I Patti Lateranensi: così nacque lo Stato della Città del Vaticano…
I Patti, dal nome del palazzo di San Giovanni in Laterano in cui avvenne la firma degli accordi e grazie ai quali furono stabilite regolari relazioni bilaterali tra le parti, furono negoziati tra il cardinale segretario di Stato Pietro Gasparri per conto della Santa Sede e Benito Mussolini con lo scopo di risolvere la ‘questione romana’. Soppiantarono la cosiddetta ‘legge delle Guarentigie’, approvata dal Parlamento il 13 maggio del 1871 dopo la presa di Roma. Con il Concordato, viene riconosciuto il carattere cattolico dello Stato Italiano; assicurato il libero potere spirituale della Chiesa e la libertà di culto; stabiliti gli effetti civili del matrimonio canonico e l’obbligatorietà dell’insegnamento della dottrina cattolica nelle scuole.
Il Concordato (ma non il Trattato) fu poi rivisto nel 1984, per rimuovere principalmente la clausola riguardante la religione di Stato della Chiesa cattolica in Italia. La revisione venne firmata a Villa Madama il 18 febbraio, a Roma, dall’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi per lo Stato italiano e dal cardinale Agostino Casaroli, Segretario di Stato, in rappresentanza della Santa Sede. Il nuovo Concordato stabilì che la Chiesa cattolica, così come le altre confessioni religiose, venisse finanziata da una frazione del gettito totale Irpef attraverso il meccanismo noto come ‘otto per mille’ e che la nomina dei vescovi non richiedesse più l’approvazione del governo italiano. Inoltre, per quanto riguarda la celebrazione del matrimonio, si stabilirono le clausole da rispettare perché un matrimonio celebrato secondo il rito cattolico potesse essere trascritto dall’ufficiale di Stato civile e produrre gli effetti riconosciuti dall’ordinamento giuridico italiano. Fu anche stabilito che l’ora di religione cattolica nelle scuole passasse da obbligatoria a facoltativa.
PIO XI E L’ALLOCUZIONE SU ‘L’UOMO DELLA PROVVIDENZA’
Ad avversare visceralmente la decisione del regime fascista fu il senatore Benedetto Croce che vedeva nella Chiesa una istituzione oscurantista mossa soltanto da interessi temporali, tanto che in aula affermò che essa aveva “peccato contro lo Spirito, non rappresentando ormai nulla, se non un complesso di mire economiche e politiche”.
Croce continuò a manifestare la sua avversione al Concordato – come ha ricordato lo scrittore Vittorio Messori in un articolo ripubblicato in “Emporio Cattolico. Uno sguardo diverso su attualità e storia” (Sugarco Edizioni) – e, in un piccolo libro, pubblicato dopo la caduta del fascismo e intitolato Per la nuova vita d’Italia, scriverà: “Nessuno può dimenticare Pio XI, che inneggiò a “l’uomo della Provvidenza”, con il quale strinse i tristemente noti accordi”. Quasi a voler denotare una sorta di “patto mistico-politico tra la Chiesa e il fascismo”.
Per risalire alla citazione scorretta da parte di Croce bisogna richiamare l’udienza che Pio XI concesse, tre giorni dopo la firma dei Patti, dunque il 13 febbraio del 1929, ai professori e agli studenti della giovane Università Cattolica di Milano. In quell’occasione il papa disse: “E qualche volta siamo stati tentati di pensare, come lo diciamo con lieta confidenza a voi, sì buoni figliuoli, che forse a risolvere la questione ci voleva proprio un Papa alpinista, un alpinista immune da vertigini e abituato ad affrontare le ascensioni più ardue”. “Dobbiamo dire – aggiunse poi – che siamo stati anche dall’altra parte nobilmente assecondati. E forse ci voleva anche un uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare; un uomo che non avesse le preoccupazioni della scuola liberale, per gli uomini della quale tutte quelle leggi, tutti quegli ordinamenti, o piuttosto disordinamenti, tutte quelle leggi, diciamo, e tutti quei regolamenti erano altrettanti feticci e, proprio come i feticci, tanto più intangibili e venerandi quanto più brutti e deformi”.
Messori commentò così: “c’è una bella differenza tra un secco ‘uomo della Provvidenza’ e un ben più sfumato ‘un uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare’, preceduto per giunta da un ‘forse’”. E tra l’altro spiegò che con quelle parole Pio XI intendeva semplicemente dire che Mussolini non aveva i pregiudizi che avevano portato tutti i precedenti negoziatori a rifiutare qualsiasi accordo che prevedesse una sovranità territoriale per la Santa Sede. Alludendo, in questo modo, alle posizioni del professor Domenico Barone, allora rappresentante del governo italiano, grande esperto di diritto pubblico ma anche grande esponente del liberalismo ottocentesco, per il quale la sola sovranità ammissibile era quella dello Stato. E che si opponeva, quindi, non solo alla sovranità della Santa Sede ma anche alla richiesta di un territorio minuscolo per la Chiesa al riparo da ingerenze statali. In seguito, con la morte improvvisa del professor Barone fu Mussolini stesso a condurre la trattativa (tralasciando le preoccupazioni liberalesche definite appunto come “feticci” da Pio XI) e di fatto l’accordo ci fu.