L’impegno delle suore contro la tratta delle donne. Bonetti (Usmi): “I trafficanti usano sempre nuovi trucchi”Le prime ad accorgersene sono state le suore: donne giovanissime, quasi bambine, trafficate e vendute lungo le strade delle nostre città. Schiave della violenza dei trafficanti e dell’indifferenza della gente. Le suore hanno aperto i conventi per dare loro riparo, hanno imparato cos’è il trafficking – la tratta degli esseri umani -, si sono organizzate in maniera trasversale alle congregazioni, hanno creato una rete di aiuti internazionale Talitha Kum e chiesto l’intervento del legislatore. Papa Francesco nel messaggio per la Giornata mondiale della pace 2015 “Fratelli, non schiavi”, dedicata all’impegno contro le moderne forme di schiavitù, ha sottolineato “l’enorme lavoro silenzioso” svolto da tanti anni dalle congregazioni religiose, specialmente femminili, che operano in contesti difficili “cercando di spezzare le catene invisibili che tengono legate le vittime ai loro trafficanti e sfruttatori”. Lo sa bene sr. Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata, una “pioniera” in questo campo che dal 2000 dirige l’ufficio contro la tratta dell’Unione superiore maggiori d’Italia.
E’ stato necessario un lungo percorso per arrivare alla consapevolezza del problema della tratta degli esseri umani nel nostro tempo…
Bonetti: Un lunghissimo percorso. La mia esperienza è iniziata, di ritorno dal Kenya, nel Centro Caritas di Torino, nel 1993. C’erano ben tremila ragazze nigeriane che venivano spostate come “pendolari” in cinque regioni: Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Liguria e Valle d’Aosta. Quando tentavano di scappare, cercavano l’aiuto dei poliziotti – adesso non lo farebbero più, perché si ritroverebbero in un centro di identificazione ed espulsione – e i poliziotti che non sapevano cosa fare, suonavano alle porte dei nostri conventi e chiedevano a noi di ospitare le ragazze. Ci siamo rese conto presto che non si trattava semplicemente di prostituzione, ma di vera e propria schiavitù e abbiamo chiesto alle congregazioni di aprire le proprie case. A Torino ho cominciato a fare da punto di riferimento perché i problemi non erano pochi, a cominciare dalla conoscenza della lingua. L’esperienza di missionaria in Kenya mi ha aiutato moltissimo ad avvicinare le donne africane che avevo conosciuto in tutt’altro contesto e adesso ritrovavo in condizioni disperate sulle strade del nostro paese. Le suore sono state le prime a toccare la sofferenza nella carne, come dice papa Francesco nel messaggio per la pace, di queste donne.
In che modo è proseguito il vostro cammino?
Bonetti: Accoglievamo le ragazze nelle nostre case e insegnavamo loro l’italiano e anche un mestiere ma, essendo per la maggior parte prive di documenti, non potevano richiedere permessi di soggiorno e quindi la loro presenza era illegale. Questa condizione ai margini della legge le rendeva di nuovo facilmente preda di sfruttatori e trafficanti e per questo nel 1997 abbiamo chiesto aiuto alle donne parlamentari. La svolta è arrivata l’anno dopo con la legge che dà alle donne riconosciute vittime di tratta e riduzione in schiavitù la possibilità di accedere a un permesso di soggiorno di sei mesi che può essere rinnovato per altri sei mesi. Nelle nostre case, le ragazze intraprendono un cammino di recupero di se stesse e della propria dignità: non si può immaginare in quale stato di sofferenza fisica e morale arrivino. Le aiutiamo ad ottenere il rinnovo dei documenti dalle proprie ambasciate e a trovare un lavoro. Quando sono in grado di essere autonome potranno avere il permesso di soggiorno come gli altri lavoratori immigrati. Non basta togliere le persone della strada se non hanno gli strumenti per lasciarla davvero e costruirsi un futuro. Se scelgono, invece, di tornare a casa, attraverso il nostro progetto possono almeno non tornare a mani vuote perché, per queste ragazze – come capita a volte con quelle espulse dal centro di Ponte Galeria a Roma – tornare al proprio paese senza niente rappresenta la più grande umiliazione, la sconfitta definitiva del sogno migratorio.
Quante sono le case gestite dall’Usmi?
Bonetti: Circa un centinaio. Si tratta di piccole case famiglia, con 5-6 posti, nelle quali alcune suore condividono la vita quotidiana con le ragazze vittime della tratta accompagnandole con stile, appunto, familiare nel loro percorso. Quasi tutte queste strutture sono all’interno delle comunità religiose perché la presenza delle suore dà alle ragazze sfuggite ai maltrattamenti tanta sicurezza dai trafficanti che cercano sempre di riprenderle. Vivono fianco a fianco suore e ragazze di varia nazionalità e spesso mamme con bambini, perché, anche se nella maggior parte dei casi, questi piccoli sono frutto di violenza, le mamme non vogliono separarsene. In questi anni almeno 6 mila ragazze hanno ritrovato una possibilità di vita e di futuro nelle nostre case.
Le suore sono presenti anche nel Cie di Ponte Galeria?
Bonetti: Ogni sabato pomeriggio, dal 2003. Si sono alternate già 60 suore di 27 paesi e 28 congregazioni diverse. Suore cinesi, rumene, dell’America latina, così che le donne all’interno della struttura abbiano la possibilità di parlare la propria lingua. Quando ci accorgiamo che siamo davanti a ragazze vittime di tratta riusciamo ad impedire che siano rimpatriate forzatamente. Se vogliono rimanere in Italia le aiutiamo ad entrare nel programma dell’Usmi, altrimenti facciamo in modo che tornino nel loro paese in modo dignitoso.
E vi siete accorte che c’è qualcosa di nuovo, è così?
Bonetti: La tratta degli esseri umani è un fenomeno in continua evoluzione. I trafficanti sono specializzati nel cercare di sempre nuove strade di arricchimento. Oggi le donne che arrivano a Lampedusa in condizioni tragiche vengono da loro indotte a chiedere l’asilo politico, così da avviarle poi tranquillamente alla prostituzione. Nell’attesa, infatti, della definizione della pratica di asilo – che richiede almeno un anno – e in possesso del permesso di soggiorno temporaneo, i poliziotti non potranno intervenire. Quanto “frutta” ai trafficanti una donna che si prostituisce per un anno? La schiavitù assume sempre nuove forme.
Il messaggio per la pace del 2015 riconosce in modo particolare l’ impegno delle suore in questo campo…
Bonetti: Papa Francesco è un nostro grande sostenitore: trova sempre occasioni per parlare di tratta e nuove schiavitù e aiuta a cambiare la mentalità di tutta la Chiesa. Ha accolto subito la proposta di celebrare la prima giornata contro la tratta l’8 febbraio prossimo, ricorrenza della santa schiava Bakhita. Il messaggio è anche il frutto del nostro primo incontro nel quale il pontefice ci ha accolto con grande attenzione. Sono stata presentata come “la Madre Teresa delle prostitute” e ci siamo messi tutti a ridere. Papa Francesco rafforza il nostro impegno: si possono aiutare le persone a ritrovare la libertà, la voglia di vivere e di avere un futuro.
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