Nascondete quel Dio che non posso vedere, direbbe Molièredi Jacques Gauthier
Anche se Dio è, per sua natura, incomprensibile, non mancano le parole e le idee per evocarlo ed invocarlo. Dal tam-tam al computer, dalle tavolette d’argilla ai touch-screen, la nozione di Dio viene da lontano e se ne sente sempre l’eco, tanto resiste all’usura. Eppure, si parla di un ritorno di Dio, come se, ad un certo punto, se ne fosse andato. Ma non è forse là dove lo si lascia entrare? Ogni individuo ha le sue ragioni di credere in Dio o no, e non c’è nessun bisogno di deridere il credente o il non-credente per giustificare la propria posizione. La riflessione non impedisce il dialogo, la libertà di espressione il rispetto. Ma Dio è una parola tabù nelle nostre società secolarizzate.
Nascondete quel Dio che non posso vedere, potrebbe dire Molière. Per molti, è sinonimo di oscurantismo e di alienazione; minaccia la democrazia e opprime l’autonomia. Lo si confonde continuamente con le religioni che, diventate sospette e superate, sono spesso ridotte a caricature, o a minoranze tra le più fanatiche. Che fare allora quando degli estremisti uccidono in nome di Dio, lo usano come un’arma di distruzione, come si è visto recentemente nei locali di Charlie Hebdo? Ma di che Dio si tratta? L’idea di Dio varia a seconda delle tradizioni, delle culture, delle credenze, delle religioni. Quando qualcuno proclama di credere in Dio, è quindi importante specificare a quale immagine di Dio si riferisce, a quale libro sacro si ispira e, soprattutto, come lo interpreta. Allora il dialogo è possibile, pur riconoscendo con umorismo e umiltà che non sappiamo tutto di Dio e che molto di sé Lui lo dice nel silenzio. Nietzsche affermava che una cosa spiegata non ci interessa più. Dio ha un bel futuro davanti! Nessuno può esaurire il suo mistero né svuotare la sua sostanza. Il poeta americano Wallace Stevens lo ammetteva in una delle sue massime: “La massima idea poetica del mondo è ed è sempre stata l’idea di Dio”.
Possiamo fare spazio a quest’idea nelle nostre culture, discuterne serenamente nei media, studiare la sua evoluzione a scuola in corsi di storia e filosofia? Voler eludere la questione di Dio nelle nostre società laiche, significa lasciarla nelle mani di estremisti che se ne servono per giustificare il loro nichilismo distruttore. La laicità deve combattere questo terrorismo, senza rifiutare però le religioni e senza vedervi soltanto del negativo. Ad esempio, si può criticare l’islam senza denigrare i musulmani. I jihadisti si nutrono della divisione e dell’ignoranza per alimentare la loro ideologia assassina. La sfida è tener insieme libertà di espressione e rispetto dell’altro, in questo secolo di cui Malraux aveva predetto che sarebbe stato religioso.
Il 12 gennaio 2015, papa Francesco metteva in guardia contro le forme devianti della religione: “Che i responsabili religiosi, politici ed intellettuali, in particolare musulmani, condannino ogni interpretazione fondamentalista ed estremista della religione che mira a giustificare tali atti di violenza”. E due giorni dopo, canonizzando Joseph Vaz, primo santo dello Sri Lanka e grande figura di riconciliazione, aggiungeva: “Ogni individuo deve essere libero, solo o insieme ad altri, di cercare la verità, di esprimere apertamente le proprie convinzioni religiose, libero da intimidazioni e da costrizioni esterne”. Che si sia credenti o non-credenti, l’importante non è forse restare nell’intelligenza del cuore e della compassione, facendoci prossimi di coloro con cui viviamo? Perché, in fondo, la domanda “chi è Dio?”, rinvia a “chi sono io?”, alla ricerca di senso e di felicità, all’attualità della sofferenza e della morte.
Eludere questo interrogarsi metafisico scava un vuoto spirituale, ci allontana dalla nostra interiorità, da ciò che i mistici chiamano il cuore, l’anima. Possiamo porci un’altra domanda: la fede è credibile? La fede, diceva la filosofa Simone Weil, “è l’intelligenza illuminata dall’amore”. Così, solo l’amore è degno di fede. La fede indica una direzione su un percorso diverso dalla scienza. Precede il sapere ed è impossibile da verificare in laboratorio. È un atto che permette di entrare in relazione con Dio, soprattutto nella preghiera.
( Da “La Croix” del 21 febbraio 2015, traduzione: www.finesettimana.org)