Quando l’utilitarismo in bioetica genera mostridi Giuseppe Brienza
Ultimamente anche ambienti che fino ad oggi hanno sempre ignorato la “bioetica mortifera” di Singer, ne stanno prendendo coscienza, riportandone le tesi con una certa apprensione. “Sopprimere i bimbi disabili per ridurre i costi sanitari”. La tesi choc del filosofo Peter Singer: è questo, per esempio, il titolo di un articolo pubblicato lunedì scorso da Sonia Bedeschi su “Il Giornale”.
«Stiamo già compiendo dei passi che portano alla terminazione consapevole e intenzionale della vita dei bambini gravemente disabili», assicura il “bioeticista” australiano citato dal quotidiano diretto da Alessandro Sallusti, il tutto per abbattere i costi nella sanità. Una tale proposta è di quel «filosofo della liberazione animale, fautore della linea della “parità” tra uomini e bestie» che, in una recente intervista radiofonica, aggiunge la Bedeschi, «è ritornato a ribadire con convinzione le sue famigerate tesi sull’infanticidio dei bambini handicappati, misura che per il professore australiano, trapiantato negli Stati Uniti, sarebbe necessaria nella logica del rapporto tra costi e benefici, tanto da spingere il governo e le compagnie assicurative a pensare di negare le coperture per la cura dei neonati gravemente disabili».
Il professore australiano indica il bambino disabile con il pronome “it” che in inglese viene usato per riferirsi a cose o animali e, «Sull’onda di questo pensiero gli è stato chiesto se crede che con l’Obamacare queste sue tesi estremiste sulla “razionalizzazione” della spesa sanitaria prevarranno, e Singer ha risposto che stanno già prevalendo perché oggi molte delle decisioni prese dai medici sono dettate dall’esigenza di ridurre i costi» (Sonia Bedeschi, “Sopprimere i bimbi disabili per ridurre i costi sanitari”.La tesi choc del filosofo Peter Singer, in Il Giornale, 18 maggio 2015).
La “sostenibilità etica” accampata da Singer della soppressione dei disabili gravi attraverso l’“eutanasia non volontaria”, rimanda ad una linea di pensiero bioetcista che «è destinata a spuntarla» negli Stati Uniti dell’era Obama. Con la riforma del presidente Democratico, infatti, il rifiuto di curare i neonati malformati è destinata a diventare più comune, secondo il “filosofo” australiano, ma sarebbe già in parte praticata. Queste le sue esatte parole: «Se un bambino nasce con una massiccia emorragia cerebrale significa che resterà così gravemente disabile che in caso di sopravvivenza non sarà mai in grado nemmeno di riconoscere sua madre, non sarà in grado di interagire con nessun altro essere umano, se ne starà semplicemente sdraiato lì sul letto e potrà essere nutrito, ma questo è quel che avverrà, i dottori staccheranno il respiratore che tiene in vita il bambino. Non so se essi siano influenzati dalla necessità di ridurre i costi. Probabilmente sono influenzati semplicemente dal fatto che per i genitori quello sarà un fardello terribile, e per il figlio non ci sarà alcuna qualità della vita”. Non rimane che interrogarsi sul valore della vita, dell’essere umano e di quanto la vita stessa sia subordinata a costi e profitti».
Sembra impensabile, ma queste opinioni non sono sostenute da una persona qualunque, dato che l’accreditamento internazionale di Singer è è in crescita negli ultimi decenni in molti Paesi occidentali, compresa l’Italia.
Per esempio L’UNICEF, che è l’agenzia dell’Onu che dovrebbe occuparsi della tutela dei bambini, ha sponsorizzato il 20 giugno 2011 una conferenza di Singer proprio nel nostro Paese (all’Università LUISS di Roma), con il patrocinio anche di gruppi industriali italiani, che hanno dato il massimo risalto ad un intervento di Singer che, addirittura, inaugurava un ciclo di conferenze dell’UNICEF dedicato alla filantropia. Il professore anti-vita, nato a Melbourne (Australia) nel 1946, dal 1999 è docente di Filosofia morale presso il “Centre for Human Values” della Princeton University e di Bioetica nel “Center for Applied Philosophy and Public Ethics” della Trobe University di Melbourne. Precedentemente ha insegnato nelle università di Oxford, New York, Colorado (Boulder) e California (Irvine), ha diretto il “Centre for Human Bioethics” della Monash University (Melbourne) ed è stato fra i fondatori dell’International Association of Bioethics.
