In “Un papa solo al comando” racconta la storia dei primi due anni di Francesco
Appena eletti, il 16 ottobre 1978 il primo e il 13 marzo 2013 il secondo, al momento di affacciarsi per benedire la folla di piazza San Pietro, "tanto Wojtyla quanto Bergoglio si sono presentati, non come il ‘nuovo Papa’, ma come il ‘nuovo vescovo di Roma’". Una scelta che si richiama al primo millennio della comunita’ cristiana" per ridare "nuovo slancio alla realizzazione della collegialita’ episcopale e nuove speranze al processo ecumenico per la ricomposizione dell’unita’ cristiana". Lo scrive
Gianfranco Svidercoschi
, il principale biografo italiano di San Giovanni Paolo II, che dedica ora un libro ai primi due anni del nuovo Pontificato.
In "Un Papa solo al comando", delle edizioni Tau, l’ex vicedirettore dell’Osservatore Romano propone anche un’analisi "delle tante analogie e somiglianze, tra i due Pontefici, i quali, per la loro stessa elezione, hanno cambiato l’immagine della Chiesa, la sua storia".
In realta’, ragiona Svidercosci, "pur nella continuita’ di fondo", tra il 1978 e il 2013 va registrato "un radicale mutamento di scenario tra i momenti in cui sono avvenute queste due elezioni". "Perche’ – ragiona l’autore – e’ vero che Francesco ha trovato un terreno fertile, un terreno in parte gia’ arato e seminato; ma e’ altrettanto vero che non s’e’ piu’ scontrato con i condizionamenti, gli intralci, che all’inizio avevano ostacolato la missione di Giovanni Paolo II, ‘il polacco’, come qualcuno in Curia lo chiamava spregiativamente alle spalle".
"La vicenda di Vatileaks, sviscerata da una commissione, fatta oggetto di un voluminoso dossier, ma mai raccontata per intero, neppure ai cardinali elettori, peso’ duramente sulla preparazione del Conclave". L’ex vice direttore dell’Osservatore Romano Gianfranco Svidercoschi lo sostiene nel suo libro "Un Papa solo al comando", che ricostruisce, per le edizioni Tau, anche i retroscena dell’elezione di Papa Francesco. C’erano, ricorda l’autore, "un blocco europeo che portava avanti la candidatura dell’arcivescovo di Milano, Angelo Scola, e un altro, contrapposto, nato negli ambienti curiali, che proponeva il brasiliano Odilo Scherer. E tuttavia, man mano che andava avanti il serrato confronto, diventava sempre piu’ chiaro che i due maggiori papabili avevano scarse probabilita’: Scola perche’ il fronte italiano era inesorabilmente diviso, e Scherer per la cattiva impressione lasciata dalla sua difesa della Curia romana".
Secondo l’autore, "quell’intervento sorprese e conquisto’ un po’ tutti. Molti vi ritrovarono le loro idee, le loro aspirazioni di riforma, di discontinuita’. Altri scoprirono quell’arcivescovo, cominciarono a considerarlo come un buon candidato". Certo e’ che "da qualche frase, da quelle mezze occhiate, Bergoglio si accorse improvvisamente di essere oggetto di un crescente interesse". Tanto che "domenica 10 marzo – scrive ancora l’ex vicedirettore dell’Osservatore Romano che non cita pero’ nessuna fonte – passando per piazza Navona, il cardinale di Buenos Aires incontro’ un conoscente e quando quello gli chiese se fosse nervoso, lui si lascio’ scappare: ‘Un pochino, non so cosa i miei fratelli cardinali mi stiano preparando’". "C’e’ – ammette in proposito Svidercoschi – anche una versione un po’ diversa di questo colloquio, oppure si tratta di un altro colloquio", in ogni caso, secondo questa ricorstruzione, quando "l’interlocutore gli domando’ se fosse sereno, Bergoglio rispose: ‘Sereno, serenissimo. Anche se mi sa che qualche amico cardinale voglia combinarmi un bello scherzo’". "Secondo quanto si racconta – conclude Svidercoschi – uno o piu’ porporati gli avrebbero chiesto se, nel caso lo avessero votato, si sarebbe tirato indietro. E Bergoglio, prendendo comunque la cosa sul ridere, avrebbe risposto che si sarebbe sentito obbligato, naturalmente, ad accettare".