100 milioni di donne mancano all’appello a causa dell’aborto selettivo e dell’infanticidio praticato in molti paesi e in particolare in India e CinaAll'appello del report demografico della Banca Mondiale, mancano 100 milioni di bambine. Una vera e propria voragine demografica di genere è ancora più spaventosa che il prodotto della scelta consapevole di abortire i feti di sesso femminile, della minor cura prestata alle figlie in diverse regioni del mondo quando non addirittura dell'infanticidio diretto di molte figlie femmine.
Tenendo insieme una serie di altri fattori questo divario drammatico si “riduce” a 60 milioni, poiché entrano in gioco una molteplicità di fattori che si sommano e si sottraggono tra loro, incidendo in modo geograficamente variabile. Non tutti sanno che nella specie umana nascono naturalmente più maschi che femmine, secondo la letteratura scientifica il rapporto è in media di 105 fiocchi azzurri e 100 fiocchi rosa, con piccole fluttuazioni nello spazio e nel tempo che la scienza non è riuscita compiutamente a spiegare. È abbastanza noto invece che, a parità di condizioni, le donne sono più longeve degli uomini. Ma le condizioni di vita variano tantissimo in base alla cultura, allo stile di vita e al luogo di residenza.
LA GEOGRAFIA DEI MASCHI E DELLE FEMMINE
Grazie allo studio di David Bauer sulla rivista Quartz, è possibile avere un quadro a colpo d'occhio: colorando di blu i paesi a prevalenza maschile si vede immediatamente l’enorme blocco costituito da Cina e India, dove l’incontro tra la moderne tecniche di selezione del sesso dei figli e i pregiudizi tipici dei sistemi patriarcali rigidi si è tradotto in uno tsunami demografico di aborti selettivi. I divieti sanciti da Nuova Delhi e da Pechino finora sono valsi a poco, e gli specialisti non si aspettano miracoli neppure dal superamento della politica del figlio unico. Nel paese del dragone gli uomini in eccesso sono 50 milioni, in quello dell’elefante 43 milioni.
Un altro “blocco blu” (cioè con uno squilibrio di maschi) si trova in corrispondenza della penisola arabica. La preferenza culturale per il figlio maschio è radicata anche qui, ma la religione islamica argina gli aborti sesso-specifici. Qui a sbilanciare il rapporto tra i sessi sono piuttosto gli immigrati maschi attirati dalle opportunità di lavoro nei paesi del petrolio, Qatar in testa.
Invece in Europa e America i colori di questa ipotetica mappa tendono al rosa, perché nelle aree sviluppate le donne hanno un’aspettativa di vita superiore a quella degli uomini. In qualche paese la popolazione femminile è andata crescendo. Per ragioni diverse è il caso del Messico (emigrazione maschile), del Brasile (mortalità maschile) e della Russia (effetto vodka). Sembra incredibile ma l’alcolismo fa sì che nella fascia di età over 65 si contino almeno due russe per ogni russo. Anche nelle zone martoriate da genocidi e guerre come Ruanda e Cambogia la mappa vira tristemente al rosa.
Quanto all’Africa, il continente sembra tutto sommato in equilibrio. Ma qui le donne continuano a morire più giovani che altrove e al bilanciamento tra i sessi contribuisce l’elevato numero di bambine che nascono. Forse perché i feti femminili sono quelli che meglio resistono alle difficili condizioni di sviluppo dovute alla malnutrizione delle madri (27esima Ora – Corriere della Sera, 3 febbraio)
UN FENOMENO BEN NOTO
Come riportato da Il Foglio, già nel 2010 il noto settimanale britannico, l'Economist, titolava: “La distruzione selettiva delle bambine è globale” che metteva in copertina un paio di scarpette rosa sotto il titolo “Gendercide”. E la domanda da brividi: “Cosa è successo a cento milioni di bambine?”. E’ il genocidio di genere. In Italia lo chiameremmo (stavolta davvero non a sproposito) “femminicidio di massa”.
