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“Laudato sie, mi’ Signore!”: riflessioni sparse

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Chiara Santomiero - Aleteia - pubblicato il 19/08/15
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Scrittori, teologi, bambini, filosofi e artisti rileggono il Cantico delle Creature con lo stesso stupore di FrancescoOttocento anni ci separano dalla composizione del Cantico delle Creature, l'appassionato inno al Creato e al suo Creatore di san Francesco: è possibile trarne ancora nuovi significati? Estrarre da un tesoro di fede e poesia "cose nuove e cose antiche" come afferma il Vangelo? E' la scommessa del testo "Laudato sie, mi' Signore!" delle Edizioni Messaggero Padova. Con le tavole di due artisti, il fumettista e illustratore Luca Salvagno e il pittore Mimmo Paladino, e le parole di scrittori, giornalisti, teologi, bambini, filosofi, persone di fede cattolica, ebrea, musulmana, buddista, il libro rilegge il Cantico delle Creature dimostrando come le parole di Francesco sappiano parlare al cuore dell'uomo di ogni tempo. Forse perchè, come sottolinea la prefazione, il primo testo della lingua volgare italiana è un grande ringraziamento che consente "ad ogni atomo del nostro corpo di danzare sulle note della vita! È sintonizzarsi con il canto della creazione, con il grazie che ogni fiore, insetto, foglia, goccia d’acqua, tramonto, pianeta, galassia, innalza al Creatore! È l’atteggiamento di fondo, non di chi non vede la realtà per quella che è, e talvolta quasi inguardabile. Ma di chi la vede nei sogni provvidenziali di Dio". Attraverso il prisma delle stagioni e delle culture che si succedono questo componimento assume nuovi significati di sorprendente attualità come dimostrano i frammenti di tre interventi scelti da Aleteia.
 

 

LA FORZA DEL PERDONO
"Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo Tuo amore". Non c'era questa strofa nel testo originale composto da Francesco; il santo la aggiunse quando seppe che il vescovo di Assisi e il podestà si facevano la guerra a colpi di scomunica e di bandi. Per chi aveva fatto della pace e della concordia il suo segno distintivo questa discordia era motivo di grande dolore e così inventò uno stratagemma. Fece in modo che il popolo di Assisi insieme al podestà e al vescovo si trovassero nello spiazzo interno del chiostro del palazzo episcopale vi mandò i suoi frati perché come "giullari di Dio" cantassero davanti a quel pubblico il Cantico delle creature, completato dalla nuova strofa del perdono.
 

Francesco fece scrivere: Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo Tuo amore e sostengo infirmitate e tribulazione. Beati quelli ke ’l sosterrano in pace, ka da Te, Altissimo, sirano incoronati. Le parole, la melodia, le circostanze del componimento commossero profondamente i due contendenti che si chiesero reciprocamente scusa. L’avvenimento fu annotato anche nella cosiddetta Compilazione di Assisi, la voce dei primi compagni di Francesco. «Tutti coloro che erano stati presenti alla scena e avevano sentito quelle parole, ritennero la cosa un grande miracolo, attribuendo ai meriti del beato Francesco il fatto che il Signore avesse così subitamente toccato il cuore dei due avversari. I quali, senza più ricordare gli insulti reciproci, tornarono a sincera concordia dopo uno scandalo così grave». Ai nostri tempi in tante parti del mondo si commettono atrocità, ci si fa la guerra, ci si uccide. Non vengono risparmiati neppure i bambini. Anche Francesco visse tutta la vita in mezzo alle guerre: crociate contro i musulmani, contro gli eretici, contro i nemici politici. Egli stesso da giovane fu rinchiuso nelle prigioni di Perugia per più di un anno. Eppure il Santo, seguendo il Vangelo, era convinto che esistesse un’altra via per comporre i dissidi, una via non violenta. Voleva che i cristiani mostrassero reciprocamente il volto della pace. Almeno nel caso del podestà e del vescovo di Assisi, ci riuscì. E la sua voce, attraverso i secoli, giunge fino a noi.

(Chiara Frugoni, storica francescana)
 

 

 

CAPACI DI STUPORE
Per accorgersi della bellezza del Creato come Francesco bisogna essere disponibili a fermarsi a contemplarlo e a stupirsi per ogni frammento di bellezza. Anzi, bisogna essere disponibili a riconoscere la bellezza in tutto, nei sassi, nella sabbia, nelle foglie, nelle gocce d'acqua. Bisogna essere disponibili allo stupore.
 

