La maggior parte degli esseri umani scivola molto più sulla banalità che sul male“Ero tranquillo nella mia mediocrità fino a quando non mi è risultata insopportabile”. Leggo questa frase nell'autobiografia del cineasta francese Robert Hossein e mi chiedo se questa storia della mediocrità non sia la piaga più grande dell'umanità. Essere mediocri non è inevitabile? Non è vero che ogni uomo ha inchiodata alla carne la tendenza a vivere dormiente per tre quarti della sua vita?
Non mi riferisco a quell'“aurea mediocritas” della quale parlava Orazio, del fatto di non avere molti desideri e di accontentarsi di ciò che si possiede. Parlo della mediocrità dell'anima, di quella terribile tentazione alla routine e alla banalità che ci circonda ovunque.
So che la tensione costante è impossibile, che neanche i geni lo sono 24 ore al giorno, che spesso bisogna “riposare dal vivere”, ma mi chiedo se questi “riposini” temporanei non si trasformeranno per molti in una legge di vita, che alla fine diventa una siesta interminabile. Mi chiedo se, in conclusione, tutti noi uomini non finiremo per essere non esseri umani, ma solo milioni di uomini.
Di quale mediocrità sto parlando? Di quella di coloro che non sono né buoni né cattivi, di quelli che più che vivere si limitano a lasciarsi vivere, di quelli che non hanno illusioni né speranze e non aspirano mai a migliorare; di quelli che preferiscono trascinarsi, che disprezzano tutto ciò che non è alla loro portata e attaccano tutto ciò che non capiscono; di quelli che si nutrono intellettualmente di luoghi comuni che non rivedono mai; di quelli che non parlano se non di stupidaggini; di quelli che dicono di annoiarsi perché si sono sottomessi alla routine.
È certo che la maggior parte degli esseri umani scivola più sulla banalità che sulla malvagità. Molti hanno iniziato la giovinezza pieni di sogni, progetti, di mete che volevano raggiungere, ma presto sono arrivati i primi insuccessi o hanno scoperto che la china della vita è ripida, che la maggior parte della gente era tranquilla nella sua mediocrità, e allora hanno deciso di seguire il gregge.
Il grande rischio della mediocrità è che si tratta di una malattia senza dolori, senza sintomi molto visibili. I mediocri sono o sembrano, se non felici, almeno tranquilli. E in questa specie di palude tranquilla interiore è molto difficile che la mediocrità diventi come per Hossein “insopportabile”. Spesso serve un grande dolore per riuscire a scoprire quanto siamo mediocri. E serve uno sforzo terribile per uscire dalla mediocrità e non ricaderci.
Per me è una vecchia ossessione. Ricordo che nel primo romanzo che ho scritto si descriveva un sacerdote – nel quale in realtà descrivevo non me stesso, ma quello che temevo di diventare – che alla vigilia della morte scopriva di non essere stato né buono né cattivo, capiva di non aver saputo realizzare nessuno dei suoi desideri e sognava dopo la morte di essere condannato da Dio a un particolarissimo purgatorio: riceveva un sacco di nocciole che rappresentavano i giorni della sua vita ed era punito dovendole aprire una ad una: erano tutte vuote.
In genere diciamo di avere quaranta, cinquanta o sessant'anni. Abbiamo vissuto, quindi, tanti giorni, tanti milioni di ore. Ma se qualcuno le esaminasse una ad una, a quante si ridurrebbero? Forse ci sentiremmo felici se ne avessimo vissute una decina. Il resto è sogno, siesta.
E poi l'uomo si lamenta del fatto che la vita è breve! Siamo noi che cloroformizziamo nove parti su dieci!
Come sarebbe invece un'umanità in cui tutti i membri approfittassero al 100% delle proprie energie, un'umanità di esseri creatori, svegli, che amano?
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]