Se li fate diventare dei marmocchi viziati non fate loro un favoreFiglio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio.
Nella nostra epoca, tendiamo a opporre amore e punizione, e anche misericordia e punizione, ma è sbagliato. È possibile, almeno con gli esseri umani, che una certa punizione sia eccessiva, ma in sé la punizione (nella Bibbia spesso chiamata castigo) è un’opera d’amore e misericordia.
San Tommaso d’Aquino parla di “correzione fraterna” nella sua trattatazione sulla carità. Preservare qualcuno dalle conseguenze maggiori del peccato attraverso le conseguenze minori di una punizione controllata è una grande opera di misericordia. E l’opera di misericordia più grande è aiutare le persone a rimanere fuori dall’Inferno.
Per questo motivo, dobbiamo recuperare una comprensione adeguata della punizione e del suo scopo. Al giorno d’oggi, troppe persone pensano che la punizione sia una vendetta. Chi punisce, quindi, viene ritenuto una persona che esige semplicemente la vendetta o si vendica di qualcuno per quello che ha fatto. Molti, inoltre, pensano forse alla punizione come a un semplice mezzo con cui chi ha più potere scarica la propria rabbia su chi ne ha di meno. È vero che a volte i genitori possono punire per ragioni diverse. Forse a volte quando puniscono il figlio scaricano su di lui la propria rabbia, ma avviene perché sono genitori imperfetti. Dio è invece il Padre perfetto, e quando punisce non influiscono su di lui aspetti relativi al peccato.
E dato che le nozioni di punizione distorte come sinonimi di vendetta o riversamento di rabbia sono comuni al giorno d’oggi, occorre quindi recuperare una giusta nozione di punizione.
Quali sono allora la comprensione e lo scopo corretti della punizione? L’obiettivo della punizione è permettere alla persona punita di sperimentare gli effetti negativi del cattivo comportamento in un modo limitato, perché non li sperimenti in maniera ben peggiore.
Prendete in considerazione un bambino a cui i genitori hanno ordinato di non attraversare la strada trafficata senza una persona più grande che lo scorti. Questo avvertimento è dato nell’amore. I genitori non cercano in alcun modo di eliminare il suo divertimento o di limitare la sua libertà. Stanno cercando di proteggerlo da un grave male. Ma che succede se il bambino attraversa non scortato e i genitori lo scoprono? Probabilmente lo puniranno, o almeno dovrebbero farlo. Forse il padre lo farà rimanere da solo nella sua stanza per tre ore come castigo.
Vediamo cosa succede in questo caso. Viene inflitta una piccola ferita per evitarne una molto più seria. Dopo tutto, cos’è peggio, un “time out” di tre ore in una stanza noiosa o essere investiti da una macchina e rimanere forse paralizzati o uccisi? È chiaro che l’obiettivo della punizione è permettere una piccola quantità di dolore per evitare una situazione ben peggiore in futuro.
Quando Dio punisce, spesso agisce allo stesso modo. Permetterà o infliggerà dolore di modo che possiamo evitare che il dolore provocato dal nostro cattivo comportamento precipiti a spirale in questioni ben più serie e nel dolore di gran lunga peggiore dell’Inferno eterno. La punizione, quando è applicata in modo adeguato (ed è sempre così quando viene applicata da Dio), è salutare. Aiuta a porre fine a un comportamento negativo e che ferisce, e in genere porta a un comportamento positivo e costruttivo.
La punizione è quindi intrinseca all’amore, ma l’amore qui deve essere inteso come quell’amore forte e vigoroso che dice la verità e insiste su questa come unica base per una realizzazione reale e duratura.
La Lettera agli Ebrei ha un passo importante che parla dei veri contorni della punizione e della disciplina sulla base dell’amore vero e forte di Dio Padre per noi:
“Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio. È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre? Se siete senza correzione, mentre tutti ne hanno avuto la loro parte, siete bastardi, non figli! Del resto, noi abbiamo avuto come correttori i nostri padri secondo la carne e li abbiamo rispettati; non ci sottometteremo perciò molto di più al Padre degli spiriti, per avere la vita. Costoro infatti ci correggevano per pochi giorni, come sembrava loro; Dio invece lo fa per il nostro bene, allo scopo di renderci partecipi della sua santità. Certo, ogni correzione, sul momento, non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo però arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati. Perciò rinfrancate le mani cadenti e le ginocchia infiacchite e raddrizzate le vie storte per i vostri passi, perché il piede zoppicante non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire. (Eb 12:5-13).
Notate che coloro che sono senza disciplina sono chiamati provocatoriamente “bastardi”. È interessante che questa parola, che in origine si riferiva semplicemente a un figlio che non aveva un padre nella sua vita, sia arrivata a indicare una persona riprovevole, centrata su di sé o incorreggibile. Quando un bambino cresce senza la disciplina di un padre, spesso diventa un “bastardo” in entrambi i sensi, antico e moderno, del termine. Nel nostro uso di questa parola piuttosto scortese, ci stiamo riferendo a ciò che accade a una persona che non conosce la disciplina.
Al giorno d’oggi molti bambini mancano della disciplina adeguata. Questo porta a una serie di mali: comportamento negativo e autodistruttivo, arroganza, atteggiamenti irrispettosi, incorreggibilità, ostilità, egoismo, avidità, insensibilità, mancanza di autocontrollo e molte altre tendenze sociopatiche.
Il capitolo 30 del Siracide dice:
Chi ama il proprio figlio usa spesso la frusta, per gioire di lui alla fine. Chi corregge il proprio figlio ne trarrà vantaggio e se ne potrà vantare con i suoi conoscenti… Chi accarezza un figlio ne fascerà poi le ferite, a ogni grido il suo cuore sarà sconvolto. Un cavallo non domato diventa restio, un figlio lasciato a se stesso diventa sventato. Coccola il figlio ed egli ti incuterà spavento, scherza con lui, ti procurerà dispiaceri… Non concedergli libertà in gioventù, non prendere alla leggera i suoi difetti. Piegagli il collo in gioventù e battigli le costole finché è fanciullo, perché poi intestardito non ti disobbedisca e tu ne abbia un profondo dolore.
Dobbiamo riscoprire il fatto che la punizione è parte dell’amore. Non è amore lasciare che un figlio sia indisciplinato. Non stiamo aiutando affatto il bambino quando falliamo nel disciplinarlo. La disciplina deve essere sicuramente radicata nell’amore, e quando è così porta a molti effetti positivi. Anche Dio ci mostra il Suo amore disciplinandoci e punendoci. Ho menzionato in precedenza le parole di San Tommaso, e penso sia bene finire con loro: “La correzione fraterna, proprio perché è un atto di carità, è un dovere che riguarda tutti nei confronti di qualsiasi persona verso la quale siamo tenuti ad avere la carità, qualora troviamo in essa qualche cosa da correggere” (II, IIae, 33.1).
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Monsignor Charles Pope è parroco della parrocchia Holy Comforter-St. Cyprian di Washington, D.C. Ha frequentato il Mount Saint Mary’s Seminary ed è laureato in Divinità e Teologia Morale. È stato ordinato nel 1989 e nominato monsignore nel 2005. Ha condotto uno Studio Biblico settimanale al Congresso degli Stati Uniti e alla Casa Bianca, rispettivamente per due e quattro anni.
[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]