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Se Dio vuole

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Lucandrea Massaro - Aleteia - pubblicato il 10/04/15
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Una commedia in cui la questione della conversione non viene banalizzata. Gassman col clergyman è tutto un programma…Famiglia Cristiana in edicola questa settimana dedica due servizi al film “Se Dio vuole”, commedia italiana e opera prima dello sceneggiatore Edoardo Falcone, qui in veste di regista. A rendere attraente la pellicola anche il duo di attori che la anima: Alessandro Gassman, nel ruolo del prete, e Marco Giallini in quello del chirurgo ateo che si ritrova in casa un figlio con la vocazione sacerdotale dopo l'incontro e la frequentazione con “Don Pietro” interpretato proprio da Gassman.

Ed è all'attore romano, figlio d'arte e sempre più sfruttato dalla cinematografia nostrana e qui alla sua prima esperienza “in tonaca” che viene dedicata una intervista a cura di Maurizio Turrioni che del personaggio principale spiega che “amo don Pietro perché è un prete che si sporca le mani. Nel mondo ce ne sono tanti. E qualcuno ho avuto modo di conoscerlo” spiega “tramite il mio ruolo di Ambasciatore di buona volontà dell'Unhcr (agenzia Onu per i rifugiati, NdR)”. Gassman racconta la sua esperienza nel campo profughi di Za'atari in Giordania, dove ci sono 120 mila persone, al 70% bambini e dove l'attività dei religiosi per alleviare le sofferenze di quelle persone è costante e ammirabile”.

Gassman ammette senza false ipocrisie “non sono credente, ma molto rispettoso di chiunque abbia una fede. Faccio parte di quella schiera che definirei degli speranzosi…”

Di Papa Francesco dice: “Bergoglio è uno che si è sporcato le mani in passato. E mi pare ben intenzionato a dare ascolto a preti come quello che interpreto in Se Dio vuole. Papa Francesco è colui che oggi si preoccupa di più di deboli e bisognosi. Forse l'unico”. “E' paradossale, per uno culturalmente di sinistra come me, ma è proprio così”.

A questo colloquio si aggiunge una riflessione sul film a cura di don Roberto Di Diodato:
 

Raccontare un prete vuol dire raccontare Dio. Raccontare Dio vuol dire raccontare l’uomo. Nella concretezza dei suoi problemi quotidiani. E questo non è poco nel panorama attuale della cinematografia italiana, segnata da una considerevole presenza di commedie scacciaproblemi. Anche Falcone usa il grimaldello della commedia – ma quella più sottile e redditizia, che non si ripiega su se stessa – per forzare la cassaforte dei cuori prevenuti o distratti nei confronti della fede. Per la commedia il cuore del racconto sono i tic, le fobìe, i pregiudizi, le debolezze dell’uomo comune, colto nel momento di maggiore arroganza, e perciò degno di maggior risibilità. Gli aspetti seri rimangono sullo sfondo.

Il film Se Dio vuole altalena, con un sottile senso della misura, tra riflessione e risibilità, tra vecchi pregiudizi e sentimenti nuovi. E lo fa con una sceneggiatura senza buchi e senza forzature, che detta i tempi giusti alla regìa. I dialoghi sono colpi di stiletto. Precisi e velocissimi.

Tutto inizia con l'annuncio inatteso di volersi fare prete che Andrea, studente in medicina, fa alla sua famiglia: mamma casalinga un po’ disperata, padre stimato e temuto chirurgo (col passo del “medico della mutua” di Alberto Sordi), sorella sposata con un insulso venditore di appartamenti. L’annuncio produce una reazione a catena, che ben presto sconvolge l’assetto della famiglia. Succede, per certi aspetti, ciò che accade in Teorema di P.P. Pasolini, dove l’arrivo di un misterioso giovane fa saltare gli equilibri di ogni membro della famiglia che lo accoglie, cambiandone la vita. Andrea introduce un elemento di assoluta discontinuità in questa famiglia neo-borghese, la “variabile Dio”, che fa emergere aspetti latenti e spinge a ri-orientare l’esistenza delle persone che vivono con lui.

Non resta che andare a vederlo al cinema e magari portarsi dietro qualche amico diffidente…

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