La quarta Conferenza asiatica sui diritti riproduttivi aveva parlato di “163 milioni di bambine mancanti in Asia”. Sette anni prima un altro giornale dell’establishment anglosassone, il Financial Times, aveva posto la stessa domanda: “Dove sono andate a finire tutte le ragazze?”. L’Economist forniva una risposta agghiacciante: in Cina e nell’India del nord, per ogni 120 maschi nascono 100 femmine. La media mondiale naturale è di 103-106 maschi ogni 100 femmine. In molti stati, siamo a 130 maschi contro 100 femmine.
La soluzione è presto detta: traffico di spose, violenza sessuale, suicidi femminili fanno da contorno a quest’agonia demografica. “Non è una esagerazione chiamarlo genocidio di genere”, scriveva l’Economist. “Le donne mancano a milioni – abortite, uccise e lasciate morire”.
Nel 1990 fu il guru liberal Amartya Sen, premio Nobel per l’Economia, a lanciare l’allarme sulla New York Review of Books: “Almeno sessanta milioni di bambine sono state cancellate in seguito a infanticidi o aborti selettivi di feti femmine”. Quindici anni dopo Sen ha aggiunto: “E’ l’ultima delle discriminazioni, l’aborto selettivo. Una discriminazione ‘high tech’”.
In Cina negli anni Ottanta il rapporto maschi/femmine era 108 a 100. Negli ultimi anni è salito a 124 a 100. In Cina fino alla ventesima settimana si abortisce in modo assolutamente legale e discrezionale, poi anche con la coercizione.
“In Cina e in India le aree con le peggiori statistiche demografiche sono quelle più ricche e istruite”. L’Economist individua tre fattori: “L’antica preferenza per i maschi, un desiderio moderno per famiglie piccole e la tecnologia agli ultrasuoni che identificano il sesso del feto”. Oggi, nei fatti, un cinese su cinque non può trovare moglie nel suo paese.
LA SITUAZIONE DELL'INDIA
Prima degli anni Ottanta, alle bambine indiane veniva riempita la bocca di troppo riso, per soffocarle, oppure finivano ammazzate con grandi dosi di oppio. O anche, semplicemente, gettate via, o lasciate morire di fame. Poi è arrivata l’ecografia. Oggi è possibile fare diagnosi ecografiche persino nei villaggi ancora privi di acqua potabile o di aspirine. “Nella regione del Punjab, Monica Das Gupta della Banca mondiale ha scoperto che le seconde e terze figlie femmine di madri ricche e istruite morivano in misura maggiore entro il quinto giorno dei loro fratelli”, racconta l’Economist.
Lo scenario è apocalittico. “Così come nel corso della storia gli eufemismi sono stati usati per mascherare l’assassinio di massa, termini come ‘feticidio femminile’, ‘preferenza maschile’ e ‘selezione sessuale’ sono oggi coperture per omicidi su larga scala”, dice il dottor Puneet Bedi, consulente del governo indiano. Le chiamano “kudi-maar”, omicidii di bambine.
L’India è così diventata la nazione al mondo con la percentuale più bassa di donne. Nel 2010, in Asia, una bambina in pancia ha il cinquanta per cento di possibilità di sopravvivere a una ecografia (Il Foglio, 2010).
Un rapporto dell’ONU, intitolato Sex Ratios and Gender Biased Sex Selection, denuncia il fenomeno degli aborti femminili in India. L’analisi, che si fonda sui dati forniti dall’ultimo censimento generale del 2011, mette in evidenza il forte squilibrio numerico tra maschi e femmine nel Paese. Si stima che ogni 1.000 maschi, nel 1961 si contavano 941 femmine, mentre nel 2011 solo 933. Tra i 0 e i 6 anni invece, nel 1961 c’erano 976 bambine ogni 1.000 maschi. Nel 2011 solo 927.
Uno studio effettuato nel maggio 2011 dalla rivista medica britannica Lancet ha rilevato che sono avvenuti fino a 12 milioni di aborti di sesso femminile negli ultimi trent'anni in India, di cui la metà solo nell'ultimo decennio. “La parità di genere è una delle sfide più pressanti per lo sviluppo del Paese”, afferma Lise Grande, coordinatrice per delle Nazioni Unite in India.
