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La sede chiusa di Meter e il piccolo Andrea Loris

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Lucandrea Massaro - Aleteia - pubblicato il 02/12/14
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Don Di Noto: “Quello che manca nella lotta alla pedofilia è la presenza sul territorio e una strategia educativa di lungo respiro”
In una intervista rilasciata a MeridioNews.it (2 dicembre), Don Fortunato Di Noto racconta l’azione di contrasto e prevenzione della violenza sui minori nella sua ventennale attività con l’associazione Meter in Sicilia, realtà che ha sede in 7 province ma punto di riferimento in Italia (con sedi in diverse regioni) e all’estero. Meter ha sempre avuto lo scopo di educare alla cultura dell’infanzia, per prevenire abusi e maltrattamenti, e progettare interventi mirati di aiuto concreto alle vittime degli abusi sessuali e in una strenua lotta contro la pedopornografia on line. Don Di Noto parla della necessità di avere una copertura territoriale a favore dei minori, ma come si dice: nemo propheta in patria...
Nonostante il valore e l’importanza di Meter dimostrata dai numeri: 1200 bambini «salvati», un milione e mezzo di siti pedopornografici oscurati e denunciati alle autorità competenti in Italia a questo si aggiunge l’attività di informazione capillare sul territorio, la prevenzione. Tutte attività che con tutta la buona volontà, di certo Meter non poteva e non può mandare avanti solo con le offerte di beneficienza.

L’assurdità è che Meter a Ragusa – fino al 2012 – aveva una sede, fatta chiudere dai tagli in Regione.

«Le leggi ci impongono di anticipare somme esorbitanti, parliamo di circa centinai di migliaia di euro – spiega Don Fortunato – ditemi come si poteva andare avanti. Ci sono associazioni che con il 5 per mille prendono anche 8 milioni di euro, associazioni per l’infanzia come la nostra, altre che ne prendono poche migliaia. Questo è un dato indicativo e fa pensare». La Regione Sicilia ha interrotto i finanziamenti che si aggiravano attorno ai 63 mila euro, cifre già fin troppo modeste. Per altro si parla di realtà trasparenti in cui tutto, a partire dai bilanci è verificabile. L’amarezza di Don Di Noto è proprio questa «Noi non siamo una realtà istituzionale, che non fa la manifestazione o la cerimonia e poi termina lì il lavoro. Noi ci muoviamo quotidianamente e in modo capillare, collaboriamo con le forze dell’ordine, abbiamo un protocollo ufficiale con la Polizia Postale per lo scambio delle informazioni, diamo supporto ai bambini e alle famiglie eppure non viene tenuto in considerazione tutto questo. Si tolgono fondi, come sempre, a settori delicati e che andrebbero al contrario protetti. Poi però succedono tragedie come queste ed ecco le dichiarazioni commosse dei politici, poi si piange sulle bare dei nostri bambini. Questa è ipocrisia».

A noi di Aleteia, Don Fortunato spiega anche che purtroppo in Italia non c’è un database. “Nonostante sia stato istituito L’osservatorio contro la pedofilia e la pedopornografia, presso il Ministero degli Interni, esso non ha mai visto realmente la luce. La legge prevede di realizzare un database, ma non è mai stato realizzato”. Ecco che quindi i numeri reali del fenomeno pedofilia in Italia non sono che approssimativi, frutto del lavoro delle associazioni del settore, non di un vero e proprio dato ufficiale, fatto di segnalazioni della procura, degli ospedali, degli assistenti sociali.

Resta agli atti la preghiera che Don Fortunato ha chiesto di pubblicare dopo la morte del piccolo Andrea Loris, una preghiera che è anche un ammonimento: non lasciamo che sia la pancia e il bailamme della notizia a farci muovere, è necessario non rispondere solo alla singola emergenza (doveroso!) ma prevenire con programmi di educazione e di controllo nelle scuole, sul territorio e nella rete.

Se mettiamo le mani attorno al collo di un bambino, se pensiamo che delle mani hanno bloccato i movimenti liberi di un bambino, se hai strozzato il grido di un innocente, se è stato buttarlo giù da tre metri in un burrone, se si pensa che è un gioco finito male, se qualcuno può scrivere che anche prima questo bambino era abusato (fatti mai emersi e mai verificati!), se molti vedono un bambino che gira solo e senza meta in una piazza durante le ore scolastiche (lo faceva altre volte, perché vivace), se ora – molti dicono – è bene che ci sia silenzio, che non se ne parli, perché è bene non essere triturati (giustamente!) nel tritacarne mediatico, se è bene che non si dica – quasi ci solleviamo sul fatto che non ci sono né orchi e né mostri – che possa esserci l’ombra della pedofilia e che non si sono mai verificati episodi di violenza sessuale, se ci rasserena quasi che in fondo è stato ‘solo’ strangolato, che non c’è stato spargimento di sangue, ecco c’è da pensare che quelle mani messe addosso al collo non sono mani di un pedofilo. E se qualcuno può crearsi una pagina per dire sui social“RIP” (riposi in pace, e con una foto che ti rimanda ai risultati di calcio), pagina segnalata per giusto dovere da Meter, ieri dopo pochi minuti della sua esistenza. E chi ne ha più ne metta, ci spinge a rivedere i clichè di altri drammatici episodi simili di bambini uccisi e poi dimenticati. Perché – in fondo abbiamo bisogno di questo – che presto, prestissimo tutto ritorni e cada nel silenzio. E si ha questa sensazione, che copre tutte le nostre paure. Ma di questo ci siamo stancati ma non rassegnati. Il dolore dei genitori, e quel mazzo di fiori o i palloncini con elio che non ci saranno più. Un vuoto che non si riempirà. Un’assenza che sarà ricordata dal dolore delle madri di Rama perché mi viene di ascoltare un grido –quello di Andrea – mentre veniva strangolato e ucciso e poi un altro, quello della madre, di suo padre: «Un grido si è udito in Rama, un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli e rifiuta di essere consolata, perché non sono più.» (Mt 2,18)

Ecco in fondo vorremmo che tutto si consumasse nella consolazione di un incidente, ma a quanto pare non è così. Perché – se sarà possibile accertare chi e cosa è stato, cosa sia successo realmente – riusciremmo forse , in maniera indiretta a dare un volto e un nome ai tanti strangolatori e abusatori di bambini: pensiamo a Francesco Ferreri, alla piccola Fortuna Loffredo e Antonio Giglio – nel napoletano; ai tanti, molti che non hanno mai avuto giustizia, ma solo mani che hanno violato la loro innocenza, la loro semplicità, la loro non malizia: perché si tratta di innocente e piccola umanità, bisognosi forse più di ieri di amore, di vigilanza, di protezione.

Retorica. Solo parole? Pensiamo che nessun bambino dovrebbero essere non amato (e questa è la pura pedofilia, anche quella criminale: perché la pedofilia non è amore!) e racchiude le forme più estreme di un falso e assurdo e pretestuoso amore. Che può arrivare a strangolare l’amore di un innocente, che vuole prendere a pugni la vita, ma che nonostante i calci, gli strattonamenti non desiderati, non è stato capace di mettere KO il suo aggressore.

Ma almeno abbia il coraggio di riportare lo zainetto, dove, penso i colori e le matite che servivano a disegnare i sogni di un bambino possano essere utilizzati nuovamente perché chi lo amava veramente possa ridisegnare ancora quel futuro spezzato.

E chiunque tu/voi siate stati, se hai/avete un cuore consegnati/consegnatevi alla giustizia e Dio,

Padre buono e di misericordia abbia pietà di te/di voi.

 

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