Singer è autore di diversi volumi su temi di bioetica e diritti degli animali, anche se, e ci tiene a precisarlo, «non ama gli animali» e non ha mai tenuto in casa cani o gatti. Eppure il suo libro “Liberazione animale” (1975, mentre del 1991 è la sua traduzione italiana) è stato tradotto in sei lingue e viene considerato il manifesto del movimento animalista mondiale.
Partendo dal presupposto che ci sono esseri umani che ancora non soffrono, non possono soffrire o non sono più in grado di soffrire, il “filosofo” australiano ha preso chiaramente posizione a favore dell’utilizzo di embrioni umani come cavie al posto di animali per l’eventuale verifica della tossicità dei farmaci. Per giustificarsi Singer ha sostenuto che l’embrione nelle prime settimane di vita non prova dolore e, nei suoi interventi e scritti, non si limita soltanto a sostenere la sperimentazione sugli embrioni o sui comatosi (per il fatto che essi comunque non soffrono), ma sostiene moralmente la soppressione di quei neonati con malformazioni tanto gravi da far ritenere che la loro vita sia priva di ogni valore.
Partendo da una posizione radicalmente utilitarista, Singer «sostiene il principio della eguale considerazione degli interessi non soltanto tra uomini, ma anche tra uomini e animali. Un principio di uguaglianza basato sulla capacità di provare sofferenza e piacere in funzione dell’utilità» (Antonio Gaspari, Da Malthus al razzismo verde. La vera storia del movimento per il controllo delle nascite, 21 Secolo, Milano 2000, p. 173).
Coerentemente con questa visione del mondo, il “bioeticista” afferma che all’origine di molti “malintesi etici” ci sarebbe la distinzione fra “vita umana” e “persona”: «È possibile dare a “essere umano” un preciso significato. Possiamo usare il termine come equivalente a “membro della specie Homo Sapiens”. Se un essere appartenga o meno ad una specie viene determinato dall’esame dei cromosomi di una sua cellula. In questo senso non c’è dubbio che dal primo momento dell’esistenza un embrione nato dallo sperma umano e da un ovulo è un essere umano, anche nel caso si tratti di un essere profondamente e irrimediabilmente disabile, come nel caso di un anencefalo, cioè di un bambino senza cervello».
«Ma c’è un altro “umano” – aggiunge Singer nel suo saggio “Practical Ethics” (Cambridge University Press, Cambridge 1993) -. È il senso del termine che abbiamo in mente quando diciamo che qualcuno è “un vero uomo” o presenta “qualità veramente umane”. Nel dire questo, naturalmente, non ci riferiamo all’appartenenza alla specie Homo Sapiens che, in quanto fatto biologico, è raramente in dubbio. Intendiamo invece che quell’essere umano possiede certe qualità caratteristiche» (op. ult. cit., p. 86).
La visione anti-etica di Singer, spiegava già dieci anni fa’ una bioeticista molto in gamba dell’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum”, «lo porta a giustificare comportamenti aberranti come l’infanticidio di bambini malformati, l’eutanasia dei malati più gravi indipendentemente dal loro consenso, l’eliminazione dei disabili. Arriva a sostenere che sia meglio utilizzare embrioni umani come cavie per le sperimentazioni cliniche al posto degli animali da laboratorio. La portata discriminatoria ed eugenetica delle posizioni singeriane lo avvicinano manifestamente a quelle del nazionalsocialismo tedesco del secolo scorso, che non a caso si rifaceva ad una visione del mondo fortemente influenzata dal naturalismo darwiniano, lo stesso che unisce le posizioni ambientaliste, quelle dei programmi anti-natalisti mondiali e quelle razziste alla Singer» (Claudia Navarini, Il posto dell’uomo nel creato e le “violenze” del naturalismo, in Zenit, 6 novembre 2005).
Con impostazioni come quelle di Singer, è chiaro come tutto in etica, nella società e nel diritto tutto viene stravolto: l’uomo, da custode del creato, diviene il cancro del pianeta. Si tratta di un razzismo biologico che ha la sua origine nel fatto stesso di lasciar sopprimere, da parte di chi è nato, chi nato non è ma è già, indubitabilmente, “uno di noi”.