Intervista esclusiva raccolta dai Papaboysdi Alessandro Ginotta
Ho avuto il piacere di intervistare Mons. Cesare Nosiglia, Arcivescovo di Torino, Custode Pontificio della Sindone, e presidente del Comitato preparatorio del Convegno ecclesiale Firenze 2015. Sindone, un ricordo di Giovanni Paolo II, giovani e futuro dell’Italia tra gli argomenti trattati. Un patto intergenerazionale per vincere il “cancro” dell’individualismo.
Eccellenza, nella sua veste di Custode Pontificio della Sindone Lei è l’uomo più vicino al Sacro Telo. Ha mai avuto la possibilità (o la tentazione) di stare da solo davanti alla Sindone? In caso affermativo, quali sensazioni ha provato?
L’ho avuta e l’ho attuata quando sono arrivato a Torino, era il novembre 2010, mi sono fatto dare le chiavi della Cappella e mi sono fermato, da solo, a contemplare la Sindone da vicino. Devo dire che ho avuto una commozione grandissima. Più fissi questa immagine, più guardi quel Volto, più sembra che sia Lui a guardare te, proprio come ha detto Papa Francesco. Sono stati momenti molto intensi, molto belli, che ricordo ancora adesso. Io mi auguro che anche i pellegrini, pur vedendola velocemente, possano provare questa forte emozione che lascia il segno, che brucia, che da speranza. Io ho ritenuto giusto iniziare così il mio ministero a Torino perchè penso che la Sindone sia uno dei tesori più preziosi della cristianità.
La Santa Sindone richiama fedeli da ogni paese, io stesso accompagnerò qui, nei prossimi giorni un gruppo di Papaboys provenienti dal Paraguay, si potrebbe dire… dall’altra parte del mondo… come si pone il fedele torinese davanti alla Sindone, e come un pellegrino che arriva… dall’altra parte del mondo?
I Torinesi amano molto la Sindone. Quando arrivano pellegrini da molto lontano si mette in moto la macchina dell’accoglienza. In questi casi bisogna vigilare che non si inneschino meccanismi di “commercio”, come si vede vicino ai santuari, dove si vende di tutto. Questo aspetto rischia di mettere in ombra quelle che potrebbero essere le dimensioni di un’accoglienza di fede, di relazioni sincere, autentiche. Devo dire però che Torino si è organizzata molto bene con i volontari: abbiamo oltre 4500 persone che veramente si prestano con vivacità, con stile e con affetto a ricevere i pellegrini che provengono da ogni parte del mondo. I volontari della Sindone sono stati preparati molto bene, anche dal punto di vista spirituale ed hanno seguito dei corsi specifici con momenti di preghiera, di formazione e di incontro. Desideriamo che i pellegrini che vengono a visitare la Sindone si sentano tutti amati ed accolti.
Monsignor Nosiglia, San Giovanni Paolo II definì la Sindone “specchio del Vangelo”. Noi Papaboys siamo particolarmente legati a Karol Wojtyła, che è anche il nostro Santo protettore, ma io so che anche Lei era molto vicino a San Giovanni Paolo II, c’è qualche epsiodio, o un momento particolare che ha cementato la vostra amicizia? Ce lo vuole raccontare?
Sì, ricordo con particolare affetto la prima volta in cui incontrai Giovanni Paolo II in Vaticano: ero appena giunto e stavo percorrendo i lunghi corridoi del palazzo. Di solito quando veniamo ricevuti in Vaticano raggiungiamo la stanza che ci viene indicata, dove il Papa ci attende seduto alla scrivania. Quella volta invece… vidi Giovanni Paolo II che camminava a passo spedito per venirmi incontro. Mi salutò e mi accompagnò lungo il percorso con molta simpatia e con una cordialità tale che mi sentii subito accolto in un clima di calore ed amicizia. Mi colpì questa sua umanità: l’andare verso le persone, il saperle mettere subito a proprio agio.
