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Lettera di una figlia amorevole alla comunità gay

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Sheila Liaugminas - pubblicato il 02/07/15
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“Il matrimonio gay ridefinisce non solo il matrimonio, ma anche la genitorialità”
Leggete questa lettera aperta alla comunità gay da parte di una figlia amorevole, che si chiede perché non venga data più attenzione al resto della storia, ovvero ai figli cresciuti da due madri o due padri.
 

Il matrimonio e la genitorialità omosessuale nega una madre o un padre a un bambino dicendogli/le allo stesso tempo che non ha importanza. Che è tutto uguale. Ma non lo è. Molti di noi, molti dei vostri figli, soffrono. L’assenza di mio padre ha creato un grande vuoto in me, e ogni giorno ho desiderato ardentemente un padre. Voglio bene alla partner di mia madre, ma un’altra mamma non avrebbe mai sostituito il padre che ho perso.

Sono cresciuta circondata da donne che dicevano di non aver bisogno o di non volere un uomo. Quando ero una piccola, volevo disperatamente un papà. È strano e confonde trovarsi con questo desiderio profondo e inestinguibile di avere un padre in una comunità che afferma che gli uomini sono superflui…

Non sto dicendo che non possiate essere buoni genitori. Potete esserlo. Io ho avuto uno dei migliori. Non sto neanche dicendo che essere allevati da genitori eterosessuali significa che tutto andrà bene. Sappiamo che ci sono molti modi diversi in cui l’unità familiare si può spezzare e può far soffrire i figli: divorzio, abbandono, infedeltà, abuso, morte… Nella maggior parte dei casi, però, la struttura familiare migliore e di maggior successo è quella in cui i figli vengono cresciuti dalla madre e dal padre.

Questa donna si chiede perché i figli delle persone gay non possono essere onesti quando parlano del matrimonio omosessuale.
 

Si promuove e si normalizza una struttura familiare che ci nega necessariamente qualcosa di prezioso e fondamentale. Ci nega qualcosa di cui abbiamo bisogno e che desideriamo, dicendoci allo stesso tempo che non abbiamo bisogno di ciò a cui aneliamo. Che staremo bene. Ma non è così. Soffriamo.

La donna nota che ai figli di genitori divorziati e ai bambini adottati di genitori biologici che non hanno mai conosciuto è “permesso” di parlare del loro dolore, della sofferenza, di aneliti e sentimenti.
 

Ma i figli di genitori omosessuali non hanno avuto la stessa voce. Non si tratta solo di me. Siamo tanti.

Uno dei primi a pubblicare un resoconto del genere è stato Robert Lopez, e il suo racconto del fatto di essere stato “allevato da due mamme” rivela chiaramente il suo amore per la madre, ma anche l’impatto a lungo termine che la vita familiare ha avuto su di lui. Questo ha aperto la porta a molti altri figli di genitori dello stesso sesso che avevano paura di parlare perché li amavano e non volevano ferirli. Negli ultimi giorni il link del resoconto di Lopez su Internet è diventato inaccessibile, e la rivista on-line che l’aveva pubblicato ha dovuto far fronte a problemi tecnici. La questione può essere collegata o meno alla “messa a tacere” riferita da Heather Barwick nella sua onesta lettera aperta.
 

Se diciamo che soffriamo perché siamo stati allevati da genitori dello stesso sesso, veniamo ignorati o etichettati come persone piene di odio.

Non riguarda affatto l’odio. So che comprendete il dolore di un’etichetta che non ci si adatta e quello di una usata per malignare contro di noi o metterci a tacere. E so che siete stati davvero odiati e davvero feriti. Ero lì, alle marce, quando la gente brandiva cartelli con scritto “Dio odia gli omosessuali” e “L’AIDS cura l’omosessualità”. Ho pianto e mi sono riempita di rabbia proprio lì in strada con voi. Ma non sono io. Non siamo noi.

Non riguarda la maggior parte di noi. Sono l’estrema sinistra e l’estrema destra che emettono la condanna più decisa. La maggior parte di noi che cerca di impegnarsi prova a farlo in modo ragionevole e caritatevole. Molti di noi si sforzano di parlare chiaramente e di ascoltare con attenzione, con il coraggio della convinzione e del rispetto per la dignità di chi sfida e cerca di mettere a tacere le nostre convinzioni, che sono in fondo testimonianze di dignità umana.

Così Heather Barwick chiude la sua lettera alla comunità gay in cui è stata allevata, con la quale si è identificata per la maggior parte della sua vita, che comprende con grande compassione e alla quale ora si appella come attivista per i diritti dei bambini, dicendo così:
 

So che è una conversazione difficile, ma dobbiamo parlarne. Se qualcuno può parlare di cose difficili, siamo noi. Siete stati voi a insegnarmelo.

Sheila Liaugminas è una giornalista premiata con l’Emmy. Attualmente ospita il programma radiofonico quotidiano A Closer Look suRelevant Radio. Questo articolo è stato pubblicato su Mercatornet.com.

 
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