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Si possono dire bugie a fin di bene?

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Antonio Rizzolo - Credere - pubblicato il 31/10/14
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Come discepoli di Cristo siamo chiamati a vivere nella verità, guidati dall’amoreGentile direttore, i dieci comandamenti ricordano che è peccato dire falsa testimonianza. Quando ero bambina, però, mia nonna mi diceva che esistono anche delle “bugie bianche”, e adesso che sono una donna mi rendo conto che alcune piccolissime menzogne o reticenze a volte servono per non fare soffrire. Lei cosa ne pensa?

Silvana, Morbegno

Per dire bugie bisogna avere una grande memoria. Infatti, per coprire la prima, piccolissima, menzogna, si devono inventare spiegazioni sempre più complicate, correndo il rischio non solo di venire scoperti, ma di rendere la propria vita un vero stress. Insomma, non ne vale la pena.

Ma come dobbiamo comportarci in quanto cristiani, discepoli di Cristo, che ha detto: “Sia il vostro parlare: ‘Sì sì, No, no’; il di più viene dal Maligno”? Noi siamo chiamati a vivere nella verità. La verità ci rende liberi (cfr. Giovanni 8,32). Quella verità che è Cristo stesso e si trova nella sua parola, la quale ci manifesta l’amore infinito di Dio verso di noi. Vivere nella verità significa aderire a Cristo, lasciarci guidare dal suo Spirito, comportarci come lui si è comportato, con misericordia, benevolenza e compassione verso tutti. Quel che l’ottavo comandamento ci chiede è dunque qualcosa di più di non dire bugie. In positivo si tratta di agire “secondo verità nella carità” (Efesini 4,15). In negativo di evitare ciò che è contrario alla verità e all’amore. Il Catechismo elenca le diverse offese alla verità (cfr. nn. 2475-2487): falsa testimonianza, spergiuro, giudizio temerario, maldicenza, calunnia, lusinga, adulazione e compiacenza, millanteria e ironia con scopo malevole. In sintesi, si tratta di evitare la menzogna, cioè “dire il falso con l’intenzione di ingannare” (n. 2482). Anche se la menzogna può essere più o meno grave a seconda della verità che deforma, delle intenzioni del mentitore, dei danni che la vittima subisce.

Ci sono però situazioni in cui, per rispettare il comandamento dell’amore fraterno, la verità può essere coperta. Ad esempio il segreto del sacramento della riconciliazione, che non si può violare per nessun motivo, e il segreto professionale. “La carità e il rispetto della verità devono suggerire la risposta ad ogni richiesta di informazione o di comunicazione. Il bene e la sicurezza altrui, il rispetto della vita privata, il bene comune sono motivi sufficienti per tacere ciò che è opportuno che non sia conosciuto, oppure per usare un linguaggio discreto. Il dovere di evitare lo scandalo spesso esige una discrezione rigorosa. Nessuno è tenuto a palesare la verità a chi non ha il diritto di conoscerla” (Catechismo n. 2489). 

In sintesi, dobbiamo vivere nella verità, guidati dall’amore. Solo in questo senso si può parlare di “bugie bianche”, a fin di bene, senza malizia. Anche se, spesso le piccole o grandi bugie derivano dal nostro egoismo. Per vivere bene abbiamo bisogno di poterci fidare l’uno dell’altro. D’altra parte vivere nella verità non significa dire comunque tutto quello che ci passa per la testa. Al di sopra di tutto ci deve sempre essere la carità, l’amore, che comporta anche la pazienza e il rispetto. Come scrive san Paolo, la carità “si rallegra della verità”, ma “tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1 Corinzi 13,6-7).

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