Interstellar è anche un film dove si scontrano diverse visioni dell’umanodi Luisa Cotta Ramosino
Che la fantascienza sia uno dei generi metafisici per eccellenza non è una novità (basti pensare a 2001 Odissea nello spazio o più di recente, in modo molto meno riuscito, Prometheus) e che un regista come Christopher Nolan abbia l’ambizione di fare grandi domande (e anche di dare molte risposte, forse troppe) è pure cosa nota.
Interstellar è anche un film dove si scontrano diverse visioni dell’umano (quella che privilegia il destino del singolo/dei singoli contro quella che pensa al destino della specie), come pure diverse filosofie della conoscenza (è la scienziata interpretata da Anne Hathaway a rivendicare il valore conoscitivo, ma anche la misurabilità dell’amore) in una partita che ha il futuro della razza umana come posta in gioco.
Eppure quello che aggancia davvero lo spettatore, al di là delle spettacolari immagini dello spazio (cui contribuisce l’uso intelligente del sonoro, tanto più espressivo a volte nella sua assenza), è l’affondo che Nolan riesce a fare sul valore delle relazioni umane: quelle naturali (tra un padre e i suoi figli, che reagiscono in modo opposto alla sua assenza) e quelle che si costruiscono nel corso della storia (tra Cooper e Brand, la scienziata tutta teoria che dovrà fare i conti con la realtà e il suo costo affettivo).
La situazione estrema in cui i personaggi si trovano obbliga ciascuno ad andare a fondo della propria esperienza di uomo e l’alternativa tra il ripiegarsi su se stessi o sollevare gli occhi alle stelle (come ricorda Cooper all’inizio) è un dilemma che riguarda ognuno. Del resto, il valore profondo dell'essere umano, più che un patrimonio genetico da trasmettere e far sopravvivere da qualche parte nello spazio, è un'esperienza complessa fatta di ragione e sentimenti, di relazioni che abbracciano il tempo e lo spazio e addirittura li trascendono. Un concetto, questo, che Nolan riesce bene a visualizzare in una delle sequenze più suggestive del film, una sorta di biblioteca alla Escher dove l'eternità e l'infinito sembrano potersi contenere nella stanza di una bambina.
Ed è proprio qui, forse, che Nolan, che pure dimostra grande capacità di porre interrogativi esistenziali e filosofici in un tessuto drammaturgico ed emotivo coinvolgente, finisce per cadere vittima della sua stessa intelligenza. Il rischio è di voler dare una risposta inevitabilmente riduttiva e forzata a queste stesse domande, come se il nostro non avesse il coraggio di stare di fronte alla vertigine metafisica da lui stesso messa in gioco, di aprirsi a un Altro che resta incomprensibile anche se si supera l’orizzonte misterioso di un Buco Nero.
Di fronte ad una pellicola come Interstellar, comunque, un po' come accade per alcune opere di Terrence Malick che questa per molti versi ricorda, riesce più facile perdonare le debolezze di fronte a un'ispirazione ambiziosa ben riassunta dalla poesia di Dylan Thomas più volte citata nella storia "Infuria, infuria, contro il morire della luce".