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La tragica triade del male (dolore, colpa, morte) vista dall’Alto… della croce

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Il blog di Costanza Miriano - pubblicato il 04/12/14
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L’assaggio di un libro che esplora questi temi e ci apre alla bellezza di un Dio crocifisso per noidi Robert Cheaib

Nessuno ha potuto strappare la vita di Gesù, perché egli l’aveva già deposta. Gesù ha dato senso a quello che ha vissuto e patito esorcizzando il male e la morte con l’amore fino alla fine. La vita «deposta» con le vesti e il dono del corpo e del sangue hanno annientato la volontà di male contro Gesù. Gli uomini, di fatto, non sono più colpevoli, perché è Gesù che ha consegnato se stesso per loro.

L’unico che detiene la possibilità di giudizio dice a tutti gli uomini quello che disse alla donna colta in adulterio: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11).

Balthasar evidenzia la doppia dinamica di consegna che Dio effettua. Il Padre consegna il Figlio per amore dell’uomo (cf. Rm 8,32). Non lo consegna agli uomini, ma per loro. Il Figlio a sua volta consegna se stesso al Padre: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46). Ogni altra consegna è terza e quindi superflua. Ogni tradimento è reso innocuo, è perdonato, perché l’Amore si è già donato!

Il vescovo Myriel in Les Misérables di Victor Hugo ci offre un esempio di questo gesto che spegne il male e apre una via di redenzione. Il ladro Jean Valjean, pur essendo ospitato dal prelato, lo deruba e scappa di notte. Catturato dalla gendarmeria, viene riportato davanti al vescovo, il quale, però, lo difende sostenendo che l’argenteria rubata fosse in realtà un dono. Anzi, rimprovera a Valjean l’aver dimenticato i candelabri d’argento. Il gesto del vescovo innescherà nel ladro una scintilla di speranza che lo porterà sulla via del riscatto.

La giustizia di Dio non ci giudica, ma ci giustifica. Parlando della croce di Gesù durante la sua prima via crucis da pontefice, papa Francesco disse:

Dio ci giudica amandoci. Se accolgo il suo amore sono salvato, se lo rifiuto sono condannato, non da Lui, ma da me stesso, perché Dio non condanna, Lui solo ama e salva.

Gesù ci spiega che questo è il giudizio: «La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio» (Gv 3,19-21).

Nello stesso discorso il Papa ha mostrato come la croce è la risposta di Dio al male:

La croce di Gesù è la Parola con cui Dio ha risposto al male del mondo. A volte ci sembra che Dio non risponda al male, che rimanga in silenzio. In realtà Dio ha parlato, ha risposto, e la sua risposta è la Croce di Cristo: una Parola che è amore, misericordia, perdono.

In Cristo, Dio non ha dato una risposta teorica al dolore, Dio si è fatto presenza nel dolore del mondo. A ragione scrive Paul Claudel: «Dio non è venuto a sopprimere il dolore. Non è venuto neppure a spiegarlo. È venuto a colmarlo della sua presenza».

Morire e dare la vita sono due cose ben diverse. Tre uomini erano in quel giorno sulla croce, uno è morto tragicamente, uno è morto entrando nella vita e uno è morto dando la vita e diventando sorgente di vita, divenendo «Spirito, datore di vita» (1Cor 15,45).

Dare la vita è il senso profondo della redenzione. È potente quanto afferma Blondel: «Redimere è dare l’essere a chi non ce l’ha». L’amore di Cristo ci redime dal limite, dal nulla, dall’anonimato, dalle catene del peccato, dalla mediocrità del vivacchiare verso la vita in abbondanza.

Nel romanzo Bianca come il latte rossa come il sangue di Alessandro D’Avenia, abbiamo un dialogo che mostra con un linguaggio semplice ma profondo il senso del dare la vita. Leo, un sedicenne innamorato di Beatrice, decide di donare il sangue alla ragazza ammalata di leucemia. Contemporaneamente, si fa coraggio, scrive una lettera in cui svela il suo cuore e decide di portargliela. Mentre è per strada sul suo «bat-cinquantino» fa un incidente. All’ospedale lo vengono a trovare vari amici, ma anche l’insegnante di religione soprannominato, da Leo, Gandalf.
"Gandalf vede il sangue sulla lettera che conservo vicino al mio comodino. E mi dice che gli ricorda il suo crocifisso: una lettera scritta agli uomini, firmata con il sangue di Dio, che con quel sangue ci salva. Fermo Gandalf, altrimenti parte con una predica […]. Comunque mi ha dato filo da torcere e poi questa idea del sangue mi piace. Come ho fatto io con Beatrice. Forse è l’unica cosa vera di tutto il discorso su Cristo: l’amore è dare il sangue. L’amore è rosso sangue. […] da quando Cristo è morto sulla croce per noi c’è un senso. Un senso c’è".

L’amore è dare il sangue, la propria vita. È questo il senso della croce. Il silenzio e la morte della Parola sulla croce è il grido più eloquente d’amore. È l’affermazione della divinità dell’amore di Cristo. Dice Origene al riguardo:
"Bisogna avere il coraggio di dire che la bontà di Cristo si manifesta in maniera maggiore, più divina e veramente secondo l’immagine del Padre, quando si umilia nell’ubbidienza fino alla morte e alla morte di croce, piuttosto che se avesse voluto conservare come bene da non cedere la sua eguaglianza con Dio e avesse rifiutato di diventare servo per la salvezza del mondo".

Quest’immagine di Dio mite e morente demolisce ogni idolo di potenza. Se vuoi conoscere Dio, guarda il crocifisso. Ogni altra immagine è un idolo, è una fantasia, è una proiezione feuerbachiana. Guardando Gesù in croce, vediamo che
nell’esinanimento assoluto, nell’indigenza mortale del crocifisso, da cui non può essere dedotta natura divina alcuna, regna tuttavia la piena e perfetta divinità di Dio. Quella che Paolo intese come parola del Signore per la propria vita: “la forza perviene alla sua completezza nella debolezza” (2Cor 12,9), questo noi nella fede riconosciamo in Gesù Cristo come una legge della vita divina stessa. In questo riconoscimento viene certamente a cadere a pezzi la vecchia concezione dell’immutabilità di Dio. […] nel Figlio, Dio entra realmente nella sofferenza e proprio allora è e rimane interamente Dio (Paul Althaus).

L’essenza dell’essere cristiani sgorga dalla sorgente della croce. Diventare cristiani significa pervenire alla croce e provenire da essa. L’albero fecondo della croce è il vero albero della Vita. Chi mangia del suo frutto vivrà in eterno. Intorno a quest’albero non ci sono recinti o spade fiammeggianti, ma il costato squarciato e l’appello infiammato dell’Amore:

"O voi tutti assetati, venite all’acqua, voi che non avete denaro, venite, […] Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti (Is 55,1-2)".

La kenosi, l’autosvuotamento di Gesù fino alla morte e la morte di croce, ha fatto sì che ormai non esista un abisso dove un uomo possa cadere senza trovare già il Cristo che è sceso, obbediente, prima di lui, per raccoglierlo e riportarlo al seno del Padre.
 
Il testo è tratto da Un Dio umano. Primi passi nella fede, Edizioni san Paolo

Qui l'originale
 

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