Nel paese più laico del nord Africa si sperimenta la paura generata da fondamentalismo e crisi economicaL’attentato
Ieri mattina un gruppo di terroristi ha tentato di assaltare il Parlamento tunisino. Bloccati dalle forze dell’ordine, i terroristi sono scappati verso il museo archeologico del Bardo, sparando contro un pullman di turisti e uccidendone alcuni, per poi barricarsi all’interno dell’edificio con centinaia di ostaggi, liberati poco dopo da un blitz delle forze speciali. Almeno due terroristi sono stati uccisi, un sospettato è stato arrestato, ma altri potrebbero essere riusciti a fuggire, ha detto il primo ministro Habib Essid (Good Morning Italia, 19 marzo)
Il museo
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18 Marzo 2015
Gli ostaggi
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18 Marzo 2015
I parlamentari tunisini, chiusi nell’edificio antistante il museo, hanno deciso di rispondere all’attacco con una dimostrazione di spirito patriottico: hanno infatti, tutti insieme, cantato a squarciagola Humat al-Hima, l’inno nazionale della Tunisia (The Post Internazionale, 19 marzo)
I feriti italiani
Nel frattempo l’Italia piange i suoi morti a Tunisi a causa dell’attentato. Per il nostro paese il tragico bilancio dovrebbe essere di "quattro italiani morti e una dozzina feriti" come ha spiegato il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, intervenendo questa mattina al programma Agorà. "Dobbiamo capire e’ che la zona in cui e’ avvenuta l’attentato è sotto il controllo delle autorità tunisine che per tutta la notte hanno lavorato all’identificazione dei morti e dei feriti", ha spiegato il titolare della Farnesina. "Noi ci si siamo basati sulle informazioni delle autorita’ tunisine che ieri hanno parlato di quattro vittime italiane, in realta’ delle quattro persone indicate due non sono morte ma ferite, pero’ ci sono due dispersi", ha aggiunto Gentiloni (Agi, 19 marzo).
La situazione del paese
L’attentato terroristico di Tunisi colpisce la nazione islamica da cui hanno preso il via le Primavere arabe negli anni scorsi. E’ evidente che la scelta del luogo e dei bersagli non è affatto casuale e ha lo scopo di spingere nel caos un paese contrassegnato da scelte coraggiose. Partiti e associazioni connessi alla Fratellanza musulmana sono stati ripetutamente messi al bando e il loro leader, al-Ghannushi, è rimasto in esilio fino al 2011. E’ così che i jihadisti tunisini sono stati sempre costretti a cercare fortuna altrove, tornando in patria solo in questi ultimi anni.
Export di miliziani
Con la fine del regime di Ben Ali e l’apertura democratica, Fratellanza musulmana e salafismo hanno potuto ricomparire nello spazio pubblico. Ma dopo una la prima vittoria del partito islamista di al-Nahda, le ultime elezioni hanno visto la Tunisia laica riprendere potere (Corriere della Sera, 19 marzo).
Sulla deriva dei locali miliziani Ansar el-Sharia verso lo Stato islamico, sempre più vicino in virtù dellla magmatica situazione libica, è sempre più chiaro ai servizi di inteligence della regione che proprio perché internamente inospitale per il jihad, la Tunisia è più di tutti gli altri Paesi nordafricani la nazione che ha esportato più combattenti verso Siria e Iraq, e recentemente verso la vicina Libia. I volontari sono stimati in oltre 3mila, di cui 500 sarebbero già rientrati in patria, col loro carico di esperienza e probabilmente di armi. Altri 10mila aspiranti miliziani sono stati bloccati prima della partenza per la Siria.
Questi giovani sono mine vaganti in un contesto socio-economico fragilissimo, ancora in attesa di una vera ripresa, e la crisi di prospettive non fa che alimentare la macchina di morte della radicalizzazione jihadista. Nel frattempo a detta del premier libico
Abdullah al-Thani, da settimane gruppi di terroristi di Boko Haram – a loro volta simpatizzanti per l’Isis– sono in avvicinamento verso il confine con la Tunisia. Da fine febbraio, dunque, Tunisi ha dispiegato lungo il confine di terra e di mare con la Libia unità dell’esercito, rafforzate dalla Guardia nazionale e dalla Dogana (Avvenire, 19 marzo).
Le responsabilità occidentali
Il professor Franco Cardini, storico medievista ed esperto di Islam e mediterraneo, in un editoriale sul Messaggero di oggi, conclude la sua riflessione con parole che sarà bene tenere a mente:
Il gratuito ottimismo e l’irresponsabile allarmismo possono essere buoni argomenti mediatici o politici, ma sono entrambi inutili. Ci troviamo dinanzi a una guerra civile musulmana che si aggiunge ai problemi derivanti da molti decenni di errori occidentali nel Vicino Oriente e non solo e che trae alimento dall’irrisolta, anzi peggiorata crisi israelo-palestinese. Questa guerra non si vince facendo la politica dello struzzo né mostrando i muscoli e invocando bombardamenti a tappeto. Questa guerra si vince con l’intelligence, l’infiltrazione e la fermezza mentale e morale: dimostrando cioè che non c’è nessuna guerra di civiltà in atto e che lo sappiamo benissimo. Siamo immersi solo in una serie di scontri per il potere, l’egemonia politica, il predominio energetico. È tutto.