Riflessioni sulla scia di un programma di dibattito alla televisione messicanaTra la gioia della famiglia e la felicità della preghiera, durante la Settimana Santa sono incappato in un programma televisivo in cui una delle opinioniste, famosa qui in Messico, parlava in modo dispregiativo della partecipazione dei cattolici alla società, come se fosse un fatto altamente deplorevole. Ciò che ha richiamato maggiormente la mia attenzione, tuttavia, è stato il suo volto pervaso da tristezza e solitudine, da noia ampiamente contenuta. È stato come vedere un programma di nostalgia dei tempi andati fatto di voci dall'oltretomba.
Relativamente spesso ci imbattiamo in commenti sull'atteggiamento che noi cattolici dovremmo assumere nel dibattito pubblico. Veniamo accusati di non essere al passo con la moda dei tempi, motivo per il quale si dice che non saremo mai accettati nella società. Lo dicono forte e chiaro quelli che promuovono con vigore l'agenda della sinistra liberale su temi come vita e famiglia, ma il monopolio non è loro. Lo stesso si bisbiglia tra “le destre”, accusando i cattolici di essere una manica di “disorientati” in temi come l'economia e la giustizia sociale.
La domanda è semplice: noi cristiani dobbiamo mettere a tacere Gesù per partecipare alla vita pubblica? L'unica risposta possibile è negativa. Non c'è nulla di più triste di un cristiano che si vergogna, non solo per il grave danno che subisce il suo rapporto con Dio, ma anche perché il risultato è un cittadino decaffeinato, senza tempra né impegno nei confronti della sua società. Nella testimonianza aperta della sua fede, un buon cristiano diventa, per impulso proprio, un cittadino virtuoso.
Chi esige dal cristiano il silenzio assume un atteggiamento quantomeno antiquato in società segnate dalla pluralità e con aneliti democratici. Per essere coerenti, noi cattolici dobbiamo imparare ad agire con gioia nella società civile, senza nascondere la nostra identità, senza ammutolire per soddisfare le richieste di chissà chi. Si tratta di imparare, con Pietro, a dare ragione della nostra speranza con gentilezza e chiarezza.
Gesù non ha mai fatto marcia indietro, e ne ha ben avuto la possibilità. Non lo ha fatto quando è stato spinto a predicare alla periferia di Gerusalemme dai suoi detrattori, né quando parte dei suoi seguaci lo ha abbandonato “perché la sua dottrina era molto dura”, e nemmeno quando Pietro lo ha rinnegato, Giuda lo ha venduto e i suoi discepoli sono fuggiti. Ha perfino rimproverato aspramente Pietro quando questi gli ha detto che avrebbe dovuto moderare le sue parole.
In questa logica, risulta molto interessante il caso di Pilato, che in effetti ha avuto la vita di Gesù tra le mani. Non era un'ipotesi, ma un fatto oggettivo visto da una prospettiva mondana. Sarebbe stato facile accondiscendere e mostrarsi corretto di fronte all'invito del pretore. Sono certo che quel romano voleva davvero salvare Gesù, ma anche che desiderava più salvare se stesso. La scena mi ricorda gli inviti a tacere identità e convinzioni in cambio di un posto sulla scena pubblica. L'offerta sembra allettante. Se siamo schivi nel parlare, se moderiamo la denuncia, allora potremmo aver garantito uno spazio nel dibattito pubblico. Ma se tacciamo, che senso avrebbe partecipare?
Cristo non ha mai nascosto la sua identità, neanche nei momenti più difficili. Ha sempre parlato partendo dalla misericordia, dalla carità, spalancando le porte alla speranza. Il silenzio legittimo per un cristiano nasce dalla contemplazione del Risorto, perché da questo silenzio nasce la forza della sua parola.
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]