Non sono forse più brutalmente sottomesse le donne che si prostituiscono per campare o per finire in un programma TV?Continua a fare gran discutere l’idea che vi possa essere qualcosa di giusto in una forma di “sottomissione” femminile in ambito familiare: ne aveva scritto Costanza Miriano e ne ha parlato Mario Adinolfi ed entrambi, prima una dopo l’altro, sono finiti nel mirino di quanti praticano la tolleranza, sì, ma solo verso le proprie idee.
Mi guardo dunque bene dall’infilarmi nella polemica limitandomi ad avanzare – se è ancora lecito averne – alcuni dubbi: non sono forse brutalmente sottomesse le donne che arrivano a prostituirsi per campare o per finire in un programma televisivo? E sono forse più libere quelle che evitano la maternità, o la rinviano, per evitare il licenziamento? E le schiave spinte dalla povertà ad affittare il proprio utero? E quelle che abortiscono perché costrette dai loro partner (non riesco a scrivere uomini) o perché lasciate sole davanti ad una sfida enorme? E le donne ipnotizzate da una cultura che le ha convinte che, per sbarazzarsi degli stereotipi femminili, debbono prendersi quelli maschili – carriera, successo, danaro – se la passano meglio?
Non lo so, avanzo umilmente questi dubbi nella consapevolezza che, se solo la metà fossero fondati, altro che criticare Miriano ed Adinolfi: dovremmo ringraziarli, loro che sottolineano il dovere, non solo femminile ovviamente, di sacrificare parte della libertà per tenere in piedi la famiglia quando altri sacrificano tutta la verità solo per tenere in piedi le loro menzogne.