Mi piace scrutare quella donna fuori dalla Scrittura, senza tutti i riflettori puntati
Ogni volta che la guardo, m’incanta. Dorme pochissimo, lavora all’inverosimile, attende tantissimo. Dall’aurora al tramonto inanella una serie impressionante di azioni, degna delle migliori prestazioni atletiche: pulisce, lava, cucina, prepara, stira, sbraita, s’arrabbia, s’addolcisce, telefona, guida, innaffia, accarezza, consiglia, investe, gioca, sorride, stende il bucato, organizza, pianifica, s’ingegna. Alla mattina la trovo alzata, alla sera mi spegne la luce con un bacio. Quando parto la vedo dietro di me, quando torno a casa la trovo ad attendermi. Non l’ho mai vista con il mascara tra le mani, ma con gli arnesi di cucina è abituata. Da piccolo mi chiamava tesoro, da bambino mi chiamava tesoro, da prete mi chiama tesoro. E mi chiedo perché tutti cambiano, invece lei rimane sempre la stessa: bella, indescrivibile, esigente e testarda come il suo bambino.
Mi fa innamorare e imbestialire, ridere e piangere, gioire e innervosire. Mi fa paura solo in un’occasione: quando tace! Mi piace la mia mamma: in lei, piegata vicino alla lavatrice, ho sempre sospettato ci fosse un po’ di quell’altra Mamma.
Nell’intreccio dei vicoli, profumati di minestre quotidiane e disturbati dalle urla dei fruttivendoli. Tra le fanciulle che, rimbalzando le loro melodie di balcone in balcone, parlavano d’amore. Nel cortile dove gli anziani prolungavano nell’ultimo sbadiglio i racconti della sera prima che risonasse il tintinnio dei chiavistelli. Maria è stata scoperta lì. Non sotto i flash dei gossip ma in un villaggio di pecorai sconosciuto dall’Antico Testamento e disprezzato dalle borgate vicine. «L’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria» (liturgia della IV^ domenica d’Avvento).
Mi piace scrutare quella donna fuori dalla Scrittura, senza tutti i riflettori puntati, senza quell’aureola di santità tutta meritata. Mi piace inseguire Maria dentro la casa di Nazareth dove, tra pentole e telai, tra lacrime e preghiere, tra gomitoli di lana e rotoli di Scrittura, con arpa e cetra per svegliare l’aurora ha sperimentato gioie senza malizie, amarezze senza disperazioni, partenze senza ritorni. Se potessi mi siederei accanto a lei non m’alzerei più. Vorrei sapere tutto da lei. Vorrei che mi dicesse in quali campagne si recava nei meriggi di primavera per udire il silenzio dell’Eterno. In quali fenditure della roccia si nascondeva adolescente… Su quali terrazze della Galilea abbeverava le sue veglie di salmodie mentre il gracidare delle rane la disturbava appena appena. Maria! Che discorsi facevi seduta sul ciglio della fontana? Cosa raccontavi a Giuseppe quando al crepuscolo, prendendoti per mano, ti conduceva sulla spiaggia di Tiberiade a farti accarezzare dal sole. Oltre allo Shemah Israel e alla monotonia delle piogge nelle grondaie, di quali altre voci, magari rauche, risonava la bottega del tuo falegname preferito?
Maria, il tuo viso fa impazzire, la tua dolcezza fa naufragare, la tua semplicità è disarmante perché sei acqua e sapone, senza trucchi spirituali. Perché, pur benedetta tra tutte le donne, saresti passata inosservata in mezzo a loro se non fosse per quel vestito che Dio ha voluto confezionarti su misura. Le “boutiques” di Nazaret non erano alla tua portata, gli “ateliers” d’alta moda di Gerusalemme non facevano per te. Lei, semplicissima ragazza, cresceva come un’anfora sotto le mani del vasaio e tutti s’interrogavano sul mistero di quella trasparenza e di quella freschezza senza ombre. Persino l’angelo s’è sprecato regalandoti un saluto tutt’oggi senza ombra di concorrenza: «Ti saluto, piena di grazia, il Signore è con te (…) Concepirai un Figlio». E tu subito al contrattacco. Hai intascato il saluto, ma, puntandolo in faccia, hai messo le cose in chiaro: «Non conosco uomo». Lucente, perché al tuo Dio hai rinfacciato di non essere una tra tante, hai difeso la tua fatica d’essere ragazza vergine, profumata di bellezza e ricamata di un’eleganza trasparente. Hai ragione Maria: bisogna sudare per salvare la propria purezza. Ma dimmi la verità: quanta gioia era nascosta dietro quel «non conosco uomo»? Che incantesimo pensare di non esserti svenduta per un sogno da sabato sera, che emozione mettere nelle mani del tuo Dio il profumo della tua verginità strappata ad occhi ingordi e mani rapaci.
