Senza tensione morale e spirituale, la Carta di Milano resterà lettera morta«Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita»: con scelta significativa si è voluto far precedere e accompagnare l'Esposizione Universale di Milano (Expo Milano 2015) da una riflessione su questo tema, proposto al mondo scientifico, alla società civile ed alle istituzioni. Frutto di tale processo è la "Carta di Milano", documento inteso a stimolare la responsabilità di tutti in ordine al diritto al cibo delle generazioni future.
L'appello mi sembra particolarmente rilevante perché – a differenza di quanto avveniva fino a poco prima della metà del secolo scorso – la produzione di cibo sul pianeta oggi sarebbe di per sé sufficiente a sfamare l'intera famiglia umana. Il fatto che ciò non avvenga mette in evidenza come le gravi sperequazioni alimentari siano frutto di una distribuzione inadeguata, conseguenza di scelte politiche e speculative responsabili non solo di molte tragedie connesse alla fame, ma anche di processi migratori dalle dimensioni sempre più vaste e drammatiche.
L'idea centrale della Carta è che occorre giungere all'utilizzo sostenibile delle risorse del pianeta intervenendo su quattro fronti: la promozione di modelli economici e produttivi in grado di garantire uno sviluppo sostenibile in ambito economico e sociale; la verifica dei diversi tipi di agricoltura esistenti, onde individuare e favorire quelli che potrebbero produrre una quantità sufficiente di cibo sano senza danneggiare le risorse idriche e la biodiversità; l'identificazione delle migliori pratiche e tecnologie messe in atto per ridurre le disuguaglianze all'interno delle aree urbane, dove si sta concentrando la maggior parte della popolazione umana; e l'elaborazione e lo sviluppo degli strumenti in grado di sensibilizzare a riconoscere nel cibo non solo una fonte di nutrizione, ma anche una peculiare espressione dell'identità socio-culturale di una comunità.
La Carta si apre con una citazione emblematica dello «Human Development Report 2011», pubblicazione annuale dell'Ufficio delle Nazioni Unite che si occupa dei programmi di sviluppo in atto o da promuovere sul pianeta: «Salvaguardare il futuro del pianeta e il diritto delle generazioni future del mondo intero a vivere esistenze prospere e appaganti è la grande sfida per lo sviluppo del XXI secolo. Comprendere i legami fra sostenibilità ambientale ed equità è essenziale se vogliamo espandere le libertà umane per le generazioni attuali e future». Quest'intento programmatico è declinato anzitutto in riferimento all'impegno di tutti gli abitanti del pianeta, intesi non solo come singoli, ma anche nelle loro diverse possibili aggregazioni politiche, sociali e istituzionali: tutti i cittadini del mondo, sempre più percepito come "villaggio globale", sono chiamati a sottoscrivere la Carta per assumersi «impegni precisi in relazione al diritto al cibo che riteniamo debba essere considerato un diritto umano fondamentale».
L'affermazione immediatamente successiva è di grande impatto morale: «Consideriamo una violazione della dignità umana il mancato accesso a cibo sano, sufficiente e nutriente, acqua pulita ed energia». Gli scopi dell'impegno assunto sono elencati con altrettanta chiarezza: «Combattere la denutrizione, la malnutrizione e lo spreco, promuovere un equo accesso alle risorse naturali, garantire una gestione sostenibile dei processi produttivi». La ricaduta sugli stili di vita da assumere è evidenziata: «Sottoscrivendo questa Carta di Milano affermiamo la responsabilità della generazione presente nel mettere in atto azioni, condotte e scelte che garantiscano la tutela del diritto al cibo anche per le generazioni future». Dinanzi a questo importante messaggio vorrei fermare l'attenzione su due punti chiave, che toccano aspetti etici di fondamentale importanza: la questione del modello economico cui ispirare le scelte e l'impegno da assumere in vista di stili di vita adeguati. La questione del modello che è alla base delle scelte macro e microeconomiche è tutt'altro che secondaria, se solo si pensa alle cause della crisi economico-sociale che negli ultimi ha investito il pianeta, con conseguenze durissime sulla vita della gente comune. Sono state le speculazioni finanziarie a produrre disastri, dovuti al fatto che agenzie senza scrupoli hanno giocato sulla menzogna, inducendo a credere nella perfetta corrispondenza fra economia reale ed economia virtuale.
