Dialogo tra studente e professore dopo una esperienza all’estero. La voce di una generazione?Qui di seguito ricostruisco una conversazione che ho avuto con Luca, 23 anni, piombato nel mio studio dopo aver trascorso sei mesi a Parigi con una borsa Erasmus. Fra i mille dettagli che Luca riesce a comprimere in pochi minuti, d’improvviso emerge un tema che non mi aspettavo: i bambini. Pochi, pochissimi in Italia. Tanti, e secondo lui molto diversi dai nostri, a Parigi.
«Sa una cosa, prof?»
«Cosa?»
«Ho scoperto che in Francia molti ragazzi fanno figli già a 25, 26 anni. Subito dopo la laurea si sposano e zac, un bimbo. Poi due e magari tre. Ma anche senza sposarsi: li fanno e basta. Mentre qui invece… qui per me la sola idea di fare un figlio fra un anno o due… brrrr… che impressione, non ci penso neanche lontanamente, non mi ci vedo proprio.»
«Be’, il tasso di natalità in Francia e uno dei più alti in Europa, non lo sapevi? Mentre in Italia è fra i più bassi…»
«Lo sapevo, sì, ma non mi aspettavo che si vedesse anche per strada. Cioè, se cammini in giro per Bologna non incontri quasi mai bambini, e quando li becchi ti sembra una stranezza, ci fai caso perché non sei abituato. Tendenzialmente, poi, ti danno pure un po’ fastidio, non so perché. Sarà perché i bambini italiani piangono e strepitano sempre… A Parigi, invece, vedi bimbi dappertutto: nei negozi, per strada, sulla metro. E sono tutti buonissimi, accidenti. Giocano tranquilli, chiacchierano senza fare casino e non ti rompono le balle, non so perché. Qui invece pare ci siano solo bimbi esagitati e genitori che gli stanno addosso in modo insopportabile, ci ha fatto caso, prof?»
«Mah, non so, eviterei di generalizzare…»
«È così, ci ho fatto caso: all’estero è più facile beccare famiglie sorridenti, tranquille. E i genitori sono giovanissimi, accidenti! In Italia invece sono tutti sempre stressati: madri isteriche, figli che gridano come aquile, padri che si rinchiudono nel mutismo o fuggono a gambe levate. Basta guardarsi intorno a Bologna, ma anche a Milano, Roma, Firenze. E pure in vacanza, al mare o in montagna, stessa solfa. Giusto se vai a Sud è diverso, ma solo perché le donne non lavorano, stanno a casa e con i figli fanno tutto loro. Sarà perché fare bambini in Italia è sempre più un casino: se non hai un lavoro, come fai a dargli da mangiare? Ma anche se lavori, finisce che lasci tutto lo stipendio alla babysitter o alla scuola materna e allora tanto vale non lavorare. La verità è che in Italia il welfare fa schifo, prof. Ci credo che poi la gente sclera…»
«Hai ragione, è proprio così…»
«Ma c’è di più, prof.»
«Dimmi.»
«C’è qualcosa di strano, qualcosa di sbagliato nel modo in cui ti prospettano la faccenda dei figli.»
«Cioè?»
«Ti raccontano solo cose brutte, te la dipingono come se fosse una tragedia, una catastrofe a tutti gli effetti, non una cosa bella. Intendo: se parlo con ragazzi della mia età francesi, ma anche olandesi o inglesi, tanto per dire… ho diversi amici per via dell’Erasmus… be’ loro non hanno lo stesso terrore che abbiamo noi in Italia per l’idea di fare figli.»
«Terrore?»
«Ma sì, le faccio un esempio. Quando avevo quindici anni mio padre mi prese da parte per farmi il classico discorsetto “da padre” [Luca mima le virgolette con le dita delle mani] sul preservativo: che dovevo portarlo sempre con me, che non dovevo tenerlo schiacciato in tasca, no al caldo, no troppo vecchio, insomma che dovevo starci attento, attentissimo, ma non per l’Hiv e altre malattie, nooo, quelle non le ha mai nominate, figuriamoci, mentre oggi lo so benissimo che avrebbe dovuto, perché nessuno pensa più all’Hiv ma quello è ancora in giro vivo e vegeto. No, io il preservativo dovevo usarlo per non mettere incinta una ragazza, solo per quello, accidenti.»
«Be’, a quindici anni…»
«Sì, vabbe’. Ma è il modo in cui l’ha detto, prof, lo scenario catastrofico che ha dipinto: che fare figli ti cambia la vita, ti toglie tutte le libertà, t’impedisce la carriera e rovina pure il rapporto con tua moglie, perché dopo i figli una coppia non fa più sesso, non ha più intimità, non è più la stessa, così ha detto mio padre, capisce, prof?»
«Uhm…»
«Roba che, come figlio, dopo quel discorsetto che me lo ricordo benissimo come se fosse ieri, dopo quel discorsetto “da padre” [di nuovo il gesto delle virgolette], io ci ho ripensato mille volte a quel discorsetto e mi sono pure sentito in colpa per avergli rovinato la carriera, il lavoro e la vita di coppia, a mio padre e mia madre. Insomma, mi sono sentito come se mio padre, ripensandoci, mi stesse raccontando il fastidio che ero stato io per lui. Non a caso, poi, sono rimasto figlio unico. E non a caso i miei hanno divorziato. Ma questa è un’altra storia.»
«D’accordo, Luca. Ma questa è la tua storia. Di qui a farne un discorso generale…»
«Però vede prof, se parlo con i miei amici la pensano tutti come me, sulla faccenda figli. Anche le ragazze, no, le dirò di più: le ragazze sono anche più catastrofiste di noi. Pure loro vedono i bambini come una sfiga, qualcosa che ti porta solo casini, che ti impedisce di vivere, di divertirti, di viaggiare, e persino di realizzare i tuoi sogni nel lavoro e nella carriera. Magari poi non arrivano a dire che non li vogliono in assoluto, i bambini, non arrivano proprio a questo, non tutte almeno, ma sono tutte d’accordo che ai bambini bisogna pensare molto più in là nel tempo, a trenta o trentacinque anni, quando una è già realizzata nel lavoro, già soddisfatta, arrivata. Ma oggigiorno chi può dire di essere arrivato a trent’anni? Bah. Mi sembra che sulla storia dei figli i nostri genitori ci abbiano fatto solo del gran terrorismo. E alla fine noi, in effetti, siamo terrorizzati.»
«Tutta colpa dei genitori, insomma?»
«No, non solo. È qualcosa che si respira nell’aria, non so come dire.»
«Nell’aria?»
«Sì. In Italia “non fa figo” [segna le virgolette con le mani] fare figli. Perché sei circondato da mille messaggi che ti dicono ogni giorno che porta stress, costa molto, t’incasina la vita: pubblicità, televisione, cinema… Non fa figo, no. Sei figo se nella vita hai tante storie con tante donne (o con tanti uomini, se sei una donna, ma per le donne questo conta meno…), sei figo se hai successo nel lavoro, se hai l’auto figa, la casa figa, se vesti in un certo modo, se vai nei locali giusti eccetera. Ma non fa figo se hai figli, no. Le sembra normale?»
«A te come sembra?»
«A me non sembra normale, prof. Anzi, più ci penso e più mi pare assurdo. E così, di pancia, mi sembra pure una cosa malata. Come se in Italia avessimo tutti un bel po’ di problemi in testa e ce li rinforzassimo gli uni con gli altri. Ecco come mi sembra.»