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Appunti parziali sullo stile di papa Francesco

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Finesettimana.org - pubblicato il 11/05/15
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Una immediatezza simpatica e spontaneadi Angelo Casati

Posso parlare del vescovo di Roma, Francesco, solo per approssimazioni. Sento difficoltà a radunare un turbinio di immagini in un numero ristretto di parole che ne raccontino lo stile. Come parlarne senza cadere nel già detto o nel già celebrato? So di non sfuggire al pericolo: i miei, come spesso mi accade, sono semplicemente appunti. Lo stile di Francesco? D’istinto mi verrebbero al cuore alcune parole di Gesù nei Vangeli: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore».

Non penso di essere molto lontano dal vero immaginando che se lui, Francesco, se le sentisse attribuire, subito cancellerebbe l’ "imparate da me", un’introduzione, che solo Gesù, penso, poteva permettersi, anche se poi ci hanno tentato altri, forse non pesando la devastazione dell’inganno. Uno stile mite e umile che d’immediato mi richiama la promessa di Gesù: «Beati i miti […] erediteranno la terra". Con una mia bizzarra interpretazione, di cui chiedo perdono, oso dire che uno stile mite ha il potere di guadagnare la terra, perché i miti entrano nel cuore dell’intera umanità. E in questo orizzonte sarei tentato di interpretare, arbitrariamente, l’evento di un papa entrato con immediatezza nel cuore della sua chiesa, non solo, ma del mondo: lui già in eredità di terra.

Un’umiltà che ha sorgente: appartiene a chi si sente piccolo davanti a Dio, a chi mette la sua forza in Dio e proprio perché la mette in Dio e non in altro, diventa sorprendentemente coraggioso. Forse anche questo spiega l’estrema libertà di papa Francesco. Come se non avesse paura. Mi seduce il suo stile mite e umile, che è tutt’altro che passività e resa, è confidare in Dio. È confidare sempre e comunque nella forza disarmata e disarmante del vangelo. Per molti di noi, lo confessiamo, è come se assistessimo al prendersi corpo non solo del vangelo, ma anche dei sogni nati con il Concilio.

Dai tempi del Concilio nel cuore di molti di noi erano nati sogni. Che ora sembrano avverarsi. Tra questi il sogno di una chiesa che si svestisse dei molteplici appesantimenti di cui i secoli l’avevano tristemente caricata, per uno stile più libero, più sobrio, più sciolto, alla fin fine più evangelico, meno in contraddizione con il messaggio del suo Signore. Il sogno di una chiesa non domina, ma serva. Ora il titolo di servus servorum Dei, cui sembravano contraddire troppe manifestazioni ecclesiastiche e pontificie, sembra riprendere colore. E lo stile del papa diventa messaggio evangelico, richiamo alla chiesa, perché appaia, anche visibilmente, serva. Di qui, o anche di qui, il forte richiamo contro la mondanità. Un richiamo che, già prima dell’elencazione delle quindici malattie mortali della curia, aveva trovato uno spazio con accenti di una sincerità disarmante nella esortazione apostolica Evangelii gaudium, là dove papa Francesco parla della mondanità della chiesa e scrive:
 

Questa oscura mondanità si manifesta in molti atteggiamenti apparentemente opposti ma con la stessa pretesa di "dominare lo spazio della chiesa». In alcuni si nota una cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del vangelo nel popolo di Dio e nei bisogni concreti della storia. In tal modo la vita della chiesa si trasforma in un pezzo da museo o in un possesso di pochi. In altri, la medesima mondanità spirituale si nasconde dietro il fascino di poter mostrare conquiste sociali e politiche, o in una vanagloria legata alla gestione di faccende pratiche, o in un’attrazione per le dinamiche di autostima e di realizzazione autoreferenziale. Si può anche tradurre in diversi modi di mostrarsi a se stessi coinvolti in una densa vita sociale piena di viaggi, riunioni, cene, ricevimenti. Oppure si esplica in un funzionalismo manageriale, carico di statistiche, pianificazioni e valutazioni, dove il principale beneficiario non è il popolo di Dio, ma piuttosto la chiesa come organizzazione. In tutti i casi, è priva del sigillo di Cristo incarnato, crocifisso e risuscitato, si rinchiude in gruppi di élite, non va realmente in cerca dei lontani né delle immense moltitudini assetate di Cristo (EG 95).

Nel passaggio sembra risuonare una parola che contraddistingue lo stile di papa Francesco: "semplicità", la semplicità evangelica. Uno stile, il suo, semplice, perché concentrato, senza ondeggiamenti o vaneggiamenti, sull’unicum, il suo Signore e, con lui, le sorelle, i fratelli cui si sente mandato, specialmente i poveri.. Semplice e dunque libero, libero da incrostazioni. Libero da un eccesso di organizzazione, che a volte tenta di soffocare anche la sua naturalezza. Come accadde quel giorno in cui volle dare realizzazione al desiderio di incontrare a Caserta un suo amico, il pastore pentecostale Giovanni Traettino, amico dai tempi di Buenos Aires, e si ritrovò che gli organizzarono una visita in diocesi. Dal suo amico andò il giorno dopo, rimase a pranzo con lui, incontrò la sua comunità. Fuori da ogni ufficialità. Uno stile libero che rivendicò come importante, per esempio, il 1 giugno delle sorso anno parlando al popolo del "Rinnovamento carismatico".
 

