Si vota in sette regioni chiave, con ripercussioni a livello nazionale. Cosa cambia dopo l’“abolizione” delle province.di Iole Mucciconi
Il 31 maggio 17 milioni di italiani sono chiamati al voto per rieleggere il presidente e il consiglio ragionale: tanti sono gli elettori delle sette regioni interessate, Veneto, Liguria, Toscana, Marche, Umbria, Campania e Puglia. Lo stesso giorno si rinnoveranno anche 1.089 amministrazioni comunali, salvo attendere possibili ballottaggi fissati per il 14 giugno, per l’elezione dei sindaci dei comuni con più di 15 mila abitanti. Tra questi, alcuni capoluoghi di provincia: Venezia, Trento, Bolzano, Agrigento, Arezzo, ad esempio.
A proposito di province, queste elezioni coinvolgono anch’esse, seppur non direttamente. Sappiamo che la “legge Delrio”, benché nota per aver “abolito” le province, in realtà le ha molto ridimensionate nelle funzioni e nel personale e ha trasformato alcune di loro (Roma, Milano, Torino, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria) in città metropolitane, irrobustendone le responsabilità. Riguardo gli organi, la nuova legge ha eliminato l’elezione diretta dei presidenti e dei consigli provinciali, introducendo un’elezione di secondo grado, alla quale partecipano i sindaci e i consiglieri dei comuni della provincia. Inoltre, è nato il collegio dei sindaci, composto da tutti i sindaci del territorio provinciale. Pertanto, anche se tali nuovi organi provinciali sono stati eletti lo scorso 12 ottobre, almeno in parte saranno coinvolti dal rinnovo di sindaci e consigli comunali.
Ma a intrecciare le vicende di regioni, comuni e province concorrono anche profili più sostanziali, che riguardano l’effettiva entrata in vigore del nuovo assetto provinciale. Qui si cominciano a registrare gli italici ritardi: al 31 marzo, data stabilita dalla legge Delrio per il varo delle leggi regionali attuative, solo tre regioni avevano ottemperato. Dal primo gennaio, inoltre, per opera della legge di stabilità, le province si sono trovate un miliardo in meno di entrate per il 2015 (altri due sono previsti per il 2016 e tre dal 2017), oltre al dimezzamento del personale in organico.
Combinando ritardi e tagli, è facile comprendere il generale livello di incertezza, che non si ferma alle province, ma investe anche comuni e regioni, anch’essi per di più provati da entrate ridimensionate e fisco aumentato, un paradosso che nasce dalla destinazione statale di una bella fetta di entrate locali, a partire dall’Imu.
Insomma, le prossime elezioni si svolgono in un quadro davvero complicato. Eppure l’informazione è generalmente focalizzata sugli aspetti che riguardano le candidature alle regionali, dove si svolgono partite che si ripercuotono sulla politica nazionale e che riguardano sia il profilo dei singoli candidati, sia le alleanze o le rotture di coalizioni.
Naturalmente per i cittadini è importantissima la sorte del governo nazionale, ma è altrettanto importante il governo degli enti territoriali; speriamo che laddove si svolgono le elezioni, la campagna elettorale sappia riaccendere l’interesse alla partecipazione e sfidare l’astensionismo.