Che senso ha allora la vita di quelle anime?Giornalmente mi confronto con atei e agnostici e riesco a tenere botta a tante loro obiezioni, ma ce n’è una che mi lascia in difficoltà… peraltro storica… come si concilia la prescienza divina con l’esistenza dell’inferno? Se Dio, rispettandone il libero arbitrio, sa comunque che un’anima è condannata, dov’è il suo amore? Che senso ha allora la vita di quell’anima? È tutto, infine, dunque già scritto?
Francesco Scocozza
Risponde don Angelo Pellegrini, docente di Teologia sistematica alla Facoltà dell'Italia Centrale.
Come il lettore scrive, l’obiezione qui presentata è veramente storica e se ne trovano tracce già ben definite ad esempio nel pensiero di Severino Boezio (475-525) in merito al rapporto fra tempo ed eterno; eppure riflettere su tale questione risulta comunque importante per le motivazioni di fede. Mi permetto di essere un po’ schematico per non perdere alcune sollecitazioni presenti nella lettera.
Il primo punto riguarda il dialogo con il non credente: vorrei sottolineare in breve che il principale scopo di detto dialogo, nel pieno rispetto reciproco, non dovrebbe essere caratterizzato dal tenere botta, ma piuttosto dalla ricerca della verità, la quale scaturisce dal confronto e dalla collaborazione, altrimenti non si tratta di un dialogo, ma di un contraddittorio.
Il secondo punto è inerente la prescienza divina, il suo conoscere tutto anche prima che si svolga nel tempo: i documenti del Concilio Vaticano II, da questo punto di vista confortati da una tradizione molto solida, insegnano che la considerazione della prescienza divina va collegata con la sua volontà. La Costituzione Dogmatica Dei Verbum sulla Divina Rivelazione al n. 2 afferma: «Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura (cfr. Ef 2,18; 2 Pt 1,4)». La volontà di Dio, svelata mediante la rivelazione, consiste nel creare e redimere gli esseri umani per elevarli alla comunione con sé. Tutto il mistero del rapporto con l’umanità, dalla creazione in poi, è segnato dalla bontà divina che vuole una prossimità con l’essere umano tale da donare il Figlio, che nella sua carne realizza questa comunione.
Se questa è la volontà divina, bisogna asserire che non fa parte del progetto divino la perdizione umana: una delle principali obiezioni riportate anche dal lettore, infatti, riguarda una sorta di preordinazione all’inferno, come se Dio avesse creato qualcuno esclusivamente per riempire una sorta di luogo che altrimenti sarebbe rimasto vuoto. In realtà Dio vuole per tutti la salvezza. La sua conoscenza eterna, quindi, dovrebbe essere considerata spettatrice delle libere scelte dell’umanità e dei singoli esseri umani. La salvezza è offerta da Dio, non imposta. Sarebbe opportuno ricordare in merito la lezione del libro del Deuteronomio (30,15ss), di cui riporto soltanto un piccolo stralcio: «Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male; poiché io oggi ti comando di amare il Signore tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva e ti moltiplichi e il Signore tuo Dio ti benedica nel paese che tu stai per entrare a prendere in possesso. Ma se il tuo cuore si volge indietro e se tu non ascolti e ti lasci trascinare a prostrarti davanti ad altri dèi e a servirli, io vi dichiaro oggi che certo perirete (vv. 15-18)».
Dal testo appena citato si evince l’enorme valore attribuito da Dio alla libertà umana, in quanto il popolo di Israele è qui posto di fronte ad una scelta. Di solito si tende ad interpretare «la morte e il male», di cui si parla nel testo, alla stregua di una punizione, in realtà si tratta piuttosto di un avvertimento: Dio invita a scegliere la vita e la benedizione e quindi a restare fedeli alla sua alleanza, perché fuori di lui non c’è né senso, né vita. Ma la morte in questo caso non è punizione, ma il triste risultato di non aver scelto la vita, in pratica un suicidio.
Il brano citato dice molte cose sullo stile di Dio nel suo agire temporale: egli mostra un atteggiamento, che potremmo definire «pungolo continuo», affinché gli esseri umani facciano scelte salvifiche. Lo fa mediante condottieri, alleanze, profezie, ma soprattutto lo realizza con la missione di Gesù Cristo e con il dono dello Spirito Santo. Eppure il suo rispetto per la libertà di scelta è enorme, lo stesso Gesù non impone e non si impone mai, come si evince dalla risposta al giovane in cerca della perfezione: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi… e vieni! Seguimi!» (Mt 19,21). Lo stesso Spirito è un «vento che soffia dove vuole», si può coglierne la voce e condividerne la caratteristica dell’estrema libertà: «così è chiunque è nato dallo Spirito» (Gv 3,8).
Il fatto che Dio intervenga storicamente nel tempo dovrebbe insegnare che egli non è uno spettatore asettico, eterno e perciò lontano, rispetto a quanto accade nel creato; piuttosto lo notiamo coinvolgersi personalmente nel mondo, fino al dono del Figlio e dello Spirito, perché vuole profondamente la salvezza e il bene dell’intero creato. Egli con lo stile della proposta non si stanca di esortare a scelte di vita, non si rassegna ai no, ma non forza mai la libertà umana.
Qualche tempo fa un teologo importante, Hans Urs von Balthasar, aveva ipotizzato che l’inferno potrebbe essere «vuoto», in realtà questa ipotesi pur mettendo in luce l’enorme amore e misericordia divini non mostra appieno la caratteristica di Dio di rispettare le scelte, anche suicide, delle sue creature.
Dunque, il senso della vita umana da questo punto di vista è importantissimo, perché è il momento della scelta radicale per Cristo, per Dio, per la salvezza e noi non dobbiamo considerare Dio dal punto di vista di colui che ha già sbirciato la fine del romanzo, rendendo quasi vana la lettura, piuttosto lo dobbiamo sentire intento a «fare il tifo», ad incitare, a sollecitare la sua Creatura affinché non si chiuda al suo dono. La storia della salvezza sembra insegnarci che Dio, pur potendo essere a conoscenza di un esito negativo, non si rassegna e continua imperterrito a reiterare la sua proposta e il suo dono.