Aumentano anche in Italia le strutture in cui i bambini non sono ammessi
Ristoranti, hotel, voli, stabilimenti balneari e tanti altri luoghi pubblici e di intrattenimento. Sono sempre di più le strutture in cui i bambini non possono accedere nemmeno se accompagnati dai genitori.
La tendenza “childfree” è nata negli Stati Uniti dopo l’uscita del libro “No Kid, quaranta ragioni per non avere figli”, di Corinne Maier, scrittrice e psicanalista francese, “mamma pentita” di due figli.
La “no kids policy” è già molto diffusa all’estero e sta contagiando anche l’Italia. La compagnia aerea inglese Thomas Cook Airlines organizza voli child free per Creta e Gran Canaria che registrano sempre un overbooking, in Austria l’hotel “childfree” Cortisen, alle porte di Salisburgo, è uno dei più gettonati, mentre in Spagna gli hotel Iberostar fanno pernottare solo ragazzi sopra i 14 anni e i resort della catena di lusso Sandals quelli con più di 18 anni.
Negli Stati Uniti, la National Transportation Safety Board, agenzia che si occupa di sicurezza sugli aeroplani, ha scritto alla Federal Aviation Administration per far introdurre la regola “un passeggero-un posto”, che non può far altro che dissuadere la mobilità infantile, impedendo ai bambini di viaggiare in braccio agli adulti.
In Italia il primo locale a vietare l’ingresso dopo le 21.00 ai bambini sotto i dieci anni è stata la pizzeria Sirani a Bagnolo Mella, in provincia di Brescia, che ha adottato questa politica sette anni fa. L’hotel La Scalinatella a Capri è off limits ai bambini, così come Palazzo Hedone a Scicli, nel ragusano. Ci sono poi le prime spiagge child free, come il Florida Beach Club all’Argentario. E la tendenza si sta diffondendo in tutti i settori.
I sostenitori della filosofia “childfree” spiegano che presenza dei bambini è spesso causa di fastidi per gli altri ospiti della struttura perché piangono, corrono, urlano e creano scompiglio e confusione.
Questa posizione suscita ovviamente reazioni diverse: c’è chi se la prende con i genitori che non sarebbero più in grado di educare i loro figli a tenere un comportamento civile nei luoghi pubblici, chi se la prende con gli esercenti che escludendo i bambini compiono una scelta eticamente riprovevole, chi critica la gente che non ha più pazienza e chi se la prende con lo Stato che permette ai privati di compiere discriminazioni di questo tipo.
Se un tempo una strategia di marketing “childfree” sarebbe stata sicuramente fallimentare perché quasi tutti avevano figli, oggi la situazione è del tutto diversa. Nelle società occidentali, del resto, le coppie senza figli rappresentano ormai circa un quarto del totale.
Ai luoghi fisici fanno poi da corollario quelli virtuali, e non mancano le pagine su Facebook dedicate all’argomento (ad esempio “Fuori i bambini maleducati dai locali pubblici”) e forum e siti “childfree” o nati per parlare di quanto sia bello vivere senza bimbi.
Per il presidente di Fipe-Confcommercio, Lino Stoppani, vietare l’accesso ai bambini dal punto di vista formale è un provvedimento che “non presenta criticità”, perché “un pubblico esercizio può rifiutare una prestazione se esistono giustificati motivi che lo impongono”, e “gli schiamazzi, il pianto o le intemperanze proprie dei piccoli possono costituire valide giustificazioni. Inoltre, un esercente ha il diritto di caratterizzare la sua offerta, imponendo dei vincoli di accesso – sul vestiario, sul genere, sull’età, eccetera – assumendo i rischi imprenditoriali conseguenti” (IntelligoNews, 5 febbraio).
Al contrario, per Barbara Casillo, direttore di Confindustria Alberghi, “non è possibile vietare l’ingresso ai bambini, lo proibisce la legge” (Repubblica, 27 gennaio).
Come in tutte le cose, serve un po’ di buonsenso. I genitori con bambini piccoli poco abituati a stare fermi e in silenzio tenderanno a evitare consapevolmente luoghi in cui è richiesta una certa etichetta, con buona pace di chi sceglie posti più “alla buona” sapendo di poterci trovare anche delle famiglie.
È vero, come hanno detto i gestori della pizzeria del bresciano, che chi non è d’accordo con la loro politica di limitazione dell’ingresso per i più piccoli può andare in un altro locale, ma è anche vero che una volta intrapreso un percorso questo può diventare in discesa, prendendo velocità e travolgendo un po’ tutto quello che trova sul cammino. E allora arriverà il giorno in cui anziché cercare un locale “childfree”, oggi minoritario, se ne dovrà cercare uno che accetti i bambini?