Primo iniziato nell’opera dell’Incarnazione divina, è esempio anche per l’uomo di oggi
Uno degli undici articoli scientifici e divulgativi scritti da Karol Wojtyła tra il 1952 e il 1962 e ora raccolti nel libro “Educare ad amare. Scritti su matrimonio e famiglia” (Cantagalli) affronta specificatamente la figura di San Giuseppe.
L’articolo del futuro papa sul santo individua due dimensioni particolari legate alla sua figura: la contemplazione e l’apostolicità, osservazioni che servono, a loro volta, come punto di riferimento per una riflessione sul mistero della paternità, collocata nella situazione contemporanea.
La figura di San Giuseppe, spiegava il futuro papa, ci è nota tramite il Vangelo di Matteo e di Luca, e la sua conoscenza è dunque strettamente collegata all’interpretazione di ciò che dice il Vangelo.
L’interpretazione più semplice consiste nell’esame dei fatti ai quali San Giuseppe prende parte come legittimo sposo di Maria e come padre putativo di Gesù, ovvero la persona il cui comportamento ne faceva agli occhi della gente, sotto tutti gli aspetti, il padre di Gesù.
Questa paternità putativa, osservava Wojtyła, nascondeva in sé “tutto quanto il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio e del concepimento verginale di Maria”. “Giuseppe era colui che doveva proteggere questi misteri, ed essendone d’altra parte a conoscenza, fu il primo iniziato nell’opera dell’Incarnazione divina”.
I fatti che compongono la vita di quest’uomo non sono molti, “ma hanno un proprio peso qualitativo proprio perché ciascuno di essi è collegato organicamente a quello che è un avvenimento fondamentale del Vangelo: l’Incarnazione”.
Prima di Santa Teresa d’Avila, riformatrice dell’ordine delle Carmelitane nel Cinquecento, il culto di San Giuseppe non si può considerare particolarmente vivo e attivo. La santa spagnola fu invece “capace di scorgere in pieno il legame particolare di questa figura con tutto lo stile di vita contemplativa di cui ella era una splendida espressione”.
Se si medita più a fondo sulla vita quotidiana del falegname di Nazareth, infatti, “a così stretto, incredibile contatto con i misteri divini, con lo sguardo paterno, pieno di amorosa e laboriosa sollecitudine, fisso sul Dio Incarnato e sulla sua Madre, allora è facile riconoscere nella vita di San Giuseppe il chiaro prototipo ideale della vita contemplativa”.
Dall’Ottocento, riconosceva il futuro pontefice, nell’insegnamento e nella liturgia della Chiesa ha sembrato prendere il sopravvento un altro modo d’interpretare la figura di San Giuseppe, accentuando non tanto il suo elemento contemplativo, quanto piuttosto il suo ruolo sociale.
Per prima cosa, Giuseppe “è il capo della famiglia di Nazareth e la famiglia, com’e noto, costituisce la cellula elementare di ogni società, nazione, stato, Chiesa”. Essendo il capofamiglia, inoltre, “con il lavoro delle sue braccia, provvede al suo sostentamento”.
Nell’articolo, Karol Wojtyła proseguiva la sua riflessione spostandosi “sul problema dell’uomo come maschio”, sul cui tema la figura di San Giuseppe fornisce “particolari spunti e abbondante materiale”, aiutando ad “osservare e valutare il ruolo maschile nel Vangelo e di conseguenza nel Regno di Dio sulla terra, nella Chiesa”.
Il problema maschile, osservava il futuro papa, viene trattato nel Vangelo almeno da due punti
di vista: “attraverso le figure degli Apostoli e di San Giovanni Battista, ma anche attraverso la figura di San Giuseppe. Solo collegando entrambi questi aspetti e integrandoli l’uno con l’altro, otteniamo un’immagine completa e piena. L’uomo deve essere non soltanto un essere sociale, organizzatore, annunziatore e difensore dell’idea, ma anche, oltre tutto questo, padre e protettore”, “altrimenti non realizza tutta intera la pienezza morale della sua individualità maschile”.
L’uomo nella Chiesa è ‘apostolo’ quando è protettore ed ecco allora che realizza, in tutto il significato di questa parola, il suo ruolo nel Regno di Dio sulla terra”. “In questa concezione è espressa, da una parte, la paternità spirituale dei sacerdoti, dei pastori di anime, sia che vivano da soli sia che agiscano nella societa e dall’altra l’apostolato dei padri di famiglia, dei tanti uomini che lavorano, nelle cui mani e la responsabilità di un figlio e di una madre, come fu per Giuseppe di Nazareth”.
La figura di San Giuseppe, concludeva Wojtyła, “si presta sicuramente ad un confronto con la vita, anche con la vita del giorno d’oggi. Una volta essa richiamava l’attenzione delle persone dedite alla contemplazione, ma ha tutti i caratteri per richiamare l’attenzione dell’uomo contemporaneo, preso dal lavoro e dagli impegni quotidiani, perché permette di avvicinarsi ugualmente ai piu profondi valori umani, come anche al pensiero di Dio: permette di comprendere chi è l’uomo nel pensiero di Dio e chi dovrebbe essere”, cosa che vale “molto di più delle più particolareggiate regole di comportamento”.