“Con Francesco fuori dalle catacombe”Due anni e mezzo fa decine di gruppi dell’arcipelago cattolico di ‘sinistra’ (definiti un tempo ‘cattocomunisti’, oggi riuniti sotto il motto “Chiesadituttichiesadeipoveri”) si riunirono a Roma una prima volta per riflettere sull’attualità del Concilio ecumenico vaticano II: era il 15 settembre 2012, a mezzo secolo dal radiomessaggio in cui Giovanni XXIII dava conto delle intenzioni più profonde di quanto stava per essere inaugurato. Da allora ci sono stati altri tre incontri di riflessione, l’ultimo sabato scorso 9 maggio scorso sempre a Roma, nell’auditorio di Largo dello Scautismo. Tema dell’incontro “Gioia e speranza, misericordia e lotta – a 50 anni dalla Gaudium et Spes”. Circa 200 i convenuti, esponenti in primo luogo di “Noi siamo Chiesa” (filiazione italiana di Wir sind Kirche) e di numerose altre realtà tra le quali segnaliamo “Beati i costruttori di pace”, “Centro internazionale Helder Camara di Milano”, “Comunità cristiane di base italiane” (compresa quella di san Paolo a Roma), “Coordinamento delle teologhe italiane”, Coordinamento nazionale delle Comunità d’accoglienza” (il noto CNCA), “Pax Christi”, "Rete dei viandanti", “Piccola Comunità Nuovi Orizzonti” (Messina), “Comunità di base delle Piagge” (Firenze). Adesione anche da parte di diversi massmedia come ad esempio “Adista”, “Confronti”, “Dialoghi” (Lugano).
L’incontro si è chiuso con la pubblicizzazione di una lettera al “caro papa Francesco”, in cui si legge tra l’altro: “Speriamo insieme a Lei che lo Spirito che animò il Concilio ci animi tutti negli impegni del momento attuale nella Chiesa e nel mondo”. Conclusione: “La salutiamo con gioia e speranza, con affetto e gratitudine, nel Signore”. Approvata anche una lettera ai padri sinodali, in cui si critica la Conferenza episcopale italiana per i modi della consultazione anche sul secondo questionario, si chiede che al Sinodo partecipino più “esperti di umanità famigliare”, si invita a non più citare l’ Humanae vitae (“decaduta per mancanza di ricezione, fin dall’inizio, da parte del popolo cristiano”), si postula l’ammissione dell’Eucaristia dei divorziati risposati (“dopo un adeguato percorso spirituale”), si invocano per le persone omosessuali le “aperture contenute” nella Relazione intermedia del Sinodo dell’ottobre scorso (stravolta dalla reazione della maggioranza dei padri sinodali). Le comunità cristiane – si legge nel documento – “devono sostenere ed accompagnare” i divorziati risposati nella loro “scelta responsabile” così come “favorire in ogni modo le unioni civili tra le persone omosessuali”. La speranza finale: “Che i vescovi accettino di essere illuminati dall’alto”. E’ stato anche preannunciato per il 20-22 novembre un grande incontro a Roma, promosso da "We are Church" ("Noi siamo Chiesa" internazionale): relatori principali una teologa dello Zimbabwe e l’ex-gesuita spagnolo Josè Maria Castillo.
RANIERO LA VALLE: ABBIAMO RISCHIATO DI RIUNIRCI COME CARBONARI DI UNA CHIESA CHE NON C’E’
Dell’incontro riportiamo qualche spunto che sembra ridare bene l’atmosfera che si respirava nell’auditorio romano. Chi è l’ottantaquattrenne Raniero La Valle? Da decenni una delle maggiori figure intellettuali di riferimento della ‘sinistra cattolica’: già direttore dal 1961 al 1967 dell’ “Avvenire d’Italia” di Bologna (poi fusosi con “L’Italia” di Milano per dare avvio all’odierno “Avvenire”), parlamentare eletto come indipendente nelle liste del Partito comunista italiano (1976-1992), candidato poi nella “Rete” di Leoluca Orlando, nel 2008 ancora estensore del “manifesto per la Sinistra cristiana” e candidato alle elezioni europee del 2009, per tale “Sinistra”, nella “Lista comunista anticapitalista”.
