. Hanno un’agilità bellissima nel comunicare tra loro e anche nel perdonarsi», racconta. Per gli adulti invece è più difficile: il cibo e le medicine scarseggiano e molti implorano di trovar loro qualcosa con cui impiegare il tempo.
In una città dove tutto è fermo (attività, esercizi, infrastrutture) l’inerzia è forse la cosa peggiore. Ma padre Ibrahim non è triste. «Possiamo affrontare tutto questo perché sentiamo una grande comunione con tutti voi, anche voi che siete al Meeting e che pregate per noi. A volte qui abbiamo paura: sparano, distruggono le nostre chiese, le nostre famiglie; trattano male perfino i cadaveri e i cimiteri. Noi offriamo anche questa paura a Dio nella santa messa. E durante la messa noi sappiamo di non essere soli. Con la vostra preghiera ci aiutate a vivere. E la vita è bellissima». Lo è anche quando gli jihadisti rapiscono i frati «per umiliarci e metterci paura», quando la fila per una tanica d’acqua e una tazza di latte è interminabile. Quando le famiglie vengono costrette a separarsi. «Cerchiamo ogni giorno di stringerci intorno alla pietra angolare, Cristo. E Lui con tanta intelligenza non ci lascia mai soli. Lui è tangibile tra noi». Anche le vocazioni religiose fioriscono: «Tanti si convertono, tanti scelgono di diventare religiosi. Il titolo di questo Meeting parla della mancanza. Qui ad Aleppo manchiamo di tutto, ma la mancanza ci ricorda che abbiamo qualcosa da desiderare, ci fa sentire l’anelito e ci costringe a una vera ricerca del senso della vita e dalla fede. Sta accadendo a noi cristiani siriani, ma anche tanti musulmani». Sorride padre Ibrahim: «Sono contento di essere al Meeting, anche se penso continuamente alla mia gente rimasta ad Aleppo. Ma qui o laggiù, di una cosa sono certo». Di cosa, padre? «La vita con Gesù è bellissima».