“È tragicamente ironico che le donne, esseri in grado di creare la vita, vengano private del diritto di nascere. La forte differenza tra maschi e femmine in India ha ormai raggiunto livelli d’emergenza. È quindi necessario provvedere a delle misure di emergenza per alleviare questa crisi”, dice Lakshmi Puri, vicedirettore esecutivo di UN Women.
Seema Sirohi, giornalista indiana, in un articolo per The Christian Science Monitor, ha scritto: “Chi sostiene che le donne indiane siano libere di scegliere di abortire se sono in attesa di una femmina, sbaglia. Una tipica donna indiana ha poca o nessuna libertà di scelta. Per essere veramente accettata deve dare alla luce un figlio maschio. Pensare che una donna abbia il possesso del proprio corpo è un concetto estraneo in India”.
Nonostante il governo indiano abbia emanato leggi che proibiscano ai medici di dichiarare alla future madri il sesso del nascituro in modo da limitare l'infanticidio femminile, la pratica dell'aborto illegale è tutt'ora molto praticata (The Post Internazionale, 15 ottobre 2014).
LE CONTROMISURE DEL PREMIER MODI
Come sottolinea ad AsiaNews mons. Jacob Mar Barnabas, presidente dell'Ufficio per le donne della Conferenza episcopale dell'India (Cbci), "da sempre la Chiesa cattolica è in prima linea nella lotta contro questi fenomeni". Tuttavia, aggiunge, "anche le autorità indiane sembrano essersi accorte del problema e vogliono fare la loro parte".
Lo scorso 23 gennaio, il Primo ministro Narendra Modi ha lanciato due "programmi gemelli": Beti bachao, beti padhao ("Salva la bambina, educa la bambina") e Sukanya Samriddhi account ("Schema per la prosperità della bambina"). Il primo ha l'obiettivo di sensibilizzare la popolazione sul valore delle piccole e di migliorare i servizi di welfare dedicati alle donne. Il secondo è un sistema di conti bancari a tassi agevolati che un genitore o un tutore legale può aprire e intestare a nome di una bambina prima del compimento dei 10 anni di età.
In linea generale, spiega monsignor Barnabas, la mossa di Modi "è positiva. Se alle sue spalle c'è una ragione politica o di altra natura non possiamo saperlo, ma se rappresenterà qualcosa che favorirà l'emancipazione e la valorizzazione delle donne, allora sarà senz'altro qualcosa di positivo".
Secondo il presule infatti, il problema di fondo è che "la società indiana è maschilista. Tutti considerano l'uomo una fonte di guadagno e l'arrivo di un figlio maschio un segno positivo, di vitalità ed energia. I test per la determinazione del sesso permettono a questi fenomeni di dilagare, ma nel nostro contesto anche altri fattori hanno il loro peso. Penso alla povertà dilagante, così come il sistema della dote: una realtà di cui nessuno parla, che non viene accettata apertamente, ma che invece è molto diffusa".
Dice ancora monsignor Barnabas, "il problema si è acutizzato. Per combatterlo, c'è bisogno di tre cose: educare, forgiare le coscienze e avere un approccio a tutto tondo. L'India è un Paese benedetto da un contesto multi-religioso, multi-linguistico e multi-culturale. Ma questa varietà, insieme al difficile contesto economico, rende difficile trovare una soluzione univoca". Da parte sua, "la Conferenza episcopale cerca da sempre di affrontare il problema da più angolazioni. Noi cerchiamo di aiutare tutte le donne indiane, non solo quelle cattoliche, ad avere coscienza di sé e a emanciparsi, affinché la società comprenda il vero valore di una bambina. È un cammino lungo, ma stiamo migliorando" (Asia News, 29 gennaio).
…E DEL GOVERNO CINESE
Lo stesso giorno in cui Modi dava il via alla campagna, in Cina il Governo ha deciso per una stretta contro le agenzie che inviano campioni di sangue delle future mamme all'estero per determinare il sesso del nascituro. Secondo l'agenzia Xinhua le maggiori restrizioni saranno sul web.
