De Leonardis: anche fallimenti temporanei si sono rivelate strategie correttePapa Francesco e Città del Vaticano hanno avuto un ruolo centrale nella storica riapertura dei rapporti diplomatici tra Cuba e gli Stati Uniti. L’accordo tra i due paesi storicamente nemici, sfociato mercoledì nella liberazione del contractor statunitense Alan Gross, è frutto di trattative segrete durate 18 mesi, ospitate in gran parte dal Canada e incoraggiate dal Pontefice, che a sua volta ha ospitato un incontro conclusivo in Vaticano in ottobre, ricevendo le due delegazioni (Corriere della Sera, 17 dicembre).
PIO X E LA CRISI ANDINA
Uno dei casi emblematici, anche se lontano nel tempo, è quello di un papa che non metteva la diplomazia al centro della sua attività apostolica. «Stiamo parlando di Papa Pio X, che agli inizi del '900 si è distinto per essersi impegnato a scongiurare la crisi politica e militare tra Bolivia e Perù», evidenzia Massimo De Leonardis, docente di "Storia delle relazioni e delle istituzioni internazionali" e "Storia dei trattati e politica internazionale" presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore.
LA SECONDA CROCE ROSSA
Nel corso prima Guerra Mondiale, definita «inutile strage»» dall'allora pontefice Benedetto XV, il Vaticano fu definito la "seconda croce rossa", «poiché svolse un'attività cospicua a favore della liberazione dei prigionieri, oltre che un'intensa iniziativa umanitaria». E lo stesso si è ripetuto anche con la seconda Guerra Mondiale. La diplomazia non è riuscita a frenare le potenze militari in campo ma ad attenuare per quanto possibile gli effetti disastrosi sulla popolazione.
LA CRISI DEI MISSILI
Passando agli Anni '60 nella cosiddetta "crisi dei missili" tra Cuba, Stati Uniti e Unione Sovietica, fece rumore l'appello a frenare le armi di papa Giovanni XXIII. Un richiamo ai contendenti che ebbe successo perché cadde su un terreno fertile, nel senso che il papa diede il suo contributo in un'azione diplomatica che incalzava su più fronti. «Non è che da solo Giovanni XXIII ha trovato una soluzione rispetto alla discesa in guerra di potenze non cattoliche come Usa e Urss, ma il suo messaggio ha sicuramente generato una spinta non indifferente verso la riflessione».
MEDIATORE POLACCO
All'inizio degli anni '80 quando si temette una nuova invasione sovietica in Polonia, «sappiamo che il papa polacco Giovanni Paolo II lavorò con la Santa Sede alacremente per evitare un nuovo conflitto». In quell'occasione il papa si espose in prima persona, insieme ai diplomatici della Santa Sede, per allontanare gli echi di un nuovo conflitto in un paese che stava provando ad uscire dall'oppressione del regime comunista.
"FALLIMENTO TEMPORANEO" IN IRAQ
Sempre con Wojtyla, però, si è assistito ad un caso di «insuccesso e fallimento temporaneo». «Ma in un secondo momento – fa notare De Leonardis – questi fallimenti hanno dimostrato che la Santa Sede aveva ragione nel sostenere la strategia della mediazione. Nel 2003, alla vigilia dell'intervento americano in Iraq, il papa intimò una ferma opposizione all'attacco, nonostante gli Usa avessero provato a convincere in ogni modo il Vaticano sulla bontà dell'intervento». La mediazione non riuscì e ci fu l'intervento militare senza tuttavia far crollare il regime di Saddam Hussein. «Va detto che queste prese di posizione della Santa Sede non hanno solo un carattere profetico, cioè di contrarietà a prescindere alla guerra, ma sono frutto di una visione realista. Sottolineano l'inopportunità di interventi, che creano danni maggiori rispetto ai vantaggi».
SIRIA E ISIS PRIME MOSSE DI BERGOGLIO
Negli ultimi anni, con papa Benedetto XVI «abbiamo assistito ad interventi di puntualizzazione sulla questione dello scontro di civiltà, e sul rapporto con l'Islam». Nulla di palese, di diretto. «D'altro canto la diplomazia è un'attività riservata e segreta». Più mediatica è la diplomazia al tempo di Bergoglio. «Papa Francesco nel 2013 ha convocato una giornata di preghiera e digiuno contro l'Intervento in Siria delle forze americane che sembrava imminente». In quella circostanze, sostiene il docente, la sottile attività della Santa Sede ha inciso sullo stop ai possibili raid su Damasco. «Ma a dimostrazione che il Vaticano non rifiuta in toto la dimensione militare – sottolinea De Leonardis – quando è sorto il problema di aiutare i profughi cristiani in fuga dall'Isis, non è stato escluso l'intervento militare, che è tuttora in corso».