Questo desiderio di incontrare l’altro e di aprirsi lo ricordo anche in occasione della GMG di Roma nel 2000: al termine della Veglia a Tor Vergata, stavamo riaccompagnando Giovanni Paolo II all’elicottero, quando lui si fermò e ci chiese: “ma quei ragazzi che stanno lì distanti, come fanno a sentirmi e a vedermi?”. Alla veglia avevano partecipato oltre 2 milioni di persone provenienti da più di 150 paesi stranieri. Noi gli spiegammo che avevamo fatto montare dei maxischermi ed avevamo distribuito a ciascuno una radiolina che trasmetteva la traduzione simultanea in 15 lingue. Lui ci guardò e disse: “però questi ragazzi sono venuti qui da tutto il mondo per vedere il Papa solo in televisione?”. L’indomani si presentò 3 ore prima dell’inizio della Messa e, cominciando dal fondo, volle girare tutta la spianata, salutando i ragazzi che in molti casi si trovavano ancora rannicchiati nei sacchi a pelo dove avevano trascorso la notte. Gli agenti di sicurezza e tutti noi che lo accompagnavamo cercavamo di portarlo via, ma lui continuava a dire: “io voglio che questi giovani mi vedano da vicino!”. Giovanni Paolo II allora, un po’ come adesso Papa Francesco, desiderava andare vicino alla gente, farsi toccare. Questo mi ha commosso molto profondamente.
Eccellenza: Ostensione, Visita di Papa Francesco, Bicentenario dalla nascita di Don Bosco, sono tutti eventi molto importanti. Ciascuno di loro lascerà segni importanti nella nostra città. Secondo Lei Torino ne uscirà un po’ trasformata?
Trasformare Torino non è facile, perchè la città ha una sua impostazione molto forte dal punto di vista sociale e culturale, però penso che la concentrazione forte di questi eventi lascerà il segno. Anzi, mi pare di vederlo già presente in tante persone, in tante comunità ed anche in tante realtà laiche. Sia l’ostensione, sia il Bicentenario dalla nascita di don Bosco, stanno già portando i loro frutti. La visita di Papa Francesco sarà un momento molto significativo perchè il Papa, tra i tanti impegni, dedicherà una particolare attenzione all’incontro con il mondo del lavoro. Il lavoro in questo momento è una delle “piaghe”, una ferita grossa della nostra città.
Papa Francesco parlerà ai giovani, parlerà ai carcerati, visiterà il Cottolengo, Valdocco, La Consolata… sono tutti luoghi molto significativi per la città. Papa Francesco ha scelto un cammino che vuol dare un messaggio alla città: un messaggio di speranza. Attraverso queste sue scelte esce fuori un invito a guardare avanti, rivolto non solo alla città, ma anche alla nostra diocesi.
Io credo che Torino potrà trarre una scossa salutare da tutti questi eventi, in modo tale che la città possa guardare al futuro, non così genericamente, ma con grande impegno sul piano sia della fede, sia dell’aspetto sociale, sia dell’aspetto anche caritativo verso i poveri ed i sofferenti che sono tanti per le nostre strade. Tutto questo avverrà in maniera anche nuova con la scoperta di una dimensione comunitaria. Penso ad esempio al fare le cose insieme: in questo momento si stanno incontrando molti giovani per visitare i luoghi di don Bosco, per preparare l’incontro con Papa Francesco. Questo “stare insieme” fa sentire che c’è un’anima, che c’è una comunione, una comunità, sia civile, sia ecclesiale. Una comunità che vuole trarre dalle radici cristiane forza, vigore per andare avanti con rinnovato spirito di grande intraprendenza.
Torino in passato è stata una città molto intraprendente sia sul piano economico, sia sul piano sociale, sul piano anche religioso, pensiamo ad esempio ai nostri santi sociali. Questo però è un momento difficile. Un momento di timore, di paura. Questi eventi io penso che possano aiutare a rialzare di nuovo il capo e farci rendere conto che non ci sono solo nuvole, ma c’è già qualche sprazzo di luce. Questa luce poi splende sempre di più quando crediamo nel Signore e quando ci uniamo insieme per fare squadra.
Eccellenza, Lei ha introdotto il tema dei giovani e questo mi conduce al tema della prossima domanda: Lei è da sempre molto attento ai giovani, penso alla notte bianca di ieri, o ad esempio al Sinodo di Les-Combes, ma anche al grande coinvolgimento dei giovani che terranno qui a Torino la loro mini-GMG proprio nei giorni della visita di Papa Francesco. Come vede il futuro dei giovani torinesi e, più in generale degli italiani?
Il 50% dei giovani non ha lavoro. C’è un senso di disimpegno, a volte, in larghe fasce dei giovani, perchè non si vedono considerati. Nelle cabine di regia non ci sono mai giovani. Sono sempre gli adulti a detenere il potere nei vari settori economici, politici e forse anche ecclesiali. Non è detto che anche da noi i giovani abbiano molto spazio… c’è un “giovanilismo”, si sente spesso dire “voi siete il futuro” nella realtà però a livello di sbocchi concreti per la vita non si trova una rispondenza nei programmi politici, ecclesiali ed economici. Io vedo però che c’è una volontà di reagire da parte dei giovani. Certo c’è chi si lascia andare, ma c’è una parte, direi anche abbastanza consistente di giovani, che invece vuole reagire a questa situazione.