A un agire economico orientato al solo profitto e all'interesse privato, occorre contrapporre un'economia attenta non solo alla massimizzazione dell'utile, ma anche alla partecipazione di tutti ai beni, al coinvolgimento dei più deboli, alla promozione dei giovani, delle donne, degli anziani, delle minoranze. Un'economia che miri alla messa in comune delle risorse, al rispetto della natura, alla partecipazione collettiva agli utili, al reinvestimento finalizzato a scopi sociali, alla responsabilità verso le generazioni future: fonte e guida della svolta necessaria in questo campo è il principio di gratuità in economia, di cui parla la Caritas in veritate di Benedetto XVI, vero fattore irrinunciabile di sviluppo per tutti. Esso sta a dire che la città futura non potrà essere programmata e gestita secondo logiche esclusivamente utilitaristiche: o sarà frutto di un'economia integrata, che unisca all'interesse pubblico quello privato secondo una logica di "economia civile" in grado di valorizzare tutti i soggetti in gioco e di promuoverne la crescita collettiva, o rischierà di accrescere i processi di frammentazione, che producono la disumanizzazione della vita di tutti. Processi di riconversione industriale e di ottimizzazione del capitale umano, legati anche all'investimento sulla qualità del prodotto, appaiono quanto mai urgenti, inseparabili dalla valorizzazione della centralità della persona umana, come criterio decisivo di riferimento e di misura.
I nuovi stili di vita, corrispondenti a questo tipo di economia, dovranno essere caratterizzati da alcune virtù civili, fra cui specialmente importanti mi sembrano la sobrietà, la responsabilità e la solidarietà. Se la sobrietà motiva ciascuno a non eccedere nelle aspirazioni da soddisfare, imparando a riconoscere il giusto limite delle proprie ambizioni nella necessità di promuovere la partecipazione di tutti al bene comune, educandosi anche ai sacrifici che la causa della giustizia e dell'equità può richiedere, la responsabilità insegna a misurare i propri comportamenti sul bene altrui, di cui farsi carico in maniera adeguatamente corrispondente all'impegno investito per conseguire il proprio. Se questo stile di vita può considerarsi una traduzione del comandamento «ama il prossimo tuo come te stesso», non meraviglia come esso possa richiedere una forte autodisciplina ed esiga motivazioni interiori alte e durature: l'etica della responsabilità di ciascuno nei confronti del bene di tutti non è un gioco, né un impegno a buon mercato. Tuttavia, essa è anche la sola capace di nutrire comportamenti alla fine vantaggiosi per tutti, come dimostrano gli esempi offerti dalla ricostruzione dell'Europa post-bellica e dallo stile di vita di quelli che ne furono i grandi protagonisti, profondamente ispirati a principi evangelici, quali De Gasperi, Adenauer e Schuman. Quest'agire responsabile dovrà essere parimenti sostenuto dalla acquisizione del principio di solidarietà, che non solo afferma la corrispondenza fra bene personale e bene comune, ma stimola all'attenzione verso i più deboli, perché il vantaggio di alcuni non vada a scapito dei meno garantiti e la crescita si distribuisca in maniera equa e proporzionale a favore di tutti. Risulta dunque chiaro che senza una forte tensione morale e spirituale, che è anche condanna di ogni criterio meramente speculativo, la Carta di Milano resterà lettera morta. È a questa tensione che il messaggio di Papa Francesco in occasione dell'apertura di Expo 2015 ha voluto richiamare tutti, dando voce specialmente ai bisogni e alle attese di tutti i poveri della terra.