La questione del celibato non scelto e non consacrato interessa i vescovi francesidi Claire Lesegretain
Poco affrontata in occasione del primo Sinodo sulla famiglia dell'ottobre 2014, la questione del celibato non scelto e non consacrato interessa però i vescovi francesi. Su richiesta del Consiglio famiglia e società, il gesuita Christoph Theobald dovrà presentare una nota teologica sul tema affinché i vescovi possano discuterne in occasione della loro Assemblea generale, a fine marzo, prima del prossimo Sinodo nell'ottobre 2015.
“Scioccato e ferito”. Mons. Luc Ravel non esita a definire così la sua delusione alla lettura della relazione finale del primo Sinodo sulla famiglia dell'ottobre 2014, constatando che i celibi non vi sono citati. Vescovo nell'esercito dal 2009, Mons. Ravel si era fatto conoscere precedentemente per aver animato diversi pellegrinaggi per celibi e aver fondato Notre-Dame de l'Écoute (NDE) che riunisce celibi per momenti conviviali e spirituali. “Il celibato è un fatto sociale diffuso delle nostre società occidentali ed è sorprendente che non gli si dedichi neanche una riga in un quadro sulle famiglie che intende essere esaustivo”, insiste, ricordando che il fenomeno continua ad aumentare (1).
Tale dimenticanza dei Padri sinodali non sorprende affatto le persone abituate ad accompagnare dei celibi cristiani. “Il Sinodo si è incentrato sui divorziati risposati e sulla contraccezione, che pongono alla Chiesa problemi evidenti, mentre i problemi relativi ai celibi non sembrano così urgenti”, ritiene padre Denis Sonet che organizza da tempo incontri per celibi. “Nelle parrocchie, celibi e nubili non sono affatto visibili”, afferma Capucine Couchet, consigliera coniugale del CLER a Parigi, che riceve spesso donne sole di 35-45 anni, “nell'età in cui la pressione sociale e familiare è maggiormente dolorosa” da vivere. “Non si lamentano, non rivendicano niente, così i responsabili della Chiesa non vedono il problema”, deplora Capucine Couchet, pur riconoscendo che si tratta di un “circolo vizioso”: “La Chiesa non percepisce celibi e nubili come persone in cerca di aiuto, perché loro stessi non osano esprimere le loro sofferenze e le loro attese, come se se ne vergognassero”. E aggiunge sorridendo: “Nella Chiesa, celibi e nubili sono proprio i parenti poveri!”.
Mons. Ravel va nella stessa direzione ritenendo che “la questione di celibi e nubili non deve essere lasciata agli psicologi e ai siti internet” e che è un “dovere” per la Chiesa riflettere su questo stato di vita e dare alle persone che lo vivono “di che nutrire umanamente e spiritualmente la loro esistenza. Come una madre, la Chiesa deve esercitare un ministero di consolazione nei confronti di celibi e nubili dimostrando che li capisce”, prosegue. Sensibilizzato dal problema del celibato non scelto dalle “due donne nubili della sua équipe episcopale”, Mons. Hervé Giraud, vescovo di Soissons, aveva pubblicamente deplorato la dimenticanza del Sinodo davanti all'Assemblea dei vescovi francesi a Lourdes nel novembre scorso. “A forza di insistere sulla famiglia e sulla vita consacrata, coloro che non sono impegnati né nel matrimonio né nel sacerdozio ministeriale o nella vita religiosa si sentono dimenticati, se non svalorizzati, dall'istituzione ecclesiale”, riassume.
Per questo, in dicembre, il Consiglio famiglia e società della CEF ha chiesto al gesuita Christoph Theobald, insegnante al Centre Sèvres a Parigi, di riflettere su questo problema pastorale: “Quale percorso di vita proporre alle persone che non sono chiamate né al matrimonio né alla vita consacrata?”. Come decine di altri teologi incaricati di approfondire una ventina di problemi difficili e delicati, dovrà presentare il 1° marzo una nota teologica di “due pagine al massimo”. “Conto di sottolineare innanzitutto la diversità delle situazioni di celibi e nubili e delle loro difficoltà ad essere riconosciuti, sia nella società che nella Chiesa”, afferma padre Theobald, basandosi su un “Document Episcopat” (2), pubblicato nel 2010. Il teologo vuole anche distinguere “vocazione umana” e “vocazione battesimale” alla luce del Vaticano II che ricorda l'uguaglianza fondamentale tra battezzati, tutti chiamati alla santità indipendentemente dal loro stato di vita e dal loro carisma.
“Non bisogna assolutizzare gli stati di vita, ma al contrario relativizzarli”, insiste, deplorando certi discorsi ecclesiali che idealizzano il matrimonio. Padre Theobald vuole infine proporre delle piste per sviluppare l'accompagnamento e la formazione all'interno delle comunità cristiane, affinché esse percepiscano celibi e nubili come “un segno del principio di diversità caro a san Paolo”. Dichiarazioni confortate dalle osservazioni del suo confratello Alain Thomasset, professore di teologia morale al Centre Sèvres e presidente dell'Associazione di teologi per lo studio della morale (Atem). “C'è qualcosa da ascoltare dalla sofferenza e dalla povertà di coloro che hanno il desiderio di fondare una famiglia ma che non trovano come concretizzare il loro desiderio”, insiste. E anche dalla loro attesa e dalla loro speranza!”.
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(1) In Francia, su più di 12 milioni di celibi/nubili (nel senso ufficiale del termine: “persona in età di essere sposata ma che non lo è e non lo è mai stata”), si stimano tra i 4 e i 6 milioni coloro che vivono da soli.
(2) “Celibats, célibataires: quelles perspectives en Église?”.
[“La Croix” del 27 febbraio 2015 (traduzione: www.finesettimana.org)]