È il canto di chi è disposto a meravigliarsi del mondo. Non vuole rinunciare alla sorpresa di scorgere. Diverso da vedere, che è la registrazione di presenze e la notifica di assenze, scorgere riconosce l’alone luminoso che avvolge creato e creature. Ogni cellula, atomo, irradia. Ogni fiocco di neve inventa la sua variante irripetibile dell’esagono. Chi è stanco smette di scorgere. Al suo opposto è il santo. In mezzo tra i due si colloca la disposizione allo stupore, che nel Cantico di Francesco implica la gratitudine. Il suo «Laudato» è il grazie di chi risale a un creatore. È il grazie dovuto alla bellezza, che non è apparenza ma sostanza. Dev’esserci una intenzione, una divinità dietro lo spargimento della bellezza? Non ci arrivo, non so risalire così in alto. Nel vagabondaggio tra i pensieri mi sono imbattuto in un verso del poeta russo Brodskij: «Al mondo non ci sono cause, esistono solo effetti». È una rinuncia laica che confina le cause nel campo delle ipotesi. Mi sono fermato qui: non esistono cause, per esempio per la bellezza. Non posso condividere una fede, posso mantenere lo stupore, il tuffo al cuore dell’improvviso scorgere.

 

(Erri De Luca, scrittore)
 

 


UN NUOVO MODO DI PENSARE

Poetico, anche un pò naive, fiducioso, ecologista e pacifista ante litteram: era davvero solo questo l'atteggiamento di Francesco autore del Cantico delle creature? E se, invece, fossimo di fronte al manifesto ancora incompreso di un modo nuovo di pensare il vivere dell'uomo che dopo 800 anni aspetta ancora di esprimere tutta la sua forza? Forse, su questo pianeta sull'orlo della catastrofe per i cambiamenti climatici provocati dal comportamento sconsiderato dell'uomo, dalla sua brama di possesso, dalla sua ansia materialistica, forse è proprio giunto il momento di riconsiderare il messaggio rivoluzionario del povero d'Assisi?
 

Secondo il grande filosofo Ludwig Wittgenstein ciò che a noi preme di più, ossia i sentimenti, i valori etici, in ultima analisi il senso della vita, non viene espresso nel linguaggio scientifico e fattuale ma solo nelle forme del mistico. Il Cantico di Francesco significa tutto questo in maniera paradigmatica. Mi sono chiesto talvolta se questa intenzionalità del Santo di Assisi e questa sua limpida forma mistica, potessero nascondere qualche segreta indicazione per un nuovo pensare o per un altro pensare, rispetto a quello che oggi ci domina e ci spinge a dominare e a usare tutto quanto: non solo le cose ma anche le persone. Ho sempre sentito come insufficiente una lettura del Cantico, anche se legittima e coerente, solo in termini strettamente devozionali e all’interno di parametri religiosi, ancorché aperti a nuove sensibilità ecologiche. Per certi versi, anche l’odierna lettura ecologica lascia in qualche modo insoddisfatti. Francesco non era certamente un filosofo e un teologo: la sua diffidenza per queste forme di sapere è nota, ma anche superficialmente enfatizzata, e in ogni caso non sembra nascere dal rifiuto del sapere ma dalla presa di distanza netta per certi «usi» che si facevano (e si fanno) del sapere. Più radicalmente: nasceva dal rifiuto di una certa concezione del sapere come strumento di dominio e perfino di raggiro delle persone e soprattutto come strumento di manipolazione della verità. Se Nietzsche afferma che non esiste verità ma solo interpretazione, Francesco afferma che non esiste interpretazione ma solo verità. E la verità è per sua natura mistica. Si mostra a un pensiero silenzioso e accogliente, pieno di riconoscenza. È questo un nodo veramente decisivo per ogni ricerca filosofica e in ultima istanza per ogni ricerca umana della verità proprio in questo nostro tempo. Ma come è possibile? Il Cantico mi pare aprire un sentiero plurale destinato a non interrompersi, se solo lo ascoltiamo come merita. Il primo sentiero è quello della lode. La lode genera un pensiero radicalmente non violento, antiutilitaristico, disinteressato, sciolto da ogni concessione alle forme del potere, allo stesso potere del pensiero che vuole catturare e contenere la realtà. L’etimologia della parola «concetto» pare rinviare al verbo latino «cum-capere», che indica anche l’atto dell’afferrare, del dominare, del trattenere, dell’avere a propria disposizione. Non siamo lontani da quella attitudine predatoria che spesso ha assunto il pensare, il conoscere e il sapere nella nostra cultura occidentale. La lode rovescia questa visione e il pensare diviene pura apertura riconoscente a qualcosa che non si lascia né catturare né trattenere ma solo, appunto, lodare. Siamo di fronte a un pensare che consiste nello spossessamento di sé per restare in un atteggiamento di pura «teoria» che fin dall’antichità dice lo sguardo dello spettatore incantato che osserva, considera e contempla senza alcuna pretesa.

 

(Lorenzo Biagi, docente di etica)

Tutti coloro che hanno collaborato alla realizzazione del libro hanno rinunciato al proprio compenso a favore dei progetti della Caritas Antoniana, il «braccio caritativo» dei frati minori conventuali della Basilica di sant’Antonio a Padova che realizza oltre 170 progetti sociali l’anno in 46 Paesi dei cinque continenti, raggiungendo quasi un milione di persone.

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