La Comunità Giovanni XXIII chiede norme che sanzionino i clienti delle prostitute: “senza domanda non c’è offerta”Il 67% di tutte le vittime di tratta è rappresentato da donne, mentre la tratta a fini di sfruttamento sessuale costituisce il 58% del totale. Il 68% di chi commette reati connessi alla tratta, invece, è maschio. La Comunità Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi, si batte da anni contro una orribile forma di sfruttamento che riduce moltissime giovani immigrate in schiavitù. Aleteia ne ha parlato con Irene Ciambezi, responsabile di una delle 16 Unità di strada antitratta dell’associazione e di una casa famiglia in provincia di Ferrara, a margine di un seminario organizzato a Montecitorio dall'associazione per illustrare una proposta di legge che introduce sanzioni progressive per i clienti delle prostitute.
Chi sono le donne che vediamo aspettare “clienti” lungo le strade delle nostre città?
Ciambezi: Le donne che si prostituiscono sono nella maggior parte giovanissime tra i 16 e i 18 anni che arrivano in prevalenza dall’Europa dell’est: bulgare, moldave, rumene. Sono tutte costrette a prostituirsi, nessuna lo sceglie. Come diceva don Benzi: “Nessuna donna nasce prostituta”. Dalle loro storie emerge che c’è sempre qualcuno, uno sfruttatore, una sfruttatrice, che all’origine del percorso migratorio fa una proposta ingannevole allo scopo di portare queste ragazze in Italia per avviarle alla prostituzione. Molte di loro subiscono violenze molto gravi, sicuramente a livello fisico e di pressione psicologica. In alcuni casi si può parlare di vera e propria riduzione in schiavitù: alcune sono costrette a rimanere al chiuso e possono uscire solo per svolgere l’attività prostitutiva. Al di là di questo, ciò che per noi è più grave è la violenza sessuale perpetrata ogni volta che c’è una prestazione sessuale a pagamento, perché crediamo che una donna non sia mai libera quando c’è una compravendita del proprio corpo in quanto questo non può essere oggetto di mercificazione. Tanto più che c’è sempre un rapporto di dominio dell’uomo sulla donna e questo va contro il valore fondamentale della dignità della persona umana.
Qualcuno pensa che concentrare la prostituzione in appartamenti e in quartieri appositi – come è stato proposto di recente anche a Roma -, serva a tutelare queste donne: è così?
Ciambezi: Serve piuttosto a tutelare il racket della prostituzione. L’Associazione Papa Giovanni ripete da tempo che nessuna forma reale di controllo e nemmeno un’azione efficace contro il racket è possibile con la cosiddetta zoning della prostituzione, cioè la concentrazione in aree delimitate. Né dalle forze dell’ordine, né da parte dai servizi sociali e sanitari. Dal 2000 in Italia è attiva una politica di riduzione del danno che ha un approccio sanitario verso le persone che sono prostituite, ma non vediamo alcun miglioramento della situazione. Anzi, il fenomeno prostitutivo si modifica sempre più e il racket riesce tranquillamente – purtroppo – a gestire la notte delle nostre strade che non sono più strade dei cittadini, ma della criminalità. L’intervento delle forze di polizia non è abbastanza efficace per far emergere le situazioni di sfruttamento e le donne sono terrorizzate, controllate, plagiate così che difficilmente riescono ad arrivare alla denuncia. Ci sono dei dati precisi che lo indicano. Pensiamo che "recintare" il fenomeno non produrrebbe nessun miglioramento, anzi metterebbe ancora più a rischio la possibilità da parte delle donne di uscire da queste situazioni. Chi ne trarrebbe vantaggio, oltre al racket, sarebbe in realtà il cliente che per noi è complice dello sfruttatore e altrettanto colpevole.
In quale direzione bisogna lavorare allora?
Ciambezi: Se non ci fosse la domanda non ci sarebbe nemmeno l’offerta. Anche in Europa si è arrivati a questa conclusione: l’unico modo per ridurre il fenomeno della prostituzione è scoraggiare la domanda, così da ridurre anche il fenomeno della tratta degli esseri umani. Obiettivo del convegno organizzato a Montecitorio dall’Associazione Papa Giovanni insieme all’onorevole Gianluigi Gigli, firmatario di una proposta di legge che prevede sanzioni progressive nei confronti dei clienti, è stato il tentativo di mettere insieme in modo trasversale alcune forze politiche per accogliere questo tipo di proposta. Da anni noi affermiamo l’importanza di arrivare all’introduzione del reato di acquisto della prestazione sessuale, così come prevede il modello nordico della Svezia e della Norvegia che pare abbia ottenuto non solo una risposta non solo in termini di riduzione della prostituzione, ma anche influito sul cambiamento della visione maschile del corpo delle donne.
Quanto conta operare su un cambio di mentalità?
Ciambezi: Questo è uno dei punti sui quali siamo abbastanza in linea con il Dipartimento per le pari opportunità che sta lavorando sul Piano nazionale antitratta che avrebbe dovuto essere realizzato già da alcuni mesi in seguito alla direttiva europea sul traffico di esseri umani. Il piano parla di formazione e informazione e di percorsi educativi da realizzare all’interno delle scuole e delle università. Come associazione lavoriamo già da anni in questa direzione e sicuramente si deve incrementare la formazione delle giovani generazioni ma, al tempo stesso, insistiamo che siano messi in atto anche dei deterrenti. Nei nostri Comuni deve esserci la possibilità – come è già avvenuto attraverso le ordinanze di alcuni sindaci che hanno comminato multe ai clienti – di svolgere un’opera ancora più incisiva. Il cambiamento culturale non può passare solo attraverso percorsi formativi, ma anche attraverso delle azioni che permettono di chiarire cosa è giusto e cosa è sbagliato: comprare il corpo di una donna per noi è in ogni caso un’azione che va condannata perché viola il valore della dignità della persona.
Comprare il corpo di una donna offende la dignità umana
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