Noi dobbiamo dare un po’ di aiuto a questi giovani: tutte le forze politiche, sociali ed anche ecclesiali dovrebbero dare vita ad un “patto intergenerazionale”: gli adulti, le persone che contano, dovrebbero cessare di parlare solo di giovani, ma dovrebbero mettersi in ascolto dei giovani, e soprattutto dovrebbero mettersi in gioco insieme con loro. I giovani vogliono fare la loro parte. Bisogna che noi diamo loro spazio e cerchiamo di offrire loro delle possibilità concrete di dare quel contributo necessario e indispensabile che hanno per la città, per la Chiesa… senza i giovani non c’è la possibilità di uscire fuori da questa situazione difficile che stiamo vivendo.
Io penso ad un’alleanza forte tra le generazioni. Al giorno d’oggi la società ha diviso i giovani dagli adulti, dagli anziani. Dove io vado, anche nelle parrocchie, in qualsiasi situazione sociale, c’è isolamento: al centro anziani sono tutti anziani, alla “movida” sono tutti giovani. Il mondo giovanile si è chiuso in se stesso, quasi a riccio. Accanto a questi giovani ce ne sono altri che desiderano invece avere una loro presenza e si esprimono nel servizio, nella generosità. Saranno forse anche una minoranza, ma ci sono: su questi giovani bisogna contare.
Certo come diceva don Bosco e come dice anche Papa Francesco non possiamo limitarci ad aprire gli oratori e restare ad aspettare… chi viene viene… e chi non viene?… bisogna invece uscire, bisogna andare nei centri commerciali dove ci sono tanti giovani, nella stessa movida, dappertutto dove ci sono i giovani: farsi vicino ai giovani attraverso i giovani. E’ giusto che ad anadre avanti siano proprio i giovani, ma noi dobbiamo dare loro la possibilità di sentirsi sostenuti, di avere una comunità alle spalle.
Io penso che tutto questo a Torino sia possibile. Un’esperienza che ho fatto in questa città è proprio che quando c’è un progetto che viene lanciato, ed è un progetto “bello”, significativo, la risposta arriva.
Dobbiamo però proporre, dobbiamo dare la possibilità di comprendere e motivare il senso della proposta. Mi viene in mente la parabola del Vangelo degli operai dell’undicesima ora perché l’accento è posto su quelli che per ultimi sono chiamati ad andare a lavorare nella vigna: il padrone dice loro: “perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi?” Gli operai rispondono: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. I giovani in questo momento sono un po’ come quegli operai. Dicono: “Ma nessuno mai ci ha detto queste cose”, “nessuno ci ha mai impegnati”, “impegnateci, noi siamo pronti a fare la nostra parte”.
C’è terreno fertile. Ce la possiamo fare.
Eccellenza, non solo Torino, ma Lei come Presidente del Comitato CEI Firenze 2015 ha un po’ il polso della chiesa in tutta Italia, come vede il futuro del nostro paese?
Io penso che gli italiani abbiano delle risorse spirituali, umane, sociali, civili fortissime, solo che non ci credono più molto. Gli italiani si chiudono un po’ in un individualismo dove possiamo vedere il principio: “si salvi chi può”… bisogna ridare il senso della comunità. Invece mi pare che le vie che si perseguono a livello politico, economico, di proposte, non siano su questa strada: si tende sempre ad esasperare il discorso dei diritti individuali. I diritti sono importanti, per carità, ma se non c’è anche una dimensione comunitaria, un rispetto degli altri, non solo di “te stesso”, si alimenta soltanto questo“cancro” dell’individualismo, del disimpegno riguardo alla comunità. Io mi accorgo che ci sono tante associazioni, tanti gruppi, tante realtà, ma ognuna è chiusa in se stessa, è un arcipelago di isole che non comunicano. Papa Francesco ha più volte fatto rilevare che non servono costruttori di muri, ma costruttori di ponti.
Purtroppo nel nostro paese c’è una frammentazione. Si esaspera sempre di più il discorso dell’io anzichè del noi. L’individualismo sfrenato porta alla frammentazione della società. Si smembrano le famiglie, non si sa più come impostare un rapporto di relazione famigliare. Si spezzano i gruppi, si spezzano le realtà sociali.
Bisogna invece riscoprire l’anima del nostro popolo: la solidarietà fondata su valori etici, su valori spirituali, su valori
comuni che ti diano la possibilità di sentirti parte di un popolo.
Il futuro del nostro paese dipende molto da questo richiamo forte ad una comunione che nasce dai valori.