La Valle ha svolto la relazione introduttiva del Convegno, così esordendo: “Quando tre anni fa abbiamo cominciato i nostri incontri per celebrare i 50 anni del Concilio (…) abbiamo corso un grosso rischio. Perché se nel frattempo non fosse successo niente, se non fosse arrivato papa Francesco, oggi avremmo rischiato di fare dell’archeologia”. Infatti “i poveri sarebbero nelle catacombe e non si riunirebbero invece in Vaticano nell’aula del ‘vecchio Sinodo’, non si farebbero il bagno e la barba sotto il colonnato di san Pietro, non andrebbero al concerto ai primi posti nell’aula Paolo VI e non sarebbero invitati a visitare la Cappella Sistina, dato che anch’essi hanno diritto non solo al pane ma anche alla bellezza”.
Un inizio scoppiettante, con un seguito non meno pirotecnico: “E se fossimo ancora nel deserto in cui eravamo tre anni fa (NdR: ai tempi di Benedetto XVI), il Concilio stesso sarebbe oggi dilaniato tra le diverse ermeneutiche, sarebbe rimosso come un ‘non-evento’, sarebbe esorcizzato perché, come aveva detto Paolo VI, attraverso le sue fessure il fumo di Satana era penetrato nel tempio di Dio, e infine sarebbe sostituito dal Catechismo della Chiesa cattolica del 1992, che secondo il cardinale Levada e Benedetto XVI doveva essere assunto come la vera ricezione del Concilio nell’anno della fede 2012”. Insomma, che paura! “Tutto questo abbiamo rischiato di vivere oggi; abbiano rischiato di riunirci come carbonari di una Chiesa che non c’è, di ricordare un Concilio ormai ‘digerito’, per usare un’espressione di Benedetto XVI”. Ma c’è stato “un segno dei tempi”, che “ha preso la figura di papa Francesco”, tanto che ormai sappiamo che “il pontificato di Francesco non è un fungo spuntato nella Chiesa, ma non è altro che il Concilio che riprende e continua”. Insomma “Concilio e papa Francesco non sono più due eventi a distanza di 50 anni l’uno dall’altro, ma sono ormai un unico evento”. Per Raniero La Valle – che nella parte centrale della relazione ha valorizzato la gioia ( “che si era perduta nei secoli”) e la speranza indicate nella fondamentale Costituzione pastorale promulgata a chiusura del Concilio – con Francesco “dalla Chiesa dei poveri, alla Gaudium et Spes, al Giubileo della Misericordia la linea è tracciata e il cerchio si chiude”.
DON GIOVANNI CERETI: URLAI DI GIOIA AL NOME DI BERGOGLIO
Don Giovanni Cereti è un noto sacerdote e teologo genovese, citato ad esempio anche dal cardinale Walter Kasper a proposito di ammissione all’Eucaristia dei divorziati risposati. La sua relazione all’incontro del 9 maggio era posta sotto il titolo: “Il prossimo Sinodo: problemi aperti”. Anche lui ha esordito con un’immagine forte: “La sera dell’elezione di papa Francesco non ero lontano da piazza san Pietro: alla fumata bianca lasciai tutto e corsi in piazza per vivere con gli altri l’attesa del nome del nuovo Papa. Quando sentii il nome di Bergoglio, nel quale speravo dopo il conclave del 2005, cominciai a urlare di gioia come forse non mi è mai accaduto in vita mia, e quando sentii il nome di Francesco, le urla di esultanza si moltiplicarono, fra lo stupore di tutti i vicini: ma chi è? chi è?”