Da Galilei e Pascal in poi fisici, astronomi e matematici favorevoli all’esistenza del soprannaturaleLa Resurrezione dai morti è un miracolo quasi inaudito. Gli uomini antichi credevano più di noi ai prodigi, alle cose mirabili. Terremoti, eclissi, segni nei cieli, erano visibili e, talora, non comprensibili alla lue delle conoscenze…Ma ad un uomo che risorge dalla morte fisica non era facile credere neppure un tempo. Chi lo ha mai visto? Chi ha mai osservato qualcosa di vagamente simile? Dai Vangeli sappiamo che anche tanti ebrei, che credevano in Dio, nel Dio onnipotente, e che lo pregavano tutti i giorni, non credettero. Del resto ebrei, greci e romani non erano così creduloni come oggi potremmo pensare.
Eppure alla Resurrezione di Cristo, uomo-Dio sconfitto, ucciso in croce come gli schiavi, in tanti credettero, sino a dare la vita per Lui. Alcuni, come racconta il Vangelo, perché avevano visto. Altri tempi, potrebbe dire qualcuno. Oggi siamo nell'età della scienza. Come può un uomo colto di oggi credere ancora alle favole? Come può vedere ciò che non si può vedere?
LA FEDE DEGLI SCIENZIATI
Sembrerà strano, ma alla Resurrezione, nei tempi moderni, hanno creduto di più gli scienziati (sino al Settecento chiamati “filosofi naturali”), che i filosofi (secondo l'accezione più comune). Sono stati questi ultimi, infatti, da Spinoza a Hume, non i grandi della scienza, i primi a sostenere l'impossibilità dei miracoli.
Nel Medioevo la convinzione che Dio possa risorgere è scontata: se Dio ha creato il mondo, ed è onnipotente, ovviamente può anche risorgere. Se la natura non è la totalità della realtà, ma dipende da un Creatore, non può essere “inviolabile”, immutabile, impenetrabile al suo stesso Autore.
I miracoli, nel Medioevo, non sono all'ordine del giorno, ma eccezioni, manifestazioni dell'onnipotenza di Dio, e dell'esistenza del soprannaturale. Lo sono non perché si creda, di norma, alle eccezioni, ma perché si crede alla regola. In altre parole, per i medievali la regola prevede l'eccezione, possibile soltanto per opera di chi da quella regola non è vincolato. E l'eccezione conferma la regola.
I miracoli, insomma, possono esistere soltanto se sono eccezioni volute da Colui che è autore delle regole. Scriveva già sant'Agostino, nel IV secolo: “il corso ordinario della natura presa nel suo insieme ha le sue determinate leggi naturali” (La Genesi alla lettera, IX, 17, 32); mentre un teologo dell'XI secolo, Guillaume de Conches, della scuola di Chartres, aggiungerà che “Dio (di norma) rispetta le proprie leggi”. Vedere miracoli dovunque, non è dunque fede, ma superstizione.
La storia della filosofia e della scienza ci insegna che fu proprio la regolarità della natura, la sua bellezza, la sua intelligibilità, ad essere interpretata dai padri della scienza sperimentale come dimostrazione dell'esistenza di un Creatore. Se vi sono ordine, armonia, leggi che permettono all'universo di “funzionare”, deve esistere anche un Ordinatore, un “Artefice supremo”, un Dio Legislatore.
Il celebre matematico e filosofo ateo e anticlericale Bertrand Russell ricorda proprio che “la maggior parte degli uomini di scienza” delle origini era “modelli di pietà religiosa” (B. Russell, Storia della filosofia occidentale, Tea, Milano, 1991, p. 521, si veda anche Paolo Rossi, La nascita della scienza in Europa, Laterza, Roma-Bari, 2011, p. 203-214). E lo erano proprio perché nella natura non vedevano il caos, o, come i pagani, continui prodigi (che altrimenti avrebbero attribuito, come nel mondo antico, a divinità molteplici e immanenti), ma le leggi. E nelle leggi della natura vedevano il Legislatore, il “divino Artefice” (Copernico), il “Pantocrator e Reggitore universale” (Isaac Newton), il “sommo Musico” (Keplero)…
E' la comprensibilità dell'universo, che richiede una intelligenza che lo origini, è l'ordine che richiede un Ordinatore; è la bellezza e l'armonia dell'universo che esigono una spiegazione razionale, e non il caso. E' l'intelligenza che pervade la materia non intelligente e che caratterizza l'uomo, a richiedere un Dio Logos, Ragione, Intelligenza suprema.
