Un ritratto insolito del santo di Assisi attraverso il rapporto con i beni della terra, tra sobrietà e convivialitàAnche di pane vive l’uomo e perché no? Pure di mostaccioli, i dolci tipici dell’Italia centrale a base di mandorle, miele e mosto d’uva. San Francesco ne era ghiotto, tanto che li ordinò prima di morire alla nobildonna Jacopa dei Settesogli che gli era molto affezionata.
E’ un ritratto inusuale del santo di Assisi quello proposto da Giuseppe Cassio e Pietro Messa nel libro “Il cibo di Francesco. Anche di pane vive l’uomo” pubblicato dalle Edizioni Terra Santa. Ispirati dall’evento dell’Expo 2015 dedicato al tema “Nutrire il pianeta, energia per la vita” che include tutto ciò che riguarda l’alimentazione – dall’educazione alimentare, al problema della fame nel mondo e della distribuzione delle risorse, alle colture del futuro capaci di nutrire un globo sempre più sovraffollato -, lo storico dell’arte Cassio e il professore di storia del francescanesimo alla Pontificia Università Antonianum, Messa, hanno saccheggiato le fonti francescane seguendo le tracce del rapporto tra il santo di Assisi e il cibo.
Al di là di un’agiografia austera e mistica, raccontano gli autori, Francesco “ci appare come un ‘sano goloso’, un moderato estimatore di buon cibo, che sa apprezzare come dono e segno di letizia e di umile ringraziamento a Dio”.
Il cibo, quindi, come segno della bontà del Creatore da apprezzare in ogni sua espressione, ma sempre nella coerenza con lo stile di vita che fa di Francesco il “poverello” per definizione. Nella Regola non bollata Francesco concede ai frati minori di alimentarsi con qualunque cibo – una regola indispensabile per frati itineranti chiamati a non portare “né cibo né bisaccia” e a condividere il pasto con chi lo offra loro – , ma ogni venerdì e per due periodi prolungati dell'anno chiede ai suoi compagni di osservare il digiuno.
Il frate non deve indulgere alla golosità e all’ingordigia, ma l’austerità si alterna a momenti di gioiosa convivialità, come il banchetto con santa Chiara e le sue compagne a Santa Maria degli Angeli che fece accorrere gli abitanti di Assisi perché la selva e il luogo intorno alla chiesa, raccontano i Fioretti, parevano avviluppati dalle fiamme. Una volta entrati, però, i buoni assisiati trovarono solo i due santi “con tutta la loro compagnia ratti in Dio per contemplazione e sedere intorno a quella mensa umile”. Allora compresero che quello che avevano scorto “era stato fuoco divino e non materiale, il quale Iddio avea fatto apparire miracolosamente, a dimostrare e significare il fuoco del divino amore, del quale ardeano le anime di questi santi frati e sante monache”. E si sa che in questi casi può succedere che “bene confortati del cibo spirituale, poco si curarono del cibo corporale”.
Anche il sultano Al-Malik al Kamil, nipote di Saladino, offrì un banchetto a Francesco e ai suoi compagni che si erano recati in Oriente in un tentativo di dialogo interreligioso ante litteram. Il generoso sultano avrebbe voluto che accettassero regali preziosi in oro, argento e seta, ma i frati volevano la sua anima non il suo denaro e così condivisero un “abbondante pasto”.
Pane, focacce, cereali, erbe selvatiche, verdure e ortaggi, uva, ma anche uova, formaggi, carne di maiale, pollo, lucci, gamberi e vino: l’iconografia legata al santo di Assisi svela, attraverso la ricerca dei due autori del volume, il rapporto tra Francesco e i beni della terra, specialmente in relazione alla festa e al Natale, evidenziando il rimando simbolico ai temi dell’Eucarestia.
E quando il cibo proprio manca? Francesco non si preoccupa, anche se ha ospiti a pranzo. La sua fiducia in Madonna Provvidenza non viene mai meno e trova sempre risposta, attraverso l'intervento di qualche benefattore, perché “il povero si pasce a una mensa più ricca di quella del re, quanto Dio supera in generosità l'uomo”.
Una lezione quanto mai attuale davanti a Expo 2015 e alla responsabilità di nutrire il pianeta.