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Così i cattolici hanno perso il referendum sulle nozze gay in Irlanda

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 25/05/15
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L’arcivescovo di Dublino fa mea culpa. E adesso la battaglia arriva in Italia. Mogavero e Galantino aprono al confrontoLa Chiesa Cattolica irlandese è ancora intenta a leccarsi le ferite dopo il prevedibile exploit dei "si" alle nozze gay (62%). Che sono tanto più gravi se si pensa che l'Irlanda, come risaputo, è uno dei paesi più cattolici d'Europa. 

Sia l’episcopato irlandese che il Vaticano, scrive Giacomo Galeazzo su La Stampa (24 maggio), erano a conoscenza dei sondaggi che indicavano in svantaggio il fronte contrario al matrimonio gay. Settori conservatori del cattolicesimo irlandese avevano alla vigilia del voto attaccato esplicitamente le gerarchie ecclesiastiche che a loro parere non si erano impegnate a sufficienza a favore del "no"

NEGAZIONISMO SULLA PEDOFILIA
Un coro unanime di osservatori ha puntato l'indice, come prima causa della debacle, sugli scandali di abusi sessuali e pedofilia che hanno coinvolto negli ultimi anni sacerdoti della Chiesa irlandese. Per il sociologo cattolico Massimo Introvigne
, presidente nazionale dell'associazione "Sì alla famiglia", la vicenda «ha tolto autorevolezza alla voce della Chiesa irlandese. Benedetto XVI aveva indicato la strada: no al negazionismo di fronte a fatti che definiva vergognosi e per cui chiedeva scusa, ma anche a un’interpretazione subalterna ai modelli dominanti» (La Stampa, 24 maggio). Capacità che secondo Introvigne, sono venute meno nella Chiesa irlandese. 

LA DELUSIONE DEGLI IRLANDESI
Rincara Massimo Borghesi, ordinario di Filosofia Morale a Perugia, sul suo profilo facebook: «La Chiesa che aveva consegnato la sua appartenenza all’identità irlandese e ad un messaggio incentrato soprattutto sulla dottrina morale, si è trovata allo scoperto sia per gli scandali che hanno investito il clero, sia per il venir meno della polemica antiprotestante privata del suo terreno dagli accordi tra cattolici e protestanti, nell’Irlanda del Nord, favoriti dal presidente americano Clinton e dal governo inglese di Tony Blair. Il risultato è l’abbandono della Chiesa e la crisi della fede nelle giovani generazioni».

I NUMERI DELLA CRISI
Per il vaticanista Salvatore Mazza su Avvenire (25 maggio), «il messaggio subliminale che si trattasse di un plebiscito sulla Chiesa c’è stato. A cominciare dall’imputare all’ "oscurantismo" dettato da una Chiesa "retrograda" la responsabilità della legge che fino al 1993 considerava l’omosessualità un reato, quando invece si trattava di un retaggio della dominazione britannica». I numeri della crisi cattolica, ben riassunti da Enrico Franceschini su La Repubblica (24 maggio), non ammettono repliche: oggi l'85 per cento degli irlandesi si dichiara credente, ma mentre trent'anni fa i praticanti erano il 90 per cento, ora sono a stento il 30 per cento. 

LA "SVOLTA" DI DUBLINO
Il primo a scavare nelle radici di questa profonda crisi è stato l'arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin, denunciando, attraverso un evidente "mea culpa", che la Chiesa irlandese non è al passo coi tempi: «Stiamo diventando una Chiesa di quelli che la pensano tutti allo stesso modo – ha sentenziato il presule – una sorta di rifugio sicuro per quelli che la pensano come noi». 

"LA CHIESA DEVE FARE UN ESAME"
«Penso davvero che la Chiesa abbia bisogno di compiere un esame di realtà – ha proseguito monsignor Martin – un esame a tutti i livelli, per verificare quello che va bene, ma anche quegli ambiti sui quali dobbiamo cominciare a chiederci: "Attenzione, ci siamo allontanati del tutto dai giovani?"» (VinoNuovo.it, 24 maggio).  Questo non significa «rinunciare a trasmettere il nostro insegnamento sui valori fondamentali del matrimonio e della famiglia». E non significa nemmeno «scavare delle trincee».

SERVE UN NUOVO LINGUAGGIO
Secondo l'arcivescovo di Dublino è necessario «trovare un nuovo linguaggio che sia essenzialmente nostro ma allo stesso tempo parli, sia compreso e possa essere anche apprezzato dagli altri. Tendiamo troppo a pensare al bianco e al nero, ma la maggior parte di noi viviamo nell'ambito del grigio; e dal momento che la Chiesa ha un insegnamento duro sembra che con questo condanni tutti coloro che non sono in linea».

