In questi due anni di pontificato molte cose sono state chiarite…Due anni fa l’elezione di Papa Francesco, in un primo momento il mondo mediatico ha pensato di contrastarlo con lo stesso metodo usato per Benedetto XVI: diffamazione e calunnie. Si spiegano così i tentativi iniziati pochi minuti dopo l’annuncio della sua elezione al soglio pontificio, di affibbiarli citazioni contro le donne ecomplicità con la dittatura argentina, accuse che abbiamo contribuito a smascherare come false.
Tuttavia, l’attenzione per del Papa anche a piccoli segni di sobrietà è bastata per entusiasmare l’ideologia sessantottina che ancora domina nelle redazioni dei quotidiani e l’aver semplicemente ribadito l’accoglienza della Chiesa per le persone (i peccatori) a prescindere dai comportamenti (peccati) con il famoso “chi sono io per giudicare?”, ha costretto i media a cambiare strategia: cercare di valorizzare al massimo Papa Francesco (il rivoluzionario progressista) contrapponendolo al resto della Chiesa (anacronistica e conservatrice).
I vaticanisti hanno collaborato molto a questo nuovo “piano di attacco”, scrivendo fiumi di inchiostro sulle fantomatiche “aperture”, “strappi”, “cambiamenti” del Papa, raccontando bugie, manipolando e tagliuzzando i suoi discorsi. Francesco se n’è accorto e ha commentato: «Non mi piacciono le interpretazioni ideologiche, una certa mitologia di papa Francesco. Sigmund Freud diceva, se non sbaglio, che in ogni idealizzazione c’è un’aggressione. Dipingere il Papa come una sorta di superman, una specie di star, mi pare offensivo».
Questa nuova forma di anticlericalismo mediatico, più subdolo e meno diretto, ha mandato in tilt il fantomatico tradizionalismo (-ismo, un’ideologia). Devoti alle regoline, ai codici, fedeli al Pontefice soltanto se rispetta la loro interpretazione del diritto canonico. Hanno creduto al mondo mediatico, sono caduti nella trappola dei progressisti e sono davvero convinti che Francesco abbia cambiato (o cambierà) la dottrina cattolica «per cercare l’applauso del mondo». I numeri sono piccoli ma contro di lui hanno imbastito un forte e pregiudizievole dissenso, come ha detto il ratzingeriano arcivescovo di Washington, Donald Wuerl: «Una delle cose che ho imparato in tutti questi anni è che, esaminando più attentamente, si riscontra un filo comune che attraversa tutti questi dissidenti. Essi sono in disaccordo con il Papa, perché lui non è d’accordo con loro e non segue le loro posizioni».
Francesco oggi si trova dunque in mezzo a questi due fuochi, lo ha capito il prof. Guzmán Carriquiry Lecour, vicepresidente della Pontificia Commissione per l’America Latina e amico personale del Santo Padre, criticando «il rifiuto sistematico e pieno di pregiudizi che si avvertono in alcune reazioni di settori ultraminoritari in seno alla Chiesa stessa». Il Papa, per usare termini politici, è strumentalizzato da “sinistra” e combattuto da “destra”,«i reazionari concordano e si alimentano anche con la figura falsata che pretendono di diffondere ambienti ecclesiastici e mediatici di progressismo liberal. Li accomuna l’immagine di un Papa che vuole cambiare insegnamenti dottrinali e morali della Chiesa, e che viene contrapposto dai predecessori».
Non a caso Francesco ha lanciato stoccate agli uni e agli altri: si è scagliato contro il «progressismo adolescenziale» e contro il «tradizionalismo zelante»; ha criticato l’allarmismo catastrofico così come il feticismo degli idoli della società moderna; si è opposto al buonismo distruttivo e al machismo in gonnella, ha criticato i gruppi tradizionalisti chiedendo però di rispettarli («dobbiamo essere rispettosi con loro e non stancarci di spiegare, di catechizzare, di dialogare, senza insultare, senza sporcarli, senza sparlare. Perché tu non puoi annullare una persona dicendo: “Questo è un conservatore”. No. Questo è figlio di Dio tanto quanto me. Ma tu vieni, parliamo. Se lui non vuole parlare è un problema suo, ma io ho rispetto. Pazienza, mitezza e dialogo»). Ha scomunicato i fondatori di “Noi siamo Chiesa”, riferimento principale del progressismo cattolico internazionale (gli amici di Vito Mancuso, per intenderci).
Il discorso più importante è stato certamente quello a conclusione del Sinodo sulla Famiglia, quando ha criticato «la tentazione dell’irrigidimento ostile, cioè il voler chiudersi dentro lo scritto (la lettera) e non lasciarsi sorprendere da Dio, dal Dio delle sorprese (lo spirito); dentro la legge, dentro la certezza di ciò che conosciamo e non di ciò che dobbiamo ancora imparare e raggiungere. Dal tempo di Gesù, è la tentazione degli zelanti, degli scrupolosi, dei premurosi e dei cosiddetti – oggi – “tradizionalisti” e anche degli intellettualisti. La tentazione del buonismo distruttivo, che a nome di una misericordia ingannatrice fascia le ferite senza prima curarle e medicarle; che tratta i sintomi e non le cause e le radici. È la tentazione dei “buonisti”, dei timorosi e anche dei cosiddetti “progressisti e liberalisti”. La tentazione di trasformare la pietra in pane per rompere un digiuno lungo, pesante e dolente (cf. Lc 4,1-4) e anche di trasformare il pane in pietra e scagliarla contro i peccatori, i deboli e i malati (cf.Gv 8,7) cioè di trasformarlo in “fardelli insopportabili” (Lc 10, 27). La tentazione di scendere dalla croce, per accontentare la gente, e non rimanerci, per compiere la volontà del Padre; di piegarsi allo spirito mondano invece di purificarlo e piegarlo allo Spirito di Dio. La tentazione di trascurare il “depositum fidei”, considerandosi non custodi ma proprietari e padroni o, dall’altra parte, la tentazione di trascurare la realtà utilizzando una lingua minuziosa e un linguaggio di levigatura per dire tante cose e non dire niente! Li chiamavano “bizantinismi”».
Se Benedetto XVI ha sconfessato approfonditamente la fede adulta dell’ideologia progressista, definendola di «una fede “fai da te”», Francesco ha confermato coinvolgendo nella critica anche la fede adulta dell’ideologia tradizionalista, altrettanto fonte di confusione e allontanamento dalla Chiesa. Pochi giorni fa il Papa ha ringraziato il responsabile di “Comunione e Liberazione”, don Julian Carron, per una lettera nella quale ha dato ragione della fedeltà al successore di Pietro. Ne citiamo un ampio passaggio, facendo nostre queste bellissime parole: «Tutti noi siamo stati educati a riconoscere nella figura di Pietro il fondamento della nostra fede», ha scritto don Carron. «”Il volto di quell’uomo [Gesù] è oggi l’insieme dei credenti, Corpo misterioso, chiamato anche “popolo di Dio”, guidato come garanzia da una persona viva, il Vescovo di Roma” (don Giussani). Senza la sua figura, nella quale si manifesta in modo eminente la successione apostolica, la nostra fede sarebbe destinata a soccombere tra le tante interpretazioni del fatto cristiano generate dall’uomo. Che semplicità occorre per riconoscere e accettare che la vita di ciascuno di noi dipende dal legame con un uomo in cui Cristo testimonia la sua perenne verità nell’oggi di ogni momento storico! E quanto sembra sproporzionato che tutto abbia la sua consistenza nel legame con la fragilità di una singola persona, scelta per questa missione! Eppure, la conferma che ciascuno di noi ha nella propria esperienza del fiorire della vita nella misura in cui lo segue, proprio questo costituisce la più grande risorsa per la nostra adesione incondizionata al Papa, che non può che esprimersi nella domanda sincera e umile di una sequela semplice, tanto siamo convinti che seguendo lui seguiamo Cristo. Più mi tuffo in queste riflessioni e più il mio pensiero va a don Giussani – che ci ha educato a guardare il Papa per questa sua rilevanza unica nella nostra vita».