In Cina le analisi per determinare il sesso del nascituro sono vietate, ma le famiglie aggirano il divieto attraverso agenzie che offrono il servizio all'estero pubblicizzate soprattutto sul web. Fra le misure decise dalla Commissione c'è il divieto per i motori di ricerca di dare nei risultati link a siti che contengono pubblicità delle agenzie, oltre che pene più severe per quelle illegali e il divieto per i medici di trasportare o spedire campioni di sangue all'estero. Fare gli “spalloni” per contrabbandare campioni di sangue per le analisi da far fare ad Hong Kong, è diventato un affare: 500 euro a campione. Lo scorso luglio, la dogana al confine tra Shenzhen e Hong Kong ha sequestrato 215 provette, mentre a ottobre una donna di Hong Kong è stata fermata con altre 16 provette (Avvenire, 22 gennaio).
La Cina solo di recente ha attenutato la politica del figlio unico, che è una delle principali cause dell'aborto selettivo.
La politica demografica del figlio unico esisteva dal 1979 – quando il leader supremo cinese era Deng Xiaoping – ed era stata impostata per controllare l’aumento della popolazione: permetteva a gran parte delle coppie dei centri urbani di avere un solo figlio e alle coppie delle campagne di avere due figli, se il primo figlio era femmina. Questa politica demografica, in base alla quale circa un terzo dell’attuale popolazione cinese (1,3 miliardi di persone) non poteva avere un secondo figlio senza incorrere in una multa, ha provocato un progressivo invecchiamento della popolazione, con importanti conseguenze sia per quanto riguarda le dimensioni della forza lavoro che per quanto riguarda le spese sanitarie. Sempre secondo l’agenzia di stampa ufficiale Xinhua, considerando l’attuale tasso di natalità (una media di 1,5-1,6 figli per donna), dal 2030 più di un quarto della popolazione cinese avrà più di 60 anni (Il Post, 28 dicembre 2013).
E IN EUROPA?
In Gran Bretagna questa cultura del figlio maschio è arrivata tramite l'immigrazione: «La pratica degli aborti in base al sesso è ormai normale», si legge sul quotidiano inglese Independent «Tanto da aver toccato la naturale proporzione di 50 a 50 delle femmine e dei maschi nati all’interno della popolazione immigrata, con la scomparsa di un numero fra i 1.400 e le 4.700 bambine». Secondo il giornale siamo di fronte ad una «discriminazione sessuale». I numeri fanno pensare ad interventi mirati dei medici inglesi su richiesta delle gestanti, pratica che – in teoria – sarebbe proibita e che il Governo conservatore di Cameron aveva deciso di trattare come casi di «cattiva condotta professionale». Nessuno – riporta il settimanale Tempi – del resto ha accusato il governo di ignorare un femminicidio di tali proporzioni. Anzi, Ann Furedi, direttrice della British Pregnancy Advisory (Bpas), la più grande clinica abortiva della Gran Bretagna, aveva commentato a settembre: «Se le donne non sono felici del sesso dei figli possono abortire (…). O accettiamo fino in fondo ogni scelta della madre, oppure no (…), non si può essere pro choice, salvo quando la scelta non ci piace». Come darle torto purtroppo? (Tempi, 10 aprile 2014).
In base ai dati dell’Istituto nazionale francese per studi demografici (Ined), è in crescita la discriminazione sessuale pre-natale tra le persone di origine indiana immigrate in Inghilterra e in Norvegia. In Italia succederebe lo stesso nella comunità cinese e tra gli immigrati albanesi, almeno secondo questo studio. Geraldine Duthé, che ha condotto lo studio, spiega che la mascolinizzazione selettiva persiste anche nelle comunità di immigrati provenienti dai paesi dove è praticata, nonostante questi siano integrati in un ambiente sociale in cui il concetto della discriminazione pre-natale è praticamente inesistente (La Stampa, 17 dicembre 2013).