Ma se Dio esiste, allora i miracoli sono possibili.
IL MONDO COME OROLOGIO
Quale fu l'immagine che i padri della scienza utilizzarono per descrivere il mondo che stavano imparando a conoscere?
Un'immagine che era nata presso i teologi e filosofi cristiani medievali, non pochi dei quali possiamo considerare, oggi, antenati della scienza sperimentale stessa. Roberto Grossatesta, vescovo di Lincoln, i cui studi sulla luce e la cui ipotesi di un Big Bang ante litteram suscitano il crescente interesse dei fisici (vedi ad es. Nature 507, 161-163, 1 Marzo 2014), definiva il mondo, nel XIII secolo, mundi machina, la macchina del mondo.
Per il vescovo Nicola di Oresme (XIV sec.), uno dei primi a proporre la rotazione terrestre, questa macchina era assimilabile ad un “orologio”. E l'orologio meccanico, inventato dai monaci, diverrà proprio la metafora vincente della fisica classica.
Il premio Noble per la chimica Ilya Prigogine spiega perché il modello della natura per la scienza classica sia stato l'orologio: “Perché l'orologio è diventato quasi immediatamente il simbolo stesso dell'ordine delle cose?….L'orologio è un meccanismo costruito, sottomesso a una razionalità che gli è esterna, governato da un progetto che le sue rotelle realizzano ciecamente. Il mondo-orologio è una metafora che evoca il Dio orologiaio, razionale costruttore di una natura robotica. Parimenti esiste un certo numero di metafore e di valutazioni della scienza classica, del suo obiettivo e dei suoi mezzi che suggerisce che ai suoi inizi si sia stabilita una risonanza tra un discorso teologico e l'attività sperimentale di teoria e misura. Tale risonanza potrebbe avere contribuito ad amplificare e a stabilizzare la pretesa per cui gli scienziati stavano scoprendo il segreto della 'grande macchina dell'universo'” (La nuova alleanza. Metamorfosi della scienza, Einaudi, Torino, 1999, op. cit., p. 46).
Dunque, ricapitoliamo: l'idea dei padri della scienza è che vi sia un Creatore intelligente, assimilabile, con una immagine che non vuole essere più che un'immagine, ad un grande Orologiaio, ed una natura creata, quella materiale, paragonabile (non riducibile, se non per Cartesio) ad un orologio. Se trovo un orologio, cioè un meccanismo non intelligente, che funziona secondo regole, per un fine intelligente – questo era il ragionamento – devo presupporre un Orologiaio che ne è la causa; di più: poiché crediamo in un Dio intelligente, si sosteneva, allora dobbiamo ipotizzare che tutto nella natura funzioni secondo regole intelligenti, che, quindi, quando non sono ancora scoperte, vanno trovate.
Se fin qui è chiaro il ragionamento, allora possiamo fare il passaggio successivo: come mai in Copernico, Galilei, Pascal, Boyle, Newton, Stenone, Leibnitz…o troviamo la fede esplicita nei miracoli o non troviamo mai alcuna obiezione alla loro possibilità? Perché, molto semplicemente, costoro ragionano come i teologi medievali: come la ragione di un orologiaio, non è vincolata dall'orologio che ha prodotto, perché potrebbe farne tanti altri, diversi e in diverso modo, analogamente la Ragione di Dio (che non solo produce, ma crea) non è limitata dalle regole che Essa stessa ha posto, dal momento che ne avrebbe potute porre altre ben diverse; come la ragione di un costruttore di macchine non è limitata dalla macchina che produce, perché potrebbe imporle qualsiasi modifica dall'esterno, conoscendone, internamente, tutti i meccanismi, così la Ragione di Dio è libera di interrompere, o superare, le leggi che essa stessa ha posto nell'orologio del mondo.