. Rileva subito don Cereti: “Devo dire che fino ad oggi non ho avuto motivo di diminuire la mia gioia”, perché “un’altra primavera secondo il mio modo di sentire si è aperta per la Chiesa, dopo la primavera di papa Giovanni XXIII”. Insomma “viviamo un’epoca straordinaria della storia della Chiesa”. La novità entusiasmante è che sia Giovanni XXIII che Francesco “hanno messo al centro l’uomo: papa Giovanni XXIII aveva spostato l’attenzione dall’errore all’errante, la Gaudium et Spes aveva confermato questa centralità della persona umana che riconoscono insieme credenti e non credenti, e papa Francesco ha spostato l’attenzione dalla dottrina astratta alla persona concreta con tutti i suoi problemi, le sue gioie e le sue sofferenze”. Il teologo genovese ha poi affrontato la ‘questione’ dei divorziati risposati’, ribadendo la sua tesi: la riammissione all’Eucaristia , dopo un periodo di penitenza, “appare pienamente conforme non alla tradizione più recente, ma alla grande Tradizione seguita nella Chiesa antica”. Dice don Cereti: “Il matrimonio sacramento non è una gabbia nella quale una volta entrati non si può uscire: esso è affidato alla responsabilità degli sposi che ne sono i ministri”. Perciò “quando la volontà degli sposi di essere marito e moglie non esiste più”, viene meno “anche la grazia del sacramento”. Ammette don Cereti che “le resistenze a questo nuovo orientamento sono molto forti, e fra chi si oppone a esso c’è chi minaccia apertamente uno scisma”. Tuttavia “un dibattito aperto come quello voluto dal Papa può proprio evitare un tale scisma, cercando di portare attraverso il dialogo e il confronto aperto a una soluzione condivisa”. E’ chiaro però che “il risultato della seconda sessione del Sinodo non appare a questo punto scontato, considerato l’atteggiamento duro di grande parte dell’ala più conservatrice, espressa per esempio dall’episcopato degli Stati Uniti”. C’è però, “per fortuna”, un fatto nuovo: “L’annuncio del Giubileo della Misericordia e la chiarezza e apertura della bolla d’indizione Misericordiae vulnus, che lasciamo davvero sperare bene”.
GIOVANNI SARUBBI, UNA VOCE DISSONANTE
Non tutti nell’arcipelago cattolico ‘di sinistra’ condividono però completamente l’entusiasmo per papa Francesco. Impossibilitato a partecipare, Giovanni Sarubbi (direttore del periodico “Il dialogo” di Monteforte Irpino) ha inviato un lungo messaggio, in cui auspica tra l’altro che “venga superato al più presto l’appiattimento sulle posizioni di papa Francesco, che pervade quasi completamente il nostro ambiente. Camminare a rimorchio di qualcuno, chiunque esso sia, è sempre un fatto negativo in sé”. Per Sarubbi – le cui posizioni sono note da tempo e raccolgono attenzione, ma non grande consenso – la “terza guerra mondiale è iniziata l’11 settembre 2001” e “non se ne vede la fine”; “i musulmani europei vivono oggi la stessa condizione che hanno vissuto gli ebrei negli anni ’30 del secolo scorso”; esistono “enormi disuguaglianze economiche” che generano guerre e milioni di profughi; i mass-media con le loro bugie “favoriscono il clima di guerra, sostengono e fomentano il terrorismo e l’odio razziale”. E papa Francesco? “Sembrava aver intrapreso, con le iniziative sul Medio Oriente e sulla Siria, la strada dell’opposizione decisa alla guerra”. Ma “la sbandata sulla questione armena ed il continuo richiamo attuale alla difesa dei cristiani, come se in guerra morissero solo cristiani e non persone di tutte le religioni, fanno intravedere una divergenza di opinioni in Vaticano su quello che è un nodo fondamentale della nostra vita. (…) L’indizione del ‘Giubileo della Misericordia’, senza una parola sul tema della guerra, non lascia sperare nulla di buono”. Nel dibattito diversi gli interventi su temi vari, dalla guerra in Medio Oriente alla necessità di “rimuovere” l’Humanae vitae, dalla fedeltà alla scelta personale religiosa agli appunti su un viaggio in Salvador e in Guatemala sulla scia dei vescovi assassinati Romero e Girardi.