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La disforia di genere si cura bloccando la pubertà?

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 27/02/15
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Una clinica olandese adotta un protocollo che ferma lo sviluppo a 12 anni. Ma il metodo è controverso. I dubbi della morale cattolica e degli esperti
Un nuovo protocollo per bloccare lo sviluppo attraverso la somministrazione di farmaci e ri-orientare al meglio la scelta dell’identità sessuale negli adolescenti transessuali.

Il VU Medical Center, alla periferia di Amsterdam, è un centro all’avanguardia nella "cura" della disforia di genere e sta portando avanti un programma piuttosto radicale che prevede anche la «sospensione della pubertà» (27esimaora.corriere.it, 25 febbraio).

SVILUPPO FERMO 4 ANNI
Farmaci appositi fermano la produzione degli ormoni sessuali e, dopo un periodo che può arrivare al massimo a 4 anni, se viene confermata la diagnosi di disforia di genere, gli adolescenti sono reindirizzati, grazie a un’altra terapia ormonale, verso la pubertà dell’altro sesso (Famigliacristiana.it, 25 febbraio).

IL CASO DELLA MODELLA OLANDESE
Tra le pazienti più famose della clinica c’è Valentijn de Hingh, 24 anni, modella e giornalista olandese. «Ho iniziato a prendere i soppressori quando avevo 12 anni e così ho evitato la pubertà maschile: non mi è mai cresciuta la barba né il pomo d’Adamo — racconta — Tutto questo mi ha permesso di acquisire un aspetto più femminile quando, a 16 anni, ho iniziato a prendere gli ormoni dell’altro sesso. E non ho dovuto affrontare operazioni dolorose in seguito». Dopo i 18 anni, come prevede la legge Valentijn ha poi fatto la rettificazione del sesso.

IL BLOCCO TRA I 13 E 14 ANNI
L’età media in cui gli adolescenti vengono indirizzati alla clinica di Amsterdam è di 13 anni per i maschi e di 14 per le femmine. Spesso si presentano ai medici con la richiesta esplicita di «cambiare sesso»: «Per noi però inizia una lunga fase diagnostica in cui cerchiamo di capire se soffrano davvero disforia di genere e di escludere che abbiano problemi psichiatrici» dice la psichiatra De Vries.

STOP ALLA BARBA PER GLI UOMINI E AL SENO PER LE DONNE
Tre quarti di loro riceve effettivamente la diagnosi di disforia di genere e, se ha il sostegno della famiglia, può quindi iniziare la terapia per bloccare la pubertà: farmaci che fermano la produzione degli ormoni sessuali e quindi impediscono la piena maturazione sessuale e lo sviluppo dei cosiddetti caratteri sessuali secondari. Voce, barba, pomo d’Adamo nei maschi, seni e fianchi nelle femmine. «Noi la consideriamo un’estensione del periodo diagnostico, non l’inizio della fase di riassegnazione del genere. Anche perché questo tipo di terapia è del tutto reversibile», aggiunge de Vries.

A 16 ANNI ORMONI, POI INTERVENTO
Solo a 16 anni, se si sentono pronti, i pazienti possono iniziare ad assumere ormoni dell’altro sesso: mascolinizzanti se sono nate ragazze, femminilizzanti per i ragazzi (le operazioni chirurgiche per la rettificazione del sesso, come l ricostruzione genitale o la mastectomia, si possono invece fare solo dopo i 18 anni, contrariamente a quanto succede, per esempio, negli Stati Uniti).

PRASSI CHE LA CHIESA NON APPROVA
Già su Aleteia (11 febbraio) padre Maurizio Faggioni, medico e docente di Teologia morale all’Antonianum e all’Accademia Alfonsiana di Roma, aveva evidenziato che gli interventi psichiatrici in età prepuberale per affrontare la disforia di genere sono discutibili, tanto più se connotati dalla somministrazione di farmaci come bloccanti dello sviluppo. D’altro canto, aveva puntualizzato, «gli attuali protocolli sono il frutto di un orientamento della psichiatria piuttosto recente e tutt’altro che condiviso dalla morale cattolica».

ECCEZIONE PER IL GRAVE DISAGIO PSICHICO
Ii moralisti vicini alla Chiesa sostengono che il sesso è deciso dalla coscienza e solo in casi estremi e particolarmente drammatici, cioè «quando si vive un senso di angoscia che non si riesce a superare né con l’aiuto psichiatrico, né con quello farmacologico, ed è tale da metterne in pericolo la vita»,
allora si può ricorrere «anche» alla correzione del fenotipo, cioè alla correzione degli aspetti genitali, intesa come «cura palliativa». Nel caso di un intervento chirurgico, prosegue il teologo moralista, «va precisato che esso non assegna comunque la mascolinità o femminilità a quella persona».

UNA CONTRO-TERAPIA FAMILIARE
Il noto psichiatra americano Paul R. McHugh, professore Emerito di Psicologia presso la prestigiosa Johns Hopkins University School of Medicine, dove è stato presidente del Dipartimento di Psichiatria, è intervenuto qualche tempo fa sul Wall Street Journal, ha spiegato che i trattamenti per i giovani «devono iniziare con la rimozione del giovane dall’ambiente suggestivo che lo confonde, offrendo a lui un contro-messaggio in terapia familiare» (uccronline, 25 febbraio).

ABBATTERE I DISTURBI DELLA COSCIENZA
Insomma, più che puntare ai farmaci, «gli psichiatri devono sfidare il concetto solipsistico che ciò che è nella mente non può essere messo in discussione. I disturbi della coscienza, dopotutto, rappresentano il dominio della psichiatria. La maggior parte dei pazienti trattati chirurgicamente hanno descritto se stessi come “soddisfatti” dai risultati, ma i loro adattamenti psico-sociali successivi non erano migliori di quelli precedenti l’intervento chirurgico. Per questo alla Johns Hopkins abbiamo interrotto gli interventi chirurgici per cambiare sesso».

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