ROBERT BOYLE E ISAAC NEWTON CONTRO SPINOZA E HUME
Facciamo allora qualche esempio. Robert Boyle (1627-1691) è uno dei padri della chimica e in generale della scienza sperimentale, ed è tra i fondatori della Royal Society inglese. Molto credente, dedica ai miracoli di Cristo varie riflessioni, convinto che il Dio Creatore è un Essere onnipotente, cui obbediscono Cieli e Terra. Boyle afferma di non poter dimostrare, con la ragione umana, il miracolo dei miracoli, la Resurrezione: ma afferma che la ragione non può negarla, perché Dio, creatore onnipotente di questo ordine e di queste leggi, non può essere dalle sue creazioni definito e limitato. “In un mondo in cui le regolarità sono espressione della potenza e del disegno divino e non appartengono alla natura in quanto tale – chiosa Salvatore Ricciaro – le leggi perdono il carattere di necessità per divenire contingenze”.
Scrive Boyle: “E in verità se consideriamo Dio come l'autore dell'universo, come colui che ha liberamente stabilito le leggi del movimento, e come colui il cui concorso è necessario per la conservazione e l'efficacia di ogni agente fisico particolare, non possiamo non riconoscere, che sospendendo il suo corso o cambiando queste leggi del moto, che dipendono specificamente dalla sua volontà, egli può invalidare la maggior parte, se non tutti gli assiomi e i teoremi della filosofia naturale…”.
Ai miracoli crede anche Isaac Newton (1642-1727), per cui è Dio a garantire non solo la Creazione, ma l'esistenza, istante per istante, dell'intero universo (Niccolò Guicciardini, Newton, Carrocci, Roma, 2011).
I primi a mettere in discussione, con un'argomentazione ad hoc, la possibilità dei miracoli, sono, come già accennato, Spinoza (1632-1667) e David Hume (1711-1776): due filosofi, non due scienziati, nell'epoca in cui gli scienziati stanno, appunto, dall'altra parte. Nota infatti Steven Nadler, autore di un testo su Spinoza “Un libro forgiato all'inferno” (Einaudi, 2013, p. 78), che mentre Spinoza esclude i miracoli, perché ha escluso il Dio onnipotente e trascendente, identificando Dio e Natura, al contrario per Newton, Cartesio e Leibnitz, tre eminenti filosofi della natura, come si diceva allora (ma oggi diremmo scienziati o matematici) non solo Dio esiste, ma è pure dimostrabile, e la natura è quindi “Creazione di Dio”, regolata da leggi che sono anch'esse creazione.
Per Leibnitz, contemporaneo di Newton, padre del calcolo infinitesimale, matematico e fisico eclettico di prim'ordine, la “natura delle cose” altro non è che l'ordine scelto da Dio; ordine e natura “di cui Dio si può dispensare in vista di una ragione più forte di quella che l'ha spinto a servirsi di quelle regole” (Leibnitz, Discorso di metafisica, 1686; “quando Dio fa dei miracoli – scrive altrove Leibnitz in un testo polemico sia con i troppi interventi miracolosi previsti da Newton, sia contro Spinoza – non li fa per sostentare i bisogni della natura, ma quelli della grazia”; vedi P. Casini, a cura di, Filosofia e fisica da Newton a Kant, Loescher, Torino, 1980, p. 302-303).
Ma qual è l'argomentazione di Spinoza? Il filosofo sostiene in pratica che i miracoli sarebbero assurdi, essendo che l'attività di Dio e della Natura coincidono, e quindi, tutto ciò che accade, accade necessariamente. Per Hume, invece, i miracoli sono semplicemente incredibili, perché contrari all'esperienza e all'uniformità delle leggi di natura. Uniformità che per Hume esiste, senza essere giustificata (Hume nega, infatti, il principio di causalità).
IL PENSIERO DI ALTRI SCIENZIATI E MATEMATICI
Contemporaneo di Spinoza, ma in Francia, vive un filosofo, matematico e fisico i cui contributi nel campo scientifico sono vari, originali e importanti: Blaise Pascal (1623-1662). Nel campo scientifico lo ricordiamo almeno per il teorema di Pascal, per la prima macchina calcolatrice, la Pascalina, che ne fa un precursore dell'informatica, per gli studi di fisica sul vuoto e sui fluidi…
Alcuni dei suoi pensieri sono dedicati proprio ai miracoli. Ne basti uno: “Con che ragione vengono a dirci che non si può resuscitare? Che cos'è più difficile: nascere o resuscitare? E' più difficile, che ciò che non è mai stato sia, o che ciò che è stato sia ancora? E' più difficile essere o ritornare a essere? L'abitudine ci fa sembrare facile l'essere; la mancanza di abitudine ci fa sembrare impossibile il ritornare ad essere. Che modo ingenuo, popolare di giudicare!” (Pensieri, 357). Nel secolo dei Lumi la critica ai miracoli viene soprattutto dal filosofo Voltaire (1694-1778), che alla luce del suo deismo considera i miracoli contraddittori rispetto alla natura di Dio, mentre su posizione opposta si schiera il più grande matematico del secolo, Leonard Euler (1707-1783), nel suo Saggio di una difesa della Divin rivelazione.
