Giansoldati: “il buco della memoria sul genocidio armeno influenza la nostra storia fino all’Isis”Il 24 aprile 2015 verranno ricordati in tutto il mondo i cento anni dall’inizio del genocidio armeno nel quale morirono, vittime di un piano di annientamento sistematico di un intero popolo, un milione e mezzo di uomini, donne, bambini indifesi. Papa Francesco celebrerà domenica 12 aprile nella basilica di san Pietro una Messa in suffragio di tutte le vittime, molte delle quali morte confessando il nome di Gesù, martiri cristiani dell’età moderna. A cento anni da questi tragici fatti la verità storica sul genocidio armeno è ancora controversa quando non avversata da un tenace negazionismo. Ricostruisce la vicenda, anche attraverso le voci di quanti furono travolti dalla ferocia delle persecuzioni, il libro “La marcia senza ritorno. Il genocidio armeno” (Salerno Editrice) della vaticanista de Il Messaggero, Franca Giansoldati.
Qual è l’approccio del tuo libro alla questione armena?
Giansoldati: Non sono una storica, sono una cronista. Il mio interesse verso questo tema nasce con i primi passi da giornalista all’agenzia AdnKronos quando mi trovai ad occuparmi dell’iniziativa del leghista Giancarlo Pagliarini che nel 1998 presentò una mozione firmata da 165 parlamentari di diversi partiti affinché il Parlamento italiano procedesse al riconoscimento formale del genocidio armeno. Una risoluzione in tal senso è passata poi nel 2000, sulla scia di quella approvata dal Parlamento europeo. In seguito da vaticanista ho avuto modo di seguire la fase preparatoria della visita di Giovanni Paolo II al patriarca Karekin II in Armenia, fortemente ostacolata dalla Turchia, in cui le parole “genocidio” e “sterminio”, entrate nella dichiarazione congiunta per i 1700 anni della proclamazione del cristianesimo nel Paese, poterono essere usate dopo lunga discussione anche all’interno dell’entourage papale. Mi sono resa conto, con il tempo, che la questione del genocidio armeno è sconosciuta ai più, anche alle persone con buone conoscenze culturali. Il mio libro ha uno scopo divulgativo: riassumere i termini della questione per chi non sa o sa poco. E far parlare le testimonianze. Le statistiche – il milione e mezzo di morti causati dall’intento sistematico di eliminare gli armeni dall’Impero ottomano – non scuotono le coscienze. La misura dell’orrore è più facile da comprendere attraverso la voce di chi l’ha vissuta.
Perché ancora oggi il genocidio armeno viene negato?
Giansoldati: Ci sono delle ragioni storiche – lo sterminio avvenne negli anni della prima guerra mondiale quando l’attenzione delle grandi potenze europee era rivolta altrove – e ragioni diplomatiche: nei trattati successivi alla guerra l’influenza del leader turco Ataturk fu tale da riuscire a togliere la “questione armena” dal tappeto, anche se proprio un tribunale turco nel 1920 aveva condannato alcuni dei responsabili dei massacri. Ci sono anche delle ragioni pratiche: non è secondario oggi, nell’atteggiamento negazionista della Turchia, il timore dei possibili risarcimenti che potrebbero essere chiesti dai discendenti degli armeni trucidati i quali, almeno nelle città dell’Impero ottomano, rappresentavano l’elite economico-finanziaria. Tutto ciò ha portato a distogliere lo sguardo da quanto è accaduto e ha creato una sorta di buco nella memoria collettiva che sono convinta abbia influenzato la storia europea del XX secolo fino ai nostri giorni: addirittura fino al fenomeno del sedicente Stato islamico.
In che modo?
Giansoldati: Quello armeno è il primo genocidio pianificato del XX secolo. Se non fosse stato rimosso dalla coscienza collettiva e quindi dalla memoria individuale probabilmente anche ciò che ha portato in seguito all’Olocausto degli ebrei non sarebbe avvenuto o sarebbe avvenuto in modo diverso. Non a caso nel 1939, per convincere i suoi generali della “soluzione finale” per il problema ebraico, Hitler pronunciò la famosa frase: “Chi si ricorda più degli armeni?”. L’oblio del massacro degli armeni convinse il Terzo Reich ad elaborare una strategia simile per risolvere i problemi razziali nel suo territorio. E, infatti, sia nei documenti dei turchi di inizio secolo che in quelli dei nazisti di Hitler ricorre il termine di “pulizia etnica”.
E l’Isis?
Giansoldati: Anche l’Isis è, in qualche modo, un riflesso di quanto accadde 100 anni fa. Mi ha colpito molto quanto è accaduto alla chiesa di Deir ez-Zor. In questo luogo, che prima apparteneva all’Impero ottomano e attualmente alla Siria, c’erano i campi di concentramento nei quali i turchi avevano deportato gli armeni. Coloro che non erano morti nelle marce della morte attraverso i deserti dell’Anatolia, morirono qui a migliaia per malattie, fame, lavori forzati, epidemie. La chiesa è sorta nel luogo in cui furono ritrovate decine di fosse comuni ed è un simbolo del genocidio, meta di pellegrinaggi degli armeni da ogni parte del mondo. Nell’agosto del 2014, inspiegabilmente – poiché non si tratta di un obiettivo strategico – i miliziani dell’Isis l’hanno gravemente danneggiata. Un vilipendio che è stato condannato da molti a livello internazionale. La Turchia, invece, è rimasta in silenzio. La memoria è un bene prezioso: senza una memoria condivisa degli avvenimenti, ha detto il 9 aprile papa Francesco ricevendo il Sinodo della Chiesa armeno-cattolica, non si può arrivare alla pace e alla riconciliazione.
Papa Francesco, in questo discorso, ha ricordato l’opera del suo predecessore Benedetto XV: come intervenne?
Giansoldati: In tutti i modi possibili. La sua figura si staglia come quella di un gigante: scrisse personalmente al sultano Maometto V per chiedergli di intervenire a favore degli armeni e diede ordine ai nunzi di adoperarsi presso tutti i governi europei. Con grande coraggio e senza tante cautele diplomatiche parlò apertamente di sterminio, strage, annientamento: si può dire che fu l’unico leader religioso e di Stato che puntò l’indice contro i massacri, oltre a inviare aiuti per i superstiti. Tra l’altro non fece mai distinzione tra gli armeni cattolici e i gregoriani: una visione ecumenica che oggi, dopo il Concilio Vaticano II, per noi risulta normale ma che allora era di per sé dirompente.
La celebrazione del centenario dell’inizio del genocidio può aiutare nel percorso verso il ristabilimento della verità storica?
Giansoldati: Si tratta di un processo lungo. Parlarne è già molto importante. Lo specchio del desiderio di arrivare a una memoria condivisa saranno anche le celebrazioni del 24 aprile a Erevan, la capitale dell’Armenia, alle quali sono invitati tutti i capi di Stato. Il presidente russo Putin ha già confermato che andrà, così Hollande, il presidente francese. Il presidente Obama invierà il suo braccio destro, il vice presidente Biden. L’Italia, a quanto pare, parteciperà con una delegazione di deputati. Il futuro sembra andare verso un riconoscimento delle ragioni degli armeni, ma non si può dire quanto tempo ci vorrà.
24 aprile 1915: Cronache da un genocidio
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