E’ vero che il Corano non proibisce la rappresentazione umana in generale?“Tutto è perdonato”, e il profeta Maometto in lacrime tiene anche lui in mano un cartello con la scritta “Je suis Charlie”. La prima pagina dell'ultimo numero di Charlie Hebdo è un nuovo disegno del Profeta. Ripropone la questione della rappresentazione della principale figura dell'islam, e della figura umana in generale, nella tradizione islamica.
Ciò che dicono i testi
Il Corano non proibisce la rappresentazione del Profeta, né la rappresentazione umana in generale. Scritto in una società in cui l'immagine è generalmente assente (la penisola arabica nel VII secolo), il testo la cita una sola volta: “Il vino, il gioco d'azzardo, gli idoli sono abomini inventati da Satana. Astenetevene”. La parola “idoli”, letteralmente “pietre in piedi” (“Ansàb”), designa le statue dei pagani. Neppure la sunna, l'insieme delle parole e delle azioni di Maometto, un ampio corpo distinto dal Corano selezionato e messo per iscritto tra l'VIII e il IX secolo, proibisce di rappresentare il Profeta. Ma definisce un atteggiamento di diffidenza nei confronti della rappresentazione degli umani e degli animali. Quelle immagini sono sospette, associate agli idoli. Così, nella raccolta di hadith (i “detti”) di Mohammed Al-Bukhari (810-970) sono possibili tre atteggiamenti rispetto ad esse: tollerarle, ma astenersi dal produrle, condannarle o distruggerle. Questo articolo elenca dettagliandoli gli episodi della vita del Profeta tratti dagli hadith sui quali si basa la tradizione per bandire quelle immagini dai luoghi di culto. Quello che si rimprovera al creatore di immagini, è scimmiottare il lavoro di Dio: pretende di insufflare un'anima alla materia modellata. Forma una creazione parallela a quella di Dio. “Questo fa sì che nel XIX secolo, a parte qualche eccezione wahabita [dottrina rigorista nata nel XVIII secolo, ufficiale nel regno dell'Arabia Saudita], tutti i teologi accettino la fotografia e il cinema. Che non fanno che riprodurre ciò che Dio ha creato”, precisa Silvia Naef, professoressa al dipartimento di studi arabi all'università di Ginevra.
Una tradizione di rappresentazioni fuori dalle moschee
Il rito esclude quindi le immagini, come nell'ebraismo o nel calvinismo: non se ne trovano nelle moschee. Ma questo non impedisce alle persone di averne nelle proprie case o di mostrarle nelle vie, nello spazio profano. I muri dei palazzi dei califfi omeyyadi di Damasco (661-750), le residenze aristocratiche e i bagni si ornano di scene di caccia, di figure umane e animali. Si trovano poi molte rappresentazioni umane, come figure sacre e perfino del Profeta nell'India del periodo moghol, nell'impero ottomano e in Persia, dal XIII al XVIII secolo. Compaiono in cronache, in opere letterarie, nella poesia, nelle opere mistiche…
Secondo la storica dell'arte Christiane Gruber, il Profeta appare nella miniatura persiana in un certo numero di configurazioni stereotipate. Una rappresentazione classica lo mostra su un trono, circondato dagli angeli e dai suoi compagni. Può anche essere rappresentato accanto a profeti che hanno preceduto l'avvento dell'islam. Questa immagine, tratta da un'opera persiana del XIV secolo che spiega la vita dei profeti (“qisas al-anbiya”), mostra anche una visione del profeta Isaia: Gesù (che l'islam considera un profeta) e Maometto che cavalcano fianco a fianco. Maometto ha potuto ancora essere rappresentato in testi che narrano l'assunzione del Profeta (mi'râj) dalla Mecca a Gerusalemme e attraverso le sfere celesti: lo si vede seduto sulla cupola della Roccia a Gerusalemme, con sotto i profeti riuniti. A partire dal XVI secolo, comincia ad essere rappresentato senza volto, coperto da un velo bianco. Può anche essere circondato da un'aureola o da fiamme, simboli che sottolineano la sacralità della sua figura. Christiane Gruber interpreta queste immagini come il riflesso di una tendenza mistica che percorre allora l'islam, che associava Maometto alla “luce profetica”, piuttosto che come una proibizione implicita dei teologi. Si ritrova oggi questo modo di rappresentazione, tra altri esempi, nei libri di educazione religiosa illustrati per i bambini in Iran.
Immagini pie, popolari, rappresentano il Profeta in Iran
A partire dal XIX secolo, le immagini proliferano nell'insieme del mondo musulmano. In Iran, tra gli sciiti (uno dei due principali rami dell'islam con il sunnismo, minoritario nel mondo, maggioritario in Iran), si diffondono delle immagini pie. Rappresentano talvolta Maometto o i dodici imam: Alì, il genero del Profeta, e i suoi eredi. Degli striscioni che li rappresentano sono branditi nelle vie di Bagdad o di Teheran nel giorno dell'Achoura, la commemorazione del martirio dell'imam Hussein. Talvolta delle effigi rappresentanti Hussein sono trasportate in processione.
Questa immagine sorprendente, venduta oggi un po' ovunque in Iran, mostra ad esempio un episodio dell'adolescenza del Profeta, prima che cominci a divulgare il suo messaggio. In un viaggio verso la Siria attuale, un monaco cristiano, Bahira, riconosce sulla spalla del giovane il segno della profezia. Il governo iraniano ha recentemente tentato di limitarne la diffusione. “Il clero sciita tollera questi oggetti di raccoglimento, di devozione popolare. Proibisce tuttavia di pregare di fronte ad essi per le cinque preghiere quotidiane o quella del venerdì”, precisa Sabrina Mervin, specialista dello sciismo contemporaneo alla École des hautes études en sciences sociales. Ad esempio, sul sito internet del grande ayatollah Ali Al-Sistani, la massima autorità dello sciismo in Iraq, compare una fatwa (decreto religioso) che indica che il Profeta può essere rappresentato, ma non in maniera insultante.
Il mondo sunnita, invece, si mostra globalmente ostile alla rappresentazione figurata del suo profeta. Il primo tentativo di rappresentarlo al cinema, negli anni 20 del secolo scorso in Egitto, si è scontrato con la condanna da parte della moschea Al-Azar. “Questo derivava dalla tradizione di non-rappresentazione del profeta e dalla domanda: chi potrebbe interpretare il suo ruolo?”, dice Silvia Naef. Il re Fuad I aveva minacciato di togliere la sua nazionalità all'attore che avrebbe incarnato Maometto. Oggi sono prodotti in Egitto dei cartoni animati che raccontano ai bambini le origini dell'islam, ma non rappresentano il Profeta e i suoi compagni: usano un narratore o figure simboliche.
[Tratto da Lemonde.fr del 16 gennaio 2015]