Nell'Ottocento, per brevità, possiamo citare la difesa dei miracoli ad opera del matematico Paolo Ruffini (1775-1822), in appendice al suo Saggio sull'immaterialità dell'anima e un grande fisico come George Stokes (1819-1903), presidente della Royal Society, autore di fondamentali contributi nel campo della dinamica dei fluidi, della geodesia, dell'ottica (ricordiamo l'equazione di Stokes-Einstein, l'equazione di Stokes-Navier, la legge di Stokes, la regola di Stokes sull'irraggiamento, il teorema di Stokes, l'unità di misura stokes della viscosità cinematica nel sistema…).
L'argomento con cui Stokes giustifica la sua fede nei miracoli è ancora, nonostante i tempi, quello classico: “Sarebbe assurdo negare alla volontà creatrice le facoltà che posseggono gli esseri creati”, cioè il libero arbitrio. Perciò “se noi immaginiamo le leggi naturali come qualcosa di autonomo e di increato, non possiamo ammettere nessuna deviazione da esse. Ma se le pensiamo come intese da una volontà superiore, bisogna pur supporre la possibilità di sospenderle in qualche caso particolare…” (cit. in Kneller, Il cristianesimo e i naturalisti moderni, Brescia, 1906, p. 216 e seg.).
Nel Novecento la parola “miracolo”, usata con varie sfumature, ma mai casuale nelle parole di uno scienziato, compare spesso nei testi di Albert Einstein e di tanti altri scienziati (Francis Collins, celebre genetista, dedica varie pagine alla possibilità dei miracoli nel suo Il Linguaggio di Dio e così il matematico italiano Antonio Ambrosetti, nel suo La matematica e l'esistenza di Dio).
Soprattutto in Inghilterra, patria di Hume, il dibattito rimane ancora oggi caldo.
Si segnala per esempio il percorso intellettuale di Antony Flew (1923-2010), a lungo massimo difensore mondiale dell'ateismo filosofico e seguace della posizione di Hume, poi convertito al teismo, perché convintosi che l'origine del cosmo, quella della vita e quella dell'uomo non possano essere inseriti in una spiegazione naturalistica dell'uniformità della natura e che non si possa fare a meno di una Intelligenza suprema all'origine di tutto (“Credo che l'universo sia stato creato da un'Intelligenza infinita e che le sue intricate leggi manifestino ciò che gli scienziati hanno chiamato la 'Mente di Dio'”).
Piuttosto noto agli appassionati anche il dibattito tra il biologo Richard Dawkins, ateo e fortemente contrario alla possibilità dei miracoli, e il matematico cristiano John Lennox, docente di matematica ad Oxford.
Vale la pena concludere a partire dalle considerazioni di quest'ultimo.
Lennox ricorda anzitutto il concetto da cui si è partiti: “L'intelligibilità razionale è una delle principali considerazioni che hanno indotto pensatori di tutte le generazioni a dedurre che l'universo debba essere a sua volta un prodotto dell'intelligenza. Il filosofo Keith Ward riassume così: 'Alla maggioranza di coloro che hanno riflettuto profondamente e hanno scritto sull'origine e sulla natura dell'universo è parso che quest'ultimo puntasse al di fuori di sé indicando una fonte non fisica e di grande intelligenza e potenza. Quasi tutti i grandi filosofi classici videro risiedere l'origine dell'universo in una realtà trascendente. Avevano idee specifiche differenti riguardo a tale realtà e modi diversi di avvicinarla; ma che l'universo non si spieghi da sé e che richieda qualche spiegazione al di fuori di sé era una cosa che accettavano in quanto piuttosto ovvia'” (Lennox, Dio e la scienza, Armenia, Milano, 2009).
