Presentato il “Rapporto annuale 2015” del Centro Astalli per i rifugiati. Bianchi (Bose): l’Italia a rischio di “autismo sociale”Per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale sono oltre 50 milioni le persone in fuga nel mondo a causa di conflitti e gravi crisi umanitarie: solo il conflitto in Siria ha costretto 10 milioni di civili ad abbandonare le proprie case. In molti cercano rifugio in Europa: nel 2014 le domande di asilo presentate in Italia sono state 64.886 con un aumento del 143% rispetto all’anno precedente, pur rimanendo per lo più un paese di transito. Mentre cresce il sistema di accoglienza per far fronte all’emergenza (sono stati oltre 170 mila i migranti arrivati nel nostro Paese via mare), sono tuttavia inadeguate le misure di accompagnamento per coloro che ottengono la protezione internazionale. Dopo una permanenza ancora troppo lunga nei centri di accoglienza, sono costretti in seguito a fare i conti con una grave precarietà abitativa che incide particolarmente sui nuclei familiari e con la mancanza di assistenza per fronteggiare le conseguenze dei gravi traumi subiti: tortura, violenza, abusi sessuali. Il “Rapporto annuale 2015” del Centro Astalli per i rifugiati – sezione italiana del Jesuit Refugee Service – presentato oggi a Roma, fotografa una situazione nella quale la difficile situazione di chi fugge dal proprio Paese per cercare vita e sicurezza è aggravata dalle tensioni sociali causate anche dalla crisi economica. Aumenta la paura basata su pregiudizi e allarmismi ingiustificati che rischiano di portare, sottolinea il Centro Astalli, a vere e proprie discriminazioni nei confronti degli stranieri e dei musulmani in particolare.
Aleteia ne ha parlato con Enzo Bianchi, priore del monastero ecumenico di Bose: “il dileggio dei migranti morti a cui abbiamo assistito in questi giorni – ha detto il priore di Bose intervenendo alla presentazione – è segno di un avvelenamento del vissuto sociale che ci interroga come cittadini e come cristiani. Un peccato che grida vendetta contro Dio e una grave imputazione per le nostre coscienze”.
Cosa succede al nostro Paese?
Bianchi: In Italia si sta sviluppando una sorta di autismo sociale. Siamo in una condizione in cui la paura degli stranieri ci ha portato a chiuderci in noi stessi, a non sapere più comunicare e a rendere gli stranieri distanti. Non vivendo una prossimità verso di loro, cresce la nostra paura e insieme la loro estraneità. Così non riusciamo ad edificare una convivenza veramente buona, ma finiamo per lasciare spazio alla barbarie, al razzismo, all’esclusione dell’altro.
Una condizione che dovrebbe interrogare in particolar modo i cattolici. Lei ha definito “vergogna ecclesiale” il rifiuto di alcune regioni nell’accogliere i rifugiati. Eppure Papa Francesco, che tutti citano, continua ad esortare alla fraternità…
Bianchi: La voce di Papa Francesco risuona in un deserto e bisognerebbe che certe chiese locali italiane si chiedessero perché tutti gli sforzi di evangelizzazione hanno portato la loro gente ad essere la meno capace di praticare la carità e l’accoglienza verso gli stranieri. I dati statistici ci dicono che le regioni più cattoliche – come la Lombardia e il Veneto – sono quelle che hanno più difficoltà ad accogliere gli stranieri: meno della metà della media nazionale, pur avendo più possibilità economiche di altre regioni. E’ un dato che deve portare queste comunità a un esame di coscienza.
Qualcuno teme la perdita della propria identità, culturale e religiosa: c’è questo rischio?
Bianchi: L’identità è qualcosa che si rinnova ogni giorno nel confronto con gli altri. Non è una realtà statica, ma dinamica. E’ proprio il cristianesimo ad insegnarlo: nato nel giudaismo, si è inculturato nel mondo greco-romano, ha accolto i popoli barbari. Non si devono temere le altre fedi e le altre culture: diversi sì, ma nemici no. Il fantasma dell’identità ridotta ad omogeneità – del sangue, della cultura, della religione – apre le porte alle derive del totalitarismo politico e del razzismo.
Ci stiamo preparando a vivere il Giubileo della misericordia: può essere un richiamo in più all’accoglienza per i cattolici?
Bianchi: La misericordia, secondo il Vangelo, è anche, sempre, un comportamento attivo. Lo insegna la parabola del Samaritano: colui che usò misericordia – che “fece” misericordia – è quello che ha aiutato il malcapitato, il disgraziato morente. La misericordia non sta solo in un atteggiamento di perdono, sta nel fare il bene all’altro che è nel bisogno. Il Vangelo ci ricorda che non saremo giudicati sul culto o sulla liturgia, ma dal rapporto che avremo avuto con l’altro, dall’accoglienza dello straniero.