Risponde il neurochirurgo e bioeticista Massimo Gandolfini
Eutanasia. Stato vegetativo. Accenimento terapeutico. Terapia. Cura.
Sono parole ormai tristemente di uso comune. Le leggiamo sui giornali, le sentiamo alla tv, le utilizziamo nelle discussioni che riguardano la malattia o la disabilità.
Se ci chiedessero di creare un piccolo vocabolario dove definire tali parole, sapremmo cosa scrivere?
Oppure siamo portatori di definizioni "ideologiche", da una parte o dall'altra, ossia di posizioni "a favore" o "contro" qualcosa di cui però sappiamo ben poco?
Consapevoli della mancanza di conoscenza di questi temi, a fronte invece di moltissime informazioni e titoli di giornali, abbiamo chiesto al prof. Massimo Gandolfini, neurochirurgo e bioeticista, di aiutarci a comprendere i termini che usiamo o sentiamo così spesso.
Parte oggi un breve "vocabolario della bioetica del fine vita" dove potrete trovare le spiegazioni di: terapia e cura, accanimento terapeutico, stato vegetativo, eutanasia.
Qual è la differenza tra terapia e cura?
Gandolfini: Si impone una precisazione di cui tanto si discute, ma che per quanto mi riguarda è molto chiara, definibile e definita: la distinzione fra terapia e cura.
Sulla base del linguaggio corrente della gente comune si tratta di sinonimi: terapia = cura. Ma in termini di appropriatezza scientifica del linguaggio, i due termini si riferiscono a condizioni esistenziali molto diverse fra loro.
La terapia è relazionata alla malattia.
Terapia: insieme di trattamenti, rimedi e presidi necessari per prevenire o affrontare una malattia. In termini semplificativi, per esserci “terapia” ci deve essere una malattia. La terapia è relazionata alla malattia; se non c’è malattia, possibile o in atto, non c’è terapia.
La cura è relazionata alla persona
Cura: pratiche di accudimento del proprio corpo o del corpo altrui, nel contesto di un interessamento sollecito e costante per una data persona. La cura è fatta di igiene quotidiana del corpo, alimentazione ed idratazione, pulizia del cavo orale, aspirazione delle secrezioni, mobilizzazione. A ben vedere sono tutte le azioni che, quotidianamente, mettiamo in atto su noi stessi, per aver “cura” della nostra persona.
La cura è relazionata alla persona: ovunque è presente una persona si impone la cura del corpo che, quando il soggetto si trova in condizioni che rendono impossibile provvedervi autonomamente, deve essere in carico a terza persona (caregiver: colui che si prende cura).
Chiariti questi concetti, appare immediatamente evidente che solo la terapia possa essere sospesa, quando si configuri un quadro di accanimento terapeutico. Per contro, la cura non può mai essere sospesa, riguardando l’accudimento del corpo della persona, non in grado di sopperirvi autonomamente.
Il Comitato Nazionale per la Bioetica, nel 2005, in un documento dedicato a questi temi, dichiarò che: “Alimentazione ed idratazione artificiale, in quanto mezzi ordinari di sostegno vitale, non possono essere considerati terapia in senso stretto, e fanno parte delle cure assistenziali dovute ad ogni malato, soprattutto se inabile”. “Idratazione ed alimentazione in pazienti in stato vegetativo vanno ordinariamente considerate alla stregua di un sostentamento vitale di base e, come tali, non possono essere interrotte” (Dichiarazione sulle Persone in Stato Vegetativo, 30 settembre 2005).
Dello stesso tono è la Convenzione ONU sui “Diritti delle Persone con Disabilità” (2009): si ha il dovere di “prevenire il rifiuto discriminatorio di assistenza medica o di prestazione di cura e servizi sanitari o di cibo e liquidi in ragione della disabilità” (art. 25, comma F).