Poi Lennox ragiona riguardo alla possibilità del Creatore delle leggi di intervenire nel creato: “Dal punto di vista teistico, le leggi di natura predicono ciò che accadrà se Dio non interviene; anche, naturalmente, non è certo un ladrocinio se il Creatore interviene nel suo creato. Sostenere che le leggi di natura ci rendano impossibile credere nell'esistenza di Dio e nella possibilità del suo intervento nell'universo è palesemente erroneo. Sarebbe come affermare che la conoscenza delle leggi che governano il comportamento dei motori a combustione interna rendano impossibile credere che il progettista di un'automobile o uno dei suoi meccanici possano intervenire per rimuovere la testa del cilindro. Certo che potrebbero intervenire. Inoltre questo intervento non farebbe venir meno tali leggi. Le stesse leggi che spiegavano perché il motore funzionasse con la testa del cilindro montata adesso spiegherebbero perché non funziona una volta rimossa la testa” (op. cit., pp. 250-251).
Nel passaggio successivo, argomentando contro Hume, Lennox ricorda inoltre che c'è un evento da cui dovremmo, oggi come oggi, partire: l'origine dell'universo. A quanto ne sappiamo “a parte il fatto ovvio che nessuno l'ha mai osservata, gli scienziati considerano il Big Bang una singolarità nel passato, un evento irripetibile”. Secondo molti all'origine del Big Bang non valgono neppure le leggi della fisica che conosciamo, per cui il tema dell'uniformità della natura viene doppiamente a cadere. Ma soprattutto ritorna attualissima la prospettiva teologica: se l'universo è nato, sembra difficile dire che esso sia da sempre e per sempre tutta la realtà esistente; a maggior ragione la natura sembra originare non da se stessa, ma da altro.
Spinoza negava la distinzione tra Dio e Natura; negava, di conseguenza, la possibilità della creazione dal nulla (non potendo Dio esistere senza il mondo), da lui considerata come una delle tante sciocchezze contenute nel Genesi. Da queste due negazioni, traeva come conseguenza logica l'impossibilità dei miracoli.
Ma il Big Bang è assai più somigliante ad una creazione dal nulla, che ad un mondo divino, eterno, necessario (vedi F. Agnoli, Scienziati dunque credenti, Siena, 2012).
Al giorno d'oggi, alla luce dell'evoluzione cosmica, si parla di universi possibili, più che di un Universo necessario e necessitato; lo stesso divenire evolutivo dell'universo contrasta con l'idea di Universo come Assoluto, Statico e Immutabile, alla maniera di Spinoza. Un universo che appaia creato, richiedendo una Causa che lo generi, riporta all'affermazione di Eulero, che nel testo citato, al paragrafo XLVII, parlando degli “increduli”, sosteneva: “Sembra loro sopra tutto incredibile che il Mondo abbia avuto principio, e molto più incredibile, che debba finire. Temono cioè di dover allora riconoscere un'azione immediata di Dio su questo mondo e sul nostro stato”.
Potremmo chiosare Eulero con le considerazioni del matematico Nicola Fergola (Teorica dei miracoli esposta con metodo dimostrativo, Milano, 1842) per il quale se Dio ha creato l'universo dal nulla, se la materia è venuta all'essere dal non essere, come non concepire la possibilità, per il Creatore di ogni cosa, di essere padrone delle sue creature? Osserviamo quel piccolo pallino originario, quell'esplosione per cui, da un briciolo di materia si forma l'immenso universo: è assurdo vederlo come un miracolo? Come un fatto straordinario e irripetibile, in cui la materia svela il suo limite, la sua creaturalità, ma anche l'onnipotenza del suo Creatore e la sapienza delle Sue leggi?
Parafrasando Pascal: è più facile che un uomo che era vivo rinasca, o che nasca l'universo intero?
Per concludere, visto che dalla Resurrezione siamo partiti: alcune ricerche, illustrate ad esempio dal fisico Giuseppe Baldacchini, già dirigente presso il centro Enea di Frascati (Roma), ipotizzano che la Sindone sia il prodotto di un'esplosione incredibile di luce-energia analoga a quella del Big Bang. Un corpo, quello di Cristo, si smaterializza attraverso un'esplosione di luce che si incide sul lino del Sudario. E' possibile che la luce (Dio significa, appunto, “Luce”) – scrive Baldacchini – abbia avuto “un ruolo fondamentale nella Resurrezione e nella creazione dell'Universo”.