LO STILE VINCENTE DELLA COMUNICAZIONE LGBT
Questa considerazione si può evidenziare in due "piani". Il primo è quello del linguaggio comunicativo. Sicuramente sotto questo punto di vista i gruppi in campo per il "Si" hanno inferto una lezione ai cattolici per creatività del messaggio, emotività e capillarità della diffusione. Basti pensare alla campagna "Yes equality", che ha fatto registrare numeri da capogiro: sono stati distribuiti ad esempio 2 milioni di volantini e adesivi in tutto il Paese (che conta una popolazione di 4 milioni e mezzo di abitanti), oltre 6mila t-shirt e 2mila borse, sono nati ben 60 comitati locali a sostegno delle ragioni del "Si". Sui social, poi, si è registrato un vero e proprio boom: su facebook 67mila seguaci della campagna, quasi 3milioni le persone raggiunte; su twitter 15mila followers e duemila tweet. Infine 155mila pagine visitate sul sito (www.yesequality.it).

L'EFFETTO IRLANDA CONTAGIA L'ITALIA
Il secondo "piano" si riferisce a come la Chiesa si pone attualmente di fronte a certi temi. Il rischio che l'effetto-Irlanda si estenda anche al nostro Paese è sotto gli occhi di tutti. Basti pensare alle dichiarazioni del ministro delle Riforme Maria Elena Boschi, braccio destro del premier, che ha già annunciato l'accelerazione del disegno di legge sulle unioni civile dopo le regionali (Corriere della Sera, 24 maggio), o alle parole di Angelino Alfano, leader del nuovo Centrodestra, il partito che ha depositato la gran parte dei 4mila emendamenti al ddl per le unioni di fatto. «Non sono contrario alle unioni civili», ha detto Alfano (Il Fatto Quotidiano, 25 maggio).  

MOGAVERO APRE SUL DIALOGO
Sulle colonne de La Stampa (25 maggio) il vescovo di Mazara del Vallo, mons. Domenico Mogavero, canonista e commissario Cei per l’immigrazione, sostiene che il segnale «non va ignorato nel nostro paese».  I gay, dice monsignor Mogavero, «non sono malati da curare e sia nell’azione del legislatore, sia nella pastorale della Chiesa al centro deve esserci sempre la persona». Cita Papa Francesco, il Sinodo, ed evidenzia: occorre «prenderne atto con realismo e dare una risposta». «Meglio il dialogo della finzione» (La Stampa, 25 maggio).

GALANTINO: OK CONFRONTO, MA NO IDEOLOGIE
La strada del dialogo, come primo passo verso quel "cambio di rotta" auspicato dall'arcivescovo di Dublino? Interessante, in tal senso, appare la posizione del segretario della Cei Nunzio Galantino in un'intervista al Corriere della Sera (25 maggio). La Chiesa, ragiona Galantino, non accetta «equiparazioni» tra le unioni omosessuali e «quella che non chiamerei famiglia tradizionale, ma costituzionale». Tuttavia il vescovo non lancia anatemi e piuttosto argomenta, «il recupero della ragione è importante», chiedendo un confronto libero da «forzature ideologiche».

IL METODO SINODALE
«Io sogno il momento – osserva il segretario della Cei – in cui tutto ciò che riguarda la persona, sia come singolo sia come realtà sociale, venga affrontato al netto di ogni ideologia, interesse, colore partitico. Ci vuole la serenità del confronto, mettere da parte le passioni eccessive per fare il bene di tutti. E se questo non lo favorisce uno Stato, un governo, chi altri deve farlo? Io chiedo ci sia un tavolo nel quale incontrare e non scontrarsi…». Lo definisce «metodo Sinodale», di confronto. 

LA CHIESA NON NEGA I DIRITTI
La posizione della Chiesa e di qualsiasi persona «ragionevole« non è quella «di negare i diritti delle persone, ma non è che diritti individuali sacrosanti debbano regolare la vita di chiunque, stiamo attenti a forzature che mettono in un angolo la famiglia. Ideologia è rendere assoluta una parte della realtà, farla diventare l’unica visibile. Equiparare realtà differenti. È una realtà che due persone dello stesso sesso possano provare attrazione, simpatia, affetto, il desiderio di un progetto comune. Ma bisogna guardare tutta la realtà».

UN TAVOLO ORIZZONTALE
Non servono «cavalli di Troia», evidenzia Galantino, ma «cominciamo a dire cosa è la famiglia, che cosa appartiene a una realtà e cosa a un’altra, dopo facciamo altri ragionamenti. Nel piano inclinato si trovano a loro agio le ideologie. A me piacerebbe un tavolo orizzontale, sul quale poniamo le nostre ragioni. Non si tratta di fare a chi grida di più, i “pasdaran” delle due parti si escludono da sé. Ci vuole un confronto tra gente che vuol bene a tutti». 

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