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Realtà “aumentata”? Gioca sulle più antiche paure dell’uomo

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Emanuele D'Onofrio - Aleteia - pubblicato il 23/10/14
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Un nuovo investimento dei colossi tecnologici nel virtuale traccia sempre più la mappa per l’uomo del futuro

Per conoscere gli autori degli effetti speciali una volta bisognava attendere i titoli di coda di un film. Da tempo ormai quegli autori stanno lavorando su tecnologie che non incideranno soltanto sulla percezione audiovisiva legata a uno schermo, ma sul modo in cui approcciamo il mondo che abitiamo. E gli investimenti crescono: è notizia di questi giorni che Google e altri giganti del tecnologico hanno investito più di mezzo miliardo di dollari (542 milioni di Euro) in un progetto dalle tinte ancora misteriose dal nome di Magic Leap (salto magico), del quale si sa solo che è dedicato alla realtà virtuale e alla realtà aumentata. Descrizioni ulteriori non sono date, ma i boss delle aziende coinvolte nel super investimento riferiscono di cose mai viste. Richard Taylor, ieri cofondatore della società che curò gli effetti speciali del
Signore degli anelli e oggi uno dei capi di Magic Leap, ha dichiarato: “Stiamo per fornire alle persone un’immagine dinamica che si armonizzerà con i sensi umani in un modo perfettamente naturale”. Dal momento che la cosa ci riguarda direttamente, è il minimo sollevare qualche domanda:
Aleteia le ha poste a Gigio Rancilio, giornalista di
Avvenire esperto di nuove tecnologie.

Cosa ci dice questo nuovo investimento?

Rancilio: Io non credo che il problema sia solo nella realtà aumentata, ma sia un po’ più ampio. Include ad esempio la grande scommessa Apple sull’ iWatch, che non misurerà il tempo, ma il corpo umano nelle sue funzioni: noi conosceremo alla velocità della luce come stiamo, la nostra pressione, i battiti cardiaci e così via. La realtà aumentata ci porta a pensare a qualcosa di ludico o di informativo, per divertirci o per sapere di più, ma è tutto collegato ad un’idea di uomo sempre di più integrato con le macchine: cioè, di un uomo-macchina. Vengono in mente alcuni romanzi di fantascienza del passato.

La macchina, quindi, dovrebbe potenziare l’umano?

Rancilio: Assolutamente sì. C’è l’idea di superare i limiti umani attraverso delle macchine che ci portino a vedere, a sentire, a divertirci di più e a essere più sicuri. In pratica, giocano su due eccessi della nostra emotività. Prima di tutto sull’insicurezza, che ci spinge a collegarci ad una macchina pensando che essere monitorati da lei 24 ore su 24 ci può difendere da tutti i mali del mondo. E poi c’è l’altro nostro eccesso emotivo: attraverso le macchine ci sentiremo in grado di poter superare qualunque tipo di barriera e di diventare dei supereroi, al di là di ogni limite umano. Sono questi i due estremi dell’emotività, e della debolezza umana su cui loro stanno giocando.

Quali sono i rischi del metterci del tutto in mano al mercato?

Rancilio: Io credo che i rischi si leghino ad un terzo elemento, e cioè al fatto che di mezzo ci sono delle macchine. Se ci pensiamo bene, sono un bel po’ di decenni che una larga parte dell’economia gioca sulle nostre paure e le fa diventare business; allo stesso modo gioca sul nostro bisogno di divertirci come modo di esorcizzare la morte. L’entertainment è un’industria che macina un sacco di soldi, dalla televisione al cinema, dai videogiochi alla musica. Ma dall’altra parte pensiamo al grande business della paura, che ci fa mettere grandi strumenti d’allarme o che riempie di sistemi sofisticati tutti i grandi aeroporti del mondo. Quello che in questo caso produce uno scatto in avanti, che crea un rischio in più, è che di mezzo ci sono delle macchine. La vera sfida è una sola: l’uomo deve tornare sempre di più a essere la persona che sceglie. Siamo noi che dobbiamo scegliere, ad esempio se e quanto consegnarci a questa industria, dobbiamo scegliere quanto cedere della nostra umanità e della nostra dignità per abbracciare queste promesse di diventare super.

Cosa rischia di perdere l’uomo nel diventare macchina?

Rancilio: Stiamo diventando sempre più pigri. Le persone di 100 o 200 anni fa erano mediamente meno acculturate e sicuramente più colpite dalle malattie e dalla povertà, però erano soggetti più attivi. Sapevano e volevano avere in mano tutta la loro situazione. Invece tutto il mondo della tecnologia in questi ultimi anni ci ha spinto sempre di più a diventare dei bambini che fanno azioni sempre più da bambini: pensiamo ai “mi piace” sui social network, oppure al costume diffuso di buttare lì una battuta pensando che qualunque tema possa essere risolto così, spesso e volentieri senza aver neanche letto il post che si va a commentare. Pensiamo di voler partecipare, ma questo “partecipare con pigrizia” ci svilisce nella nostra natura.

Ma alla fine solo una piccola fetta dell’umanità è destinataria di queste tecnologie, non è così?

Rancilio: Io credo che ci siano delle novità che finiscono in mano ai “bambini ricchi del mondo”, chiamiamoli così, per poi raggiungere in un secondo tempo anche il resto del mondo. Pensiamo ad esempio a cosa sta succedendo in alcuni paesi africani attraverso internet e le nuove tecnologie: ci sono tre-quattro paesi africani su cui le grandi aziende stanno puntando moltissimo nella convinzione che anche lì si arriverà a fare business vero con le cosiddette nuove tecnologie. In qualche modo noi siamo l’area test: essendo noi bambini più ricchi e annoiati degli altri, è più facile vincere le nostre resistenze e riempirci le case di tutto questo. È sempre lì la scommessa, su chi vogliamo che comandi sulle nostre vite, noi o gli altri.

Le nuove tecnologie non ci offrono maggiore libertà?

Rancilio: La tecnologia non può darci libertà. Un elettrodomestico, ad esempio, può darci libertà? Noi non pensiamo mai a un elettrodomestico come ad un oggetto di libertà. Noi commettiamo l’errore di pensare la tecnologia come se fosse qualche cosa d’incredibile, mentre essa, se ci pensiamo bene, non è altro che l’evoluzione di un elettrodomestico. Noi da bambini siamo stati abituati che il phon va usato per asciugarsi i capelli, ma mai tenendo i piedi nell’acqua perché se cade ci fulmina. Abbiamo quindi imparato a usare il mezzo con delle regole. Invece internet l’abbiamo imparato a usare senza regole. La vera differenza è questa. Nessuno di noi è schiavo del frigorifero, anche se è in tutte le case. Non ci facciamo cambiare la nostra vita da un frigorifero. Se noi imparassimo a usare la tecnologia, anche quella più complessa, come un elettrodomestico, e quindi a usarla per quello che ci serve e non a farci usare da lei, avremmo trovato, con questo “semplice” cambio di mentalità, la chiave per non farci schiacciare.

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