State attenti a non perdere la libertà che lo Spirito santo ci ha donato! Il pericolo per il Rinnovamento è quello dell’eccessiva organizzazione: il pericolo dell’eccessiva organizzazione. Sì, avete bisogno di organizzazione, ma non perdete la grazia di lasciare a Dio di essere Dio! Tuttavia non c’è maggior libertà che quella di lasciarsi portare dallo Spirito, rinunciando a calcolare e a controllare tutto, e permettere che egli ci illumini, ci guidi, ci orienti, ci spinga dove lui desidera. Egli sa bene ciò di cui c’è bisogno in ogni epoca e in ogni momento. Questo si chiama essere misteriosamente fecondi! (EG 280).

E quello stesso giorno segnalò un altro atteggiamento in contrasto con la libertà dello spirito, disse:

Un altro pericolo è quello di diventare "controllori" della grazia di Dio. Tante volte, i responsabili (a me piace di più il nome "servitori") di qualche gruppo o qualche comunità diventano, forse senza volerlo, amministratori della grazia, decidendo chi può ricevere la preghiera di effusione o il battesimo nello Spirito e chi invece non può. Se alcuni fanno così, vi prego di non farlo più, non farlo più! Voi siete dispensatori della grazia di Dio, non controllori! Non fate da dogana allo Spirito santo!

Uno stile libero, aperto, fiducioso, il suo, uno stile che spinge anche noi ad uscire. Si va fuori dei confini, "alle periferie del mondo", direbbe papa Francesco. Alle periferie per abbracciare ogni terra, ogni condizione di vita.

"Periferie", una parola tra le più ricorrenti negli inviti del papa. Che nel grande raduno dei movimenti a Roma disse:
 

Non chiudersi, per favore! Questo è un pericolo: ci chiudiamo nella parrocchia, con gli amici, nel movimento, con coloro con i quali pensiamo le stesse cose…, ma sapete che cosa succede? Quando la chiesa diventa chiusa si ammala, si ammala! Pensate a una stanza chiusa per un anno; quando tu vai, c’è odore di umidità, ci sono tante cose che non vanno. Una chiesa chiusa è la stessa cosa: è una chiesa ammalata. La chiesa deve uscire da se stessa. Dove? Verso le periferie esistenziali, qualsiasi esse siano, ma uscire. […] Io vi dico: preferisco mille volte una chiesa incidentata, incorsa in un incidente, che una chiesa ammalata per chiusura! Uscite fuori, uscite! Pensate anche a quello che dice l’Apocalisse. Dice una cosa bella: che Gesù è alla porta e chiama, chiama per entrare nel nostro cuore (cf. Apocalisse 3, 20). Questo è il senso dell’Apocalisse. Ma fatevi questa domanda: quante volte Gesù è dentro e bussa alla porta per uscire, per uscire fuori, e noi non lo lasciamo uscire, per le nostre sicurezze, perché tante volte siamo chiusi in strutture caduche, che servono soltanto per farci schiavi, e non liberi figli di Dio?

Vorrei concludere — o forse aprire? — ricordando come uno stile di semplicità si sveli, quasi come esito ineludibile, nella semplicità del linguaggio, che non richiede chissà quali mediazioni, ma tocca tutti, tocca tutto, lo spirito e il corpo, senza le schizofrenie del passato. Di questa immediatezza simpatica e spontanea sono permanentemente segno gli innumerevoli interventi di Francesco. Ricordo uno degli ultimi, che mi evocò d’istinto alcune mie riflessioni di anni fa, quando, ancora parroco, ero solito dire che il chiacchierare e il piangere dei bambini durante le celebrazioni erano per me voce e suono d’organo nella mia chiesa e nessuno attentasse a zittire questo organo meraviglioso.

Proprio qualche giorno fa, in occasione dell’amministrazione del battesimo a 33 bambini nella cappella Sistina, papa Francesco sembrò rompere un ultimo tabù. Rivolgendosi alle mamme, disse con estrema semplicità e con luminosa umanità: «Voi mamme date ai vostri figli il latte — anche adesso, se hanno fame e piangono —potete dare loro il latte». Parole di una semplicità disarmante! Parole che toccano i corpi, toccano e accolgono in tutta la sua ampiezza la realtà della vita quotidiana. Mesi fa aveva dichiarato che a infastidirlo non erano i pianti o le grida dei bambini, bensì la gente che manifestava insofferenza verso di loro durante la messa. «I bambini» disse «piangono, fanno rumore, vanno da una parte e dall’altra… e a me dà tanto fastidio quando in chiesa un bambino piange e la gente vuole che se ne vada fuori». «Il pianto di un bambino» soggiunse «è la voce di Dio! Mai, mai cacciarli via dalla chiesa, davvero!».

Appunti, parziali, sullo stile di un papa chiamato Francesco.

[Tratto da “Servitium” n. 2018 del marzo/aprile 2015]

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