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La Teologia del Popolo secondo papa Francesco

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Rafael Luciani - Aleteia - pubblicato il 03/08/15
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A differenza della Teologia della Liberazione, non cerca di cambiare le strutture sociali e politiche

I discorsi e la pastorale di papa Francesco sono ispirati a quella che viene chiamata Teologia del Popolo. È un ramo della teologia latinoamericana sviluppata in Argentina dai teologi Lucio Gera e Rafael Tello, e poi assunta dall'episcopato argentino nella Dichiarazione di San Miguel nel 1969.
Secondo il teologo gesuita Scannone, a differenza della Teologia della Liberazione, la Teologia del Popolo non cerca di cambiare le strutture sociali e politiche per se stesse, ma il discernimento della missione e dell'identità dell'istituzione ecclesiastica a partire dalla sua opzione per il popolo povero, espressa in un saldo discorso socio-politico che esorta al dialogo e in una prassi pastorale che promuove la giustizia sociale.

Per raggiungere questo obiettivo, propone alcuni principi: a) evitare l'“astrazionismo spirituale”, o una fede senza luoghi sociali; b) allontanarsi dal “metodologismo funzionalista”, che promuove l'uso di qualsiasi mezzo per raggiungere un fine determinato, come la permanenza al potere; c) criticare le “ideologie astratte” che finiscono in una riduzione ideologica del Vangelo e della prassi cristiana; d) smontare il “clericalismo e il carrierismo ecclesiale”, segni di una fede che non riesce ad essere fedele al Vangelo.

Dagli anni Settanta, Francesco ha assunto una visione molto chiara della condizione politica del cristiano e di quella che doveva essere l'azione pastorale della Chiesa. Lo ha fatto sapere nel discorso di apertura della Congregazione Provinciale XIV dei gesuiti nel 1974. La prassi cristiana, sia religiosa che socio-politica, deve centrarsi sulla fraternità solidale, sulla giustizia sociale e sul bene comune prima che su nozioni come patria, processo o rivoluzione, che sono escludenti di fronte a qualsiasi dissidenza o alternativa.

Nel suo recente viaggio in Sudamerica, Francesco ha ricordato che “le ideologie finiscono male, non servono. Le ideologie hanno una relazione o incompleta o malata o cattiva con il popolo. Le ideologie non si fanno carico del popolo. Per questo, osservate nel secolo passato, che fine hanno fatto le ideologie? Sono diventate dittature, sempre. Pensano per il popolo, non lasciano pensare il popolo. O come diceva quell'acuto critico dell'ideologia, quando gli dissero: 'Sì, però questa gente ha buona volontà e cerca di fare delle cose per il popolo…'. 'Sì, sì, tutto per il popolo, ma niente con il popolo!'. Queste sono le ideologie” (Discorso in Paraguay, 11-7-2015).

Di fronte a questo rischio, Francesco propone la costruzione di un'unità nazionale. Nell'enciclica Lumen Fidei, lo spiega affermando che “l'unità è superiore al conflitto”. I conflitti devono essere assunti e trasformati in un'unità superiore (LF 55) ispirata a un programma di sviluppo di tutto il soggetto umano e di tutti i soggetti, senza alcuna discriminazione (Evangelii Gaudium 236).

Il cristiano è chiamato a discernere la validità etica e la verità morale dei mezzi socio-politici e religiosi che si utilizzano, perché è lì che si misura la necessità di un cambiamento di orientamento nella vita politica di un Paese. La Chiesa è costretta a contribuire a questi processi di cambiamento, perché essa, “insieme con le diverse forze sociali, accompagna le proposte che meglio possono rispondere alla dignità della persona umana e al bene comune (…) per trasmettere convinzioni che poi possano tradursi in azioni politiche” (Evangelii Gaudium 241).

L'appello che ci ha lasciato Francesco nel suo recente viaggio in Sudamerica è quello a optare per il popolo povero e ad allontanarsi “da tentazioni di proposte integraliste, più simili a dittature, ideologie o settarismi” (Omelia, Quito, 7-7-2015).

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Rafael Luciani
Dottore in Teologia
rlteologiahoy@gmail.com
@rafluciani

[Traduzione dallo spagnolo per Aleteia a cura di Roberta Sciamplicotti]

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