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Lo psicoanalista Massimo Recalcati: «Conchita Wurst? Mito narcisistico, non è libertà»

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Unione Cristiani Cattolici Razionali - pubblicato il 12/02/15
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La “liberazione sessuale” non può essere emancipazione da se stessi, il rischio sono nuove schiavitù
Il Festival di Sanremo ieri sera ci ha presentato come superospite l’uomo barbuto vestito da donna Conchita Wurst, vincitore dell’Eurofestival nel 2014. In quell’occasione la cantante Emma Marrone, conduttrice oggi del festival,disse “Senza barba non avrebbe avuto alcuna chance”.

Come abbiamo spiegato ieri, non amiamo le mascherate (nemmeno a Carnevale) e preferiamo sempre la vera identità delle persone, per questo abbiamo apprezzato molto la scelta di Mauro Coruzzi di mostrarsi sul palco dell’Ariston senza la maschera difensiva di Platinette. E’ quello che auguriamo anche a Thomas (in maschera Conchita). Ieri sera il presentatore Carlo Conti lo ha chiamato giustamente “personaggio” e non “cantante”, rivolgendosi a lui al maschile e ogni tanto al femminile.

La confusione evidentemente la fa da padrona anche in chi pensa che questo sia progresso. Perché, questo, non lo è affatto e lo ha sostenuto anche il laicissimo psicoanalista di “Repubblica”Massimo Recalcati, supervisione clinico presso l’Ospedale Sant’Orsola di Bologna. Pochi mesi fa scrisse infatti:«esaltano la donna barbuta come una figura della liberazione sessuale e della tolleranza nei confronti della diversità; esultano vedendo in Conchita Wurst una eroina del nostro tempo e il suo successo come il giusto riconoscimento di un altro modo di pensare e di vivere la differenza sessuale. Perché due soli sessi? Perché escludere la possibilità ancora inesplorate di forme multiple, anarchiche, erranti, della sessualità? Non sarebbe questa la legittima liberazione sessuale da secoli di oppressione clerico-fascista?».

No, non è così: «Questa cultura che esalta un sesso totalmente libero dai vincoli dell’anatomia e dai condizionamenti educativi», ha proseguito Recalcati, «ricade in pieno in una concezione autogenerativa dell’uomo come colui che si fa da sé. È un mito narcisistico del nostro tempo: quello di una libertà che vuole prescindere da ogni vincolo simbolico: inventarsi il proprio sesso».

Per questo, ha continuato ancora, «non posso condividere l’esultanza di coloro che vedono nella vittoria della Drag Queen barbuta la vittoria di una Civiltà della tolleranza e della diversità su quella della repressione e della mortificazione della sessualità. Per la psicoanalisi la diversità concerne innanzitutto il soggetto in quanto tale. Siamo tutti diversi perché la nostra singolarità è strutturalmente incomparabile, unica, irripetibile. L’etica della tolleranza si fonda sul rispetto di questa unicità, sull’accoglienza della diversità, sempre sintomatica, del soggetto. Ma cosa pensiamo che sia veramente una liberazione sessuale? Fare del proprio corpo quello che si vuole? È sufficiente questo per parlare di liberazione sessuale e di tolleranza verso la diversità? L’esibizione di un corpo bizzarro e ostentatamente provocatorio non corre forse il rischio di ridurre la liberazione sessuale ad un semplice rovesciamento speculare del vecchio paradigma clerico-fallico-fascista della normalità? La norma prescrittiva non è più quella ascetico-repressiva ma diventa quella narcisistico- esibizionista».

Ha quindi concluso: «Ma vogliamo davvero credere che esistano dei “diversi più diversi dagli altri”. Lo psicoanalista sa bene che nell’uso libertino della sessualità spesso si annida una difficoltà, a volte paralizzante, nei confronti del rischio che comporta l’incontro d’amore e sa altrettanto bene che la liberazione sessuale senza amore spesso degenera in una schiavitù compulsiva priva di soddisfazione. La sola liberazione sessuale degna di questo nome è quella che sa unire il corpo sessuale all’amore e che sa rispettare la diversità dell’Altro (etero o omosessuale che sia)»
.

Recalcati ha ragione, il fenomeno gender (la cui icona è certamente il personaggio della “donna barbuta”) è la mortificazione della diversità in nome di una destabilizzante (e un po’ ridicola) utopia dell’uniformità, della liquidità sessuale. E’ l’ideologia sessantottina applicata al sesso. La chiamano “liberazione sessuale”: ma liberi da cosa? Dalla propria intima natura? Ma emanciparsi da se stessi è proprio l’opposto della libertà, è schiavitù verso il pensiero dominante. Non a caso Papa Francesco ha definito il fenomeno del gender una «colonizzazione ideologica» della mente degli uomini. Caro Thomas, non vediamo l’ora di rivederti al Festival quando vorrai mostrarti per quello che sei veramente.

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