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Padre Francesco, per favore chieda di smetterla con i selfie

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Gian Franco Svidercoschi - Aleteia - pubblicato il 12/08/15
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C’è il rischio di banalizzare, di immiserire, non solo i simboli religiosi, ma la religione stessaE tutti i selfie che le chiedono?” In aereo, a metà luglio, di ritorno dall’America Latina, Francesco si è incontrato con i giornalisti che lo avevano seguito nel viaggio. Molti, tra i problemi affrontati, quelli importanti, impegnativi. Ma c’è stato anche lo spazio per una domanda più “leggera”, informale. Un giornalista ha chiesto al Papa cosa ne pensasse della valanga di selfie a cui ormai, in ogni uscita pubblica, viene sottoposto. E lui: “E’ un’altra cultura, la rispetto ma mi sento un bisnonno”.

Una risposta, come sempre, immediata, precisa, diretta. Che però non entrava nel merito della questione, ossia di un fenomeno che sta assumendo i contorni patologici di una vera e propria ossessione collettiva. Francesco si è limitato a considerarlo uno dei tanti risvolti espressivi della modernità. Lontano mille miglia dalla sua cultura, dalla sua mentalità, ma senza comunque trovarci dentro niente di cui scandalizzarsi. Come si vede del resto dai tanti selfie messi in giro sulla Rete, e dove lui compare con il viso sorridente.

E’ un atteggiamento tipico del Bergoglio gesuita, tipico cioè della capacità dei figli di Sant’Ignazio di adattarsi a qualsiasi situazione in cui vengano a trovarsi. Ma ormai è un comportamento abituale anche del Bergoglio da Papa, di fronte all’enorme consenso popolare che è andato crescendo attorno a lui. Infatti, per sua stessa ammissione, dopo i timori e i dubbi iniziali, si è convinto che anche questa poteva essere una via per riavvicinare la gente alla parola di Dio. E così ha accettato, non solo la popolarità, ma anche i rischi che potevano conseguirne: come quello di restare, in qualche modo, “prigioniero” del sistema mediatico.

Va detto che finora tutto è andato sostanzialmente per il verso giusto. La popolarità di cui gode Francesco ha rappresentato e continua a rappresentare un grande “traino” per il rilancio della missione evangelizzatrice, dentro e fuori la Chiesa. E tuttavia ci sono degli aspetti che lasciano perplessi. Ad esempio, quella sterminata fungaia di cellulari, alzati sulle teste, che fanno da scenario al passaggio del Papa tra la folla prima delle udienze generali in Vaticano o delle Messe durante i viaggi. Naturalmente, si possono capire la curiosità e la voglia di fissare quel momento speciale, per poi condividerlo con famigliari e amici. Ma, se quei telefonini continuano a scattare foto anche dopo, non viene da chiedersi quanti siano coloro che ascoltano veramente le parole di Francesco o seguono, come si conviene, la celebrazione eucaristica?

Non sono considerazioni di un bigotto, e neppure di uno avverso alla rivoluzione tecnologica, alla modernità. Ma, nel caso di un evento religioso, se la rivoluzione tecnologica e la modernità prendono il sopravvento, finiranno inevitabilmente per banalizzare quell’evento, per svuotarlo della dimensione spirituale, e quindi per ridurlo alla stregua di una qualsiasi manifestazione musicale o sportiva. Ed ecco perché sarebbe bene riflettere – perlomeno riflettere – su certe degenerazioni verso cui sta precipitando l’isteria digitale. E che potrebbero avere ripercussioni negative sull’immagine stessa del Papa.

I selfie, appunto.

Pensiamoci un po’. Che cosa è realmente un selfie? Non è la fotografia, con la quale si intende mettere a fuoco e poi riprodurre ciò che si vede, una persona o un personaggio oppure, se fortunati, un fatto improvviso. Non è nemmeno l’autoscatto, dov’è la macchina fotografica a funzionare da sola, fissando solitamente lo stare insieme di una coppia o di un gruppo. Invece il selfie (dall’inglese “self”: l’io, l’individuo, se stesso) è o almeno è diventato l’esasperazione del proprio narcisismo, dell’innamoramento della propria immagine. Non è importante il personaggio accanto al quale ti metti, spesso dopo un furioso corpo a corpo con tanti altri selfisti, ma in quell’istante sei tu quello-che-conta, il centro dell’universo.

Molti forse ricorderanno quella scena a dir poco stupefacente, appena finita la Messa che aveva inaugurato il nuovo pontificato. Francesco stava salutando i capi di Stato e di governo intervenuti alla cerimonia. A un certo punto, si è fatto avanti il presidente di un Paese latino-americano, ha stretto la mano al Papa, poi di colpo si è voltato, ha scattato il selfie e se ne è andato via tutto soddisfatto. L’ultima scena è quella del recente viaggio, con due ragazze dall’aria isterica, le quali, quasi librandosi sulla marea di teste, con le spalle al Papa, si fotografano in primo piano. E, tra l’una e l’altra, migliaia di scene con Francesco accanto a gruppi e gruppetti, ridotto a far da “comprimario”, da semplice testimone del trionfalismo altrui. E comunque – va riconosciuto – sempre sorridente, sempre accondiscendente.

E’ vero che questo Papa – come dicono molti – “è come noi, parla come noi, si comporta come noi”. E’ anche vero che Francesco, in questo modo, ha cancellato le distanze tra papato e popolo. Ma tutto questo non significa che si debba mancare di rispetto verso una persona con quel ruolo, con quella autorità, e, dunque, con quel che rappresenta. Altrimenti, come si diceva, c’è davvero il rischio di banalizzare, di immiserire, non solo i simboli religiosi, ma la religione stessa. E allora, ci permettiamo umilmente di avanzare una richiesta: Padre Francesco, per favore, perché non chiede di smetterla con i selfie?

 

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