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«Ovunque spavento, terrore, distruzione»

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Terrasanta.net - pubblicato il 15/04/15
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La testimonianza del parroco di Aleppo«È stato un massacro, una catastrofe, un atto omicida: bombardare con missili così potenti edifici in cui ci sono bambini, famiglie, gente che sta dormendo!». Fra Ibrahim Sabbagh, parroco latino di Aleppo, in Siria, suo malgrado è abituato ai bombardamenti. Ma descrive l’ultimo di cui è stato testimone, quello avvenuto nella notte tra venerdì e sabato scorso, come qualcosa di inaudito. Per la prima volta, infatti, l’artiglieria dei ribelli ostili al presidente Bashar Al Assad avrebbe bombardato il quartiere di Suleimaniye con missili Grad, dalla potenza distruttiva superiore a quelli usati fino ad ora, lasciando sul campo almeno 9 vittime e decine di feriti.

«Dopo il bombardamento, alla mattina presto, sono andato nel quartiere devastato», racconta fra Ibrahim. «Sono entrato nelle case, ho pregato con chi pregava… Ovunque c’era spavento, terrore, distruzione. Sono stato in una casa in cui due genitori stavano pregando e mi sono messo a pregare con loro… Solo dopo mi sono reso conto che aspettavano di conoscere la sorte dei due figli, sommersi dalle macerie, al piano superiore…».

Oltre che causare morti e feriti, il bombardamento di sabato ha prodotto pesanti ripercussioni di tipo psicologico: la potenza di fuoco, inaspettata, ha fatto pensare a molti cittadini di Aleppo che si sia vicini alla disfatta delle forze governative e all’arrivo in città del fronte islamista, come è già capitato in numerose regioni della Siria e dell’Iraq. A molti il bombardamento è sembrata la conferma che l’epicentro della guerra si sia spostato ad Aleppo e che qui si stia combattendo la battaglia decisiva per il controllo di tutta la Siria. Ciò ha causato la fuga precipitosa di molte delle famiglie fin qui rimaste: almeno 700 hanno abbandonato il quartiere di Suleimaniye, rifugiandosi nelle città costiere di Latakia e Tartus o in casa di amici, in quartieri vicini di Aleppo.

«Da parte nostra abbiamo avuto dei danni alla succursale della parrocchia – racconta fra Ibrahim –, e stiamo lavorando per sistemare i danni e tornare a celebrarvi la messa, per dare un segno di speranza ai cristiani. Ma a chi domanda se il nostro convento è stato colpito o danneggiato, rispondiamo che questa è l’ultima cosa a cui pensiamo! Noi pensiamo alla vita della gente; la cosa importante è la vita delle nostre famiglie! Siamo convinti che in alcuni momenti della storia la Chiesa può vivere anche senza gli edifici di pietra, la cosa importante è che ci sia una Chiesa fatta di uomini resi vivi dalla resurrezione di Gesù. Questo è sufficiente per riprendere a vivere».

La Custodia di Terra Santa, è presente ad Aleppo con quattro frati, che gestiscono una parrocchia nel quartiere di Azizieh (attiguo al quartiere bombardato di Suleimaniye) e un collegio (nel quartiere di Tour de Ville, all’ingresso della città). Considerata la situazione attuale, con un tragico e continuo precipitare degli eventi, i frati hanno deciso di trasformare il collegio di Terra Santa – oggi in una zona ancora relativamente tranquilla – in un luogo di accoglienza permanente, per famiglie di profughi.

«Ma l’accoglienza nel nostro collegio di Terra Santa è già cominciata – racconta fra Ibrahim –: un ospizio gestito dalla San Vincenzo de Paoli ci ha chiesto di farci carico dei suoi ospiti che non sanno dove andare…; domenica sono fuggiti dal loro quartiere e li abbiamo ricevuti noi: sono venti anziani e dieci infermieri. Poi stiamo dando accoglienza al clero: al momento ospitiamo un vescovo melchita con un suo sacerdote, fuggiti dalla loro zona; ma siamo disponibili a dare ospitalità a tutti i sacerdoti che potranno aver bisogno».

Fra Ibrahim Sabbagh, 44enne siriano di Damasco, era per studio in Italia fino allo scorso anno. Si è offerto di tornare in patria anche per collaborare con i suoi confratelli nell’assistenza spirituale e materiale ai fedeli. Ha lasciato Roma per la Siria nel novembre scorso. 

Clicca qui per leggere l'appello accorato dei capi delle comunità cristiane di Aleppo ormai allo stremo.

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