Anche la Cassazione contro l’utero in affittoLa pratica dell’utero in affitto è «oggettivamente in conflitto» con la dignità umana e con il nostro ordinamento. Questo ha stabilito la Prima Sezione civile della Corte di Cassazione, specificando che «il divieto di pratiche di surrogazione di maternità è certamente di ordine pubblico» (Cass. sent. 11 novembre 2014 n. 24001) e scatenando, fra i vivaci paladini dei “nuovi diritti”, reazioni assai singolari. Parecchi di quelli che speravano in un esito molto differente per non dire opposto, infatti, al fine di minimizzare la bocciatura della «surrogazione di maternità» da loro osannata come traguardo di civiltà, sono corsi ai ripari giocando la carta delle emozioni e cercando di strappare collettiva compassione per la sorte che toccherà al piccolo Tommaso, vittima ed insieme protagonista della vicenda, ottenuto tramite la pratica dell’utero in affitto da una coppia cremasca recatasi in Ucraina ed ora – in seguito a questa sentenza – dichiarato in stato di abbandono e destinato di conseguenza ad essere adottato.
Com’è possibile – ci si chiede – che costui venga dichiarato “figlio di nessuno”? Non è una negazione della realtà? E ancora: non è forse crudele sottrarre il piccolo a coloro che chiama mamma e papà? Apparentemente toste, sono in realtà osservazioni debolissime. Anzitutto non c’è contraddizione alcuna fra il riscontro dell’assenza della potestà genitoriale della coppia e il fatto che ogni figlio abbia dei genitori dal momento che, se sussiste «il divieto di pratiche di surrogazione di maternità», qualsivoglia bambino ottenuto da una coppia in quel modo, molto semplicemente, non è figlio di quella coppia. Analogo ragionamento si applica al fatto che il piccolo Tommaso chiami mamma e papà la coppia a cui viene sottratto: anche se un neonato venisse rapito dopo il parto finirebbe per chiamare mamma e papà i suoi rapitori, ma questo non significa che il rapimento non vi sia stato; allo stesso modo, un bambino ottenuto da una coppia tramite maternità surrogata non è né può divenire figlio di quella coppia.
Davvero curioso, infine, che ci si soffermi – come qualcuno ha fatto – sulle ripercussioni sulla salute e sull’equilibrio del bambino della decisione della Cassazione. Se infatti da un lato nessuno esclude che l’intera vicenda, soprattutto per come si è conclusa, potrà purtroppo produrre conseguenze almeno psicologiche sul piccolo, dall’altro è paradossale che le stesse persone che difendono e fino ad oggi hanno difeso a spada tratta, per esempio, l’istituto del divorzio – sui cui devastanti effetti sulla salute dei figli abbiamo fiumi di letteratura -, di punto in bianco indossino i panni dei paladini del bene del bambino. Se inoltre consideriamo che, oltre al divorzio, i paladini dei “nuovi diritti” ritengono intoccabile anche l’aborto volontario – pratica non esattamente conciliabile con l’accoglienza e il bene del figlio -, tutto diventa chiaro; questo curioso, improvviso e tardivo amore per il figlio è fasullo. E’ solo l’ennesimo monumento all’ipocrisia della cultura dei desideri, che considera i diritti dei più piccoli ad intermittenza: quando le conviene.