E quell’angelo lo sa: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio». Per questo dovresti raccontarmi di quell’uomo cresciuto modellando e interpretando il legno, annusando le sue vernici e i suoi colori, barattando una panca appena piallata con una bisaccia di grano. Giuseppe, l’uomo dei tuoi sogni. Era contento di starle vicino. Ne spiava i bisogni, ne capiva le ansie, ne interpretava le improvvise stanchezze. Ne assecondava i preparativi per un Natale che ormai non doveva tardare a venire. Da te, nelle lunghe sere dipinte nel retrobottega, ha intuito che fermarsi sotto la tenda, per ripensare la rotta, vale molto di più che coprire logoranti percorsi senza traguardo. Io non so se ai tuoi tempi s’adoperassero gli stessi messaggi d’amore, teneri come preghiere e rapidi come graffiti, che le ragazze incidono sui libri di storia, sugli zaini di scuola, sui jeans strappati. Ma penso che anche te, magari con uno “scriba di stilo veloce”, magari su una corteccia di sicomoro, avrai inciso amore per quell’impareggiabile falegname: “Giuseppe, ti voglio bene!”.
Potessi ritoccare con la mia fantasia la sacralità dei vangeli, intitolerei il primo capitolo del libro di Luca“l’annuncio dell’angelo al Signore”, più che “l’annuncio dell’angelo a Maria”. Mi piace pensare che l’angelo ha fatto ritorno in cielo recando al Signore un annuncio non meno gioioso di quello che aveva portato sulla terra nel viaggio d’andata. Ha portato nell’agenzia dell’Eterno un contratto principesco: «Eccomi, sono la serva del Signore». “Eccomi”: per essere insostituibili nella vita!
Gesù è rimasto in quella periferia per trent’anni. L’evangelista Luca riassume questo periodo così: Gesù «era loro sottomesso [cioè a Maria e Giuseppe]. E uno potrebbe dire: “Ma questo Dio che viene a salvarci, ha perso trent’anni lì, in quella periferia malfamata?” Ha perso trent’anni! Lui ha voluto questo. Il cammino di Gesù era in quella famiglia. «La madre custodiva nel suo cuore tutte queste cose, e Gesù cresceva in sapienza, in età e in grazia davanti a Dio e davanti agli uomini» (2,51-52). Non si parla di miracoli o guarigioni, di predicazioni – non ne ha fatta nessuna in quel tempo – di folle che accorrono; a Nazaret tutto sembra accadere “normalmente”, secondo le consuetudini di una pia e operosa famiglia israelita: si lavorava, la mamma cucinava, faceva tutte le cose della casa, stirava le camice: tutte le cose da mamma. Il papà, falegname, lavorava, insegnava al figlio a lavorare. Trent’anni. “Ma che spreco, Padre!”. Le vie di Dio sono misteriose. Ma ciò che era importante lì era la famiglia! E questo non era uno spreco! Erano grandi santi: Maria, la donna più santa, immacolata, e Giuseppe, l’uomo più giusto. La famiglia.
(Francesco, Udienza generale, 17 dicembre 2014)
L’altro giorno, davanti alla lavatrice, sono andato in tilt guardando mia madre. Papa Francesco ha detto di te che stiravi le camicie di Giuseppe e Gesù. Come la mia mamma: le camicie mie, di mio papà e di mio fratello. Allora ne ho approfittato e t’ho immaginato così. Però, Maria, ti chiedo scusa se per un attimo ho osato toglierti l’aureola, ma è perché volevo vedere quanto sei bella a capo scoperto, perché mi sembra di misurare meglio la grandezza di Dio che dietro ad un volto di fanciulla ha nascosto la sorgente della bellezza. Lo so che tu navighi in alto mare, io veleggio sotto costa ma sentirti vicina alle mie spiagge mi fa sentire il sapore della mia normalità. Vedi, laggiù è spuntata una stella. Io me ne vado. Tu siediti qui alla fermata dell’autobus e conquistali tutti con la tua bellezza.