Un nuovo attacco di Boko Haram, la paura della popolazione e un germoglio di futuro nelle ragazze fuggite dai jihadistiSarebbero parte del gruppo fondamentalista di Boko Haram, gli uomini responsabili del massacrdo di 74 uomini e 20 bambini nel villaggio di Njaba, nel nordest della Nigeria, perché hanno rifiutato di unirsi al gruppo islamista. A riferirlo è il quotidiano Vanguard. Al momeno non ci sono conferme ufficiali ma fonti della sicurezza citate dal giornale sembrano credibili. Il raid è avvenuto martedì ma è stato reso noto solo giovedì.
Dal 2009 in Nigeria Boko Haram ha ucciso più di 13mila persone per imporre il “suo” califfato.
L'ultima strage
Gli assalitori sono arrivati a Njaba, hanno immediatamente separato le donne dagli uomini e hanno infierito su di essi oltre che sui ragazzi, alcuni poco più che bambini ed hanno infierito su uomini e ragazzi, alcuni anche di 12 anni, e poi hanno dato fuoco alle case. "Molti sono stati sgozzati nella moschea – ha raccontato all'Associated Press Aminatu Mommodu -, altri invece sono stati uccisi con colpi di proiettile, mentre le donne fuggivano nella foresta".
Dopo Njaba la mattanza è proseguita in altri centri dove si è ripetuto il macabro copione: i miliziani hanno scelto come proprie vittime gli uomini e i ragazzi, in particolare tra i componenti della comunità Shuwa-Arab, che vive tra la Nigeria ed il Ciad, risparmiando invece la tribù dei Kanuris alla quale appartengono molti dei jihadisti.
La carneficina – ha riferito un testimone, Mohammed Seit – è la vendetta dei miliziani dopo l'adesione del Ciad al contingente internazionale panafricano (Avvenire, 5 marzo).
Le donne: vittime due volte
Questa notizia arriva nello stesso giorno in cui si aggiunge una tragedia generata dalla paura e dalla psicosi collettiva che ormai ha preso piede nei territori che subiscono periodicamente le violenze dei jihadisti di Boko Haram. Ai controlli allestiti per accedere all'area commerciale di Bauchi si è presentata una giovane donna che si è rifiutata di sottoporsi ai controlli di sicurezza, rifiuto che ha fatto scattare nella testa dei presenti la convinzione che avesse qualcosa da nascondere: esplosivo. Tutti l'hanno immediatamente creduta una kamikaze mandata da Boko Haram per compiere una strage. La folla, prima spaventata, poi inferocita, ha quindi picchiato la donna, poi le ha gettato addosso un copertone cosparso di benzina. La donna morta in seguito al linciaggio si chiamava Thabita Haruna, aveva 33 anni. Non era un'attentatrice in missione suicida. Dopo la sua uccisone le indagini hanno accertato i suoi problemi psichici, con cui si è spiegata la sua ribellione alle richieste della polizia. Addosso, Thabita aveva solo due bottiglie. Erano legate alla vita e qualcuno ha scambiato quel fardello per una cintura esplosiva.
"Non aveva alcuna intenzione di commettere un attentato – ha dichiarato alla France Presse il portavoce della polizia di Bauchi, Haruna Mohammed -. Come esponenti delle forze dell'ordine non abbiamo nessuna intenzione di permettere che la gente si faccia giustizia da sola. Proseguiremo le indagini e arresteremo i responsabili di quanto avvenuto, per consegnarli alla giustizia" (Repubblica, 5 marzo).
La presidente della Liberia, Ellen Johnson Sirleaf, unico capo di Stato donna in Africa, ha definito "inumano" l'uso di giovani donne kamikaze da parte dei Boko Haram. In un'intervista al canale France24, Sirleaf ha poi ricordato le circa duecento studentesse rapite dai jihadisti affermando: "noi non le abbiamo dimenticate". Poi ha elogiato la forza panafricana anti-jihadista e ha chiesto all'Unione Africana di attivarsi rapidamente per rispondere ai terroristi (Avvenire, 5 marzo).
“Noi volevamo solo studiare”
E proprio delle giovani ragazze rapite da Boko Haram si occupa l'Espresso di questa settimana con una intervista a 4 di esse che riuscirono a sfuggire ai loro rapitori. Erano 276 ad essere state catturate nel loro villaggio, Chibok, nel nord della Nigeria lo scorso aprile. In 56 riuscirono a fuggire, 20 di loro grazie ad una borsa di studio oggi sono all'Università Americana di Yola, capitale di uno dei tre Stati dove è stata dichiarata l'emergenza a causa del terrorismo. Le ragazze – ancora segnate dall'esperienza – sognano un riscatto per sé stesse e per la Nigeria grazie allo studio.
“Terminati gli studi, abbiamo in mente di costituire una fondazione con tutte le ragazze che sono state liberate e raccogliere fondi in giro per il mondo per trasformare il Chibok in una terra di speranza e non di morte” dice una di loro, Grace.
Cosa è successo invece alle altre 219?
Una domanda a cui tanti vorrebbero una risposta. A comincaire dalle famiglie delle rapite e dall'opinione pubblica nigeriana, che hanno manifestato più volte la loro rabbia per le strade di Abuja, la capitale, per l'atteggiamento del governo. A quasi un anno di distanza le loro sorti sono ancora un mistero. Uccise, vendute come schiave, date forzatamente in spose ai miliziani del gruppo fondamentalista. Nessuna conferma, nessuna smentita, neanche dal presidente del paese, che, in più occasioni, ha proclamato di aver raggiunto un accordo con i terroristi per il rilascio: cosa però mai avvenuta.
Paese che vai, promessa elettorale che trovi…