Punita per non aver lavorato così come le veniva richiestoUna donna cristiana di 28 anni, incinta, è stata costretta dal proprio datore di lavoro a camminare nuda in pubblico, perché non avrebbe adempiuto al proprio dovere in modo corretto e secondo le aspettative. Secondo Asianews (6 novembre), la vittima – che ha perduto il bambino nella violenza – è una residente della colonia cristiana di Rana Town, nel distretto di Sheikhupura, nella provincia del Punjab (la più popolosa del Pakistan).
CAMMINA NUDA PER 30 MINUTI
La donna, già madre di quattro figli, lavorava come domestica e, secondo quanto riferisce, è stata costretta a camminare priva di vestiti per almeno 30 minuti perché non avrebbe soddisfatto le richieste del proprio datore di lavoro. La vicenda è emersa il 25 novembre, in concomitanza con la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne.
MINACCIA IL SUICIDIO
Madre di quattro figli, ha detto alla polizia: "Se non ottengo giustizia, mi ammazzo". Il marito ha spiegato che gli inquirenti avrebbero aperto un fascicolo di inchiesta contro Mobin Gondal e i suoi quattro complici, ma non ha applicato la legge contro gli atti di terrorismo come richiesto dalla vittima (Sussidiario.net, 26 novembre)
BASTA VIOLENZA SULLE DONNE
Nella giornata anti-violenza sulle donne a Faisalabad, si legge su sanfrancesco.org (26 novembre) si è tenuta una manifestazione per celebrare la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, organizzata da Association of Women for Awareness and Motivation (Awam) e dal Pakistan Gender Coalition (Pgc). I partecipanti hanno lanciato un appello al governo, perché approvi una legge contro le violenze domestiche, le conversioni forzate e i crimini perpetrati da – e con l'avallo – della macchina dello Stato.
TROPPA INTOLLERANZA
L'avvocato cristiano Hashmat Barkat sottolinea che "le donne delle minoranze religiose sono obiettivi semplici da colpire". Nazia Sardar, direttore Awam, punta il dito contro "lo sfruttamento della manodopera" senza diritti, né tutele. L'attivista Naseem Anthony punta il dito contro "i valori conservatori e la società patriarcale", che sono "alla base delle violenze domestiche", perché considerate "accettate quali parti integranti della cultura del Pakistan". Le fa eco l'attivista musulmana per i diritti delle donne Amna Ehsan, secondo cui "vi è una generale tolleranza delle violenze di genere".