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Quel Martedì Santo di 35 anni fa

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Mario Adinolfi - La Croce - Quotidiano - pubblicato il 31/03/15
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Nella sezione della Democrazia Cristiana di via Mottarone a Milano il sangue dei cattolici sotto i colpi delle BREra il 1 aprile 1980 a Quarto Oggiaro, a Milano. Sezione della Democrazia Cristiana di via Mottarone, c’erano una trentina di persone riunite quando arriva l’irruzione della colonna Walter Alasia delle Brigate Rosse. Una settimana prima a San Salvador era stato ucciso l’arcivescovo conservatore che dialogava con i poveri e gli operai, Oscar Romero; due mesi prima in Italia era stato ucciso sulle scale dell’università La Sapienza di Roma il presidente dell’Azione cattolica e vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Vittorio Bachelet. Quel 1 aprile 1980 era un martedì santo. Come oggi. Sono passati 35 anni.

 

Accadde qualcosa che non ricorda nessuno, quel 1 aprile 1980. Entrarono armi in pugno i terroristi e cercarono tra i trenta presenti i più rappresentativi: Nadir Tedeschi è il più noto, è un deputato cattolico; poi ci sono il segretario e un dirigente della sezione Dc, Eros Robbiani e Emilio De Buono; infine c’è Antonio Iosa, dirigente cattolico del circolo Perini, un luogo noto a Milano perché ospitava dibattiti trasversali, dava voce a intellettuali scomodi come Pier Paolo Pasolini (fieramente antiabortista, negli anni del referendum sull’aborto) e persino a un giovane che poi sarebbe diventato tristemente noto. Era Renato Curcio, il fondatore delle Brigate Rosse.

I terroristi staccarono i quattro dal gruppo degli altri e Iosa capì che l’esito poteva essere tragico. Implorò pietà: “Ho moglie e figli”. Il capo della colonna per tutta risposta gli intimò: “Inginocchiati, stronzo”. Gli scaricò un caricatore addosso. Mirò alle gambe, tre colpi raggiunsero Iosa alla gamba destra, uno alla sinistra. Quindici proiettili alla fine complessivamente andarono a segno e furono gambizzati tutti e quattro. Poi venne scattata una macabra fotografia dei quattro feriti, l’uno accanto all’altro, addosso alla bandiera con lo scudo e la croce e la scritta: Libertas.

Racconto questo episodio perché nessuno ricorda nulla, mia figlia diciannovenne non sa niente della scia di sangue lasciata dai cattolici in questo paese non secoli fa, ma pochi anni fa. Il professore che teneva le lezioni di un corso di formazione alla politica a cui partecipai neanche diciottenne se li trovò in casa i terroristi a Forlì, il 16 aprile 1988. Fecero inginocchiare anche lui, sapevano che era molto religioso e gli intimarono di pronunciare le ultime preghiere, poi gli spararono alla nuca, uccidendolo all’istante. Si chiamava Roberto Ruffilli, anche lui insegnava all’università, anche lui credeva nel dialogo tra posizione diverse, anche molto diverse. Di Aldo Moro abbiamo già scritto e scriveremo ancora: stessa fede profondissima, stessa tempra d’uomo d’azione politica, stessa fine tragica.

Oltre al dovere della memoria, c’è anche qualcosa di più: una forma di esempio. Moro, Ruffilli, Bachelet, i democristiani di Quarto Oggiaro avevano in comune l’ambizione di far stare insieme, far dialogare contesti anche molto diversi. Si sarebbe detto allora: volevano fare sintesi ad un livello più alto. E’ un’ambizione che c’è anche in questo giornale. Talvolta riceviamo critiche per la presenza di questa o quella firma, di questo o quell’intervistato, viene contestata l’idea che abbiamo di tenere uniti in un unico giornale anche coloro che magari non si vedrebbero mai neanche per bere un caffè. E’ un’esigenza di unità, almeno di unità tra i cattolici impegnati che hanno qualcosa da dire, che sentiamo come impellente anche facendo dialogare i lontani, facendo convivere su queste pagine persone che hanno idee diverse ma pure dovrebbero essere unite dalla comune matrice di fede. Veniamo rimproverati per questo, ma noi insistiamo.

Continuiamo a credere che solo uniti i cattolici riusciranno a non essere travolti dall’offensiva antropologica che vuole trasformare le persone in cose, che proprio nel buio di quegli anni di piombo ha le sue radici. C’è stato un tempo in cui come cattolici ci sparavano addosso, non è un tempo tanto lontano e sparavano addosso proprio ai più dialoganti. C’è chi disse al gambizzato Antonio Iosa: “Ben ti sta, te la sei cercata, così impari a invitare gente come Pasolini”. Papa Francesco ci insegna però che dobbiamo spalancare le braccia, accogliere Cristo e accogliere ogni fratello. Un’idea di unità e fratellanza, contro l’odio e le divisioni inutili, nel pensiero e nella preghiera sempre vivi verso i cristiani perseguitati